(Intervento alla presentazione della rivista El-Ghibli a Milano)
Io vorrei tanto che ci fossero qui stasera alcuni personaggi della sottocultura e della sottopolitica lombarda. Coloro che ci mettono a disagio che non hanno l'afflato, come si dice in poesia, ma si può dire un minimo di intelligenza e di atto culturale di comprendere l'importanza dell'accogliere e di abbracciare la presenza di stranieri, come si dice a Milano estranei, ma non in senso cattivo della parola, anzi affettuoso.
Ecco una delle cose che ho imparato e devo dire non lontano nel tempo, ma
abbastanza recentemente è che tutto quello che noi abbiamo acquisito di
arricchimento culturale lo dobbiamo proprio ai visitatori, a coloro che si sono
trovati qui da noi nei secoli lontani, a partire dal II secolo dopo Cristo, III
secolo e via dicendo. A centinaia, a migliaia sono venuti, hanno imparato la
nostra lingua, hanno portato la loro conoscenza, hanno portato la loro cultura,
hanno arricchito la nostra possibilità della vita, arricchito la vita e sono
stati benemeriti della nostra cultura. A centinaia, a migliaia. E'
impressionante quanti ne trovo. S. Agostino, per esempio. Pochissimi sanno di
S. Agostino che era nero e arrivò qui in Italia, prima a Roma, si trovò molto
male devo dire. Insegnava retorica. Non veniva neanche pagato. Gli hanno tirato
un bidone, insegnava in una scuola della Moratti, voglio dire in una scuola
privata e i suoi allievi dovevano pagare un tot, così ad un certo punto non si
son fatti vedere e per sua fortuna c'è stato un grosso personaggio della
Amministrazione che lo apprezzava soprattutto per il linguaggio, per lo spirito
e per l'umorismo. Veniva dall'Africa, nato in Africa, era proprio scuro e
teneva lezione e a un certo punto pensò di mandarlo a Milano. E a Milano venne,
arrivò. C'era l'Impero allora a Milano, e anche questo pochi lo sanno, Milano
era capitale dell'impero d'Occidente ed era la più importante fra le città che
ci fossero in Europa allora. Aveva una vivacità culturale. Sto parlando del IV
secolo dopo Cristo. Era il momento in cui giravano situazioni di tensione.
C'erano nuove facce, nuove lingue che arrivavano dappertutto. Si sentiva
proprio un pericolo e un'effervescenza, un fatto rivoluzionario nella coscienza
della gente. E lui si presentò e quando tenne il suo discorso lo disse
esplicitamente: "Io sono pagato per adoperare le parole, la vostra parola,
il vostro linguaggio e molti mi applaudono sapendo benissimo che il mio
mestiere è quello di insegnare e dir bene delle cose stupide. Sono un
retore!"
Ma io cercherò di dir male semmai quello che ho imparato di autentico, di vivo
nella vostra città e una delle più belle pagine sulla città, sulla generosità
della città di Milano è stata proprio scritta da S. Agostino e con lui c'erano
in quel tempo moltissimi autori stranieri che hanno dato per primi un ritratto
della nostra città che è straordinario, sconosciuto. Non si insegna a scuola ed
è molto bello questo fatto, non si sa se per distrazione verso quello che è la
conoscenza della nostra origine, della nostra razza, di quello che eravamo o
per ottusità. Credo che vi sia proprio ottusità più che altro perché non c'è
altra ragione e quando vedo alcuni che si rifanno al Carroccio, le tradizioni
lombarde antiche e in verità non sanno, non conoscono niente, proprio ignorano
ogni cosa che è avvenuta nella nostra storia.
Capisco anche perché non accettano la presenza di alcuni che non parlano la
nostra lingua, che hanno una cultura, che avrebbero cose da raccontarci, molto,
molto da insegnarci, per apprendere, ed invece ecco che si cerca di tenerli
lontani. Si pensa a priori che essi non abbiano niente da raccontarci di
importante. Noi non abbiamo bisogno di loro e questa è veramente la forma più
bassa di civiltà che si possa immaginare. Il nostro décalage sul piano
culturale parte proprio dal fatto che i nostri politici, alcuni di loro insomma
non hanno capito l'importanza di sostenere la presenza di persone che vengono
da altri posti. Sono la nostra ricchezza, sono la nostra verifica, sono la
possibilità di arricchire il nostro linguaggio, il nostro essere, la nostra
gestualità, il nostro pensiero e io dico disgraziato è quel popolo che ha degli
stranieri con sé e non li adopera per arricchire il proprio modo di vivere e di
arricchire anche la coscienza e la conoscenza della cose. Noi dagli stranieri
abbiamo saputo tantissimo nei tempi antichi, ma poi abbiamo avuto anche la
possibilità e la fortuna di arricchire gli altri.
Nel 500 le persone che partivano dall'Italia e che andavano nel mondo vivo di
allora a lavorare, a produrre, a dar cultura, erano un numero incredibile. Si
pensi al numero di architetti, di geometri, di muratori che sono stati in
Russia, per esempio, in Polonia, in Inghilterra, che sono andati in Francia, in
Spagna, in Africa; dappertutto andavano ed erano degli scienziati, della gente
con una ricchezza enorme e tutte le volte che tornavano di là, tornavano con la
ricchezza della conoscenza di quello che avevano appreso.
Questo si potrebbe collegare a una notizia che ho avuto recentemente e che
forse anche qualcuno di voi ha inteso e cioè che la nostra lingua è stata
declassata in Europa, non è ritenuta degna di essere una delle lingue
fondamentali del rapporto, diciamo del dialogo. Cioè di seconda serie rispetto
ad altre che sono state ritenute di prima serie. Non è che ce l'abbiano con
noi. Il fatto è che di colpo in noi mancano coloro che nella storia, nel tempo
hanno fatto veramente il battage straordinario di quello che noi sapevamo. Io
mi ricordo di un grande libro di un grande francese, scritto nei primi del
'900, un testo fondamentale per me [la leçon des italiens]. Ebbene che cosa ci
racconta . Ci racconta tutto quello che gli italiani hanno portato all'estero,
in Francia in particolare, di conoscenza, di musica, di teatro, di letteratura,
di danza, della pantomima, del teatro da quello di strada fino a quello aulico,
la costruzione dei teatri l'architettura, pittura, gli strumenti musicali,
incredibile e poi anche il vivere, il mangiare, la sapienza del godere la vita.
Ebbene noi abbiamo perso verso gli stranieri il portare questa conoscenza del
godere la vita.
Non credo che noi, noi abbiamo degli ambasciatori, ma non credo che uno come
Bossi possa, adesso ha anche dei problemi, ma voglio dire, forse Berlusconi sì
insegna che cosa è la vita degli italiani. E' uno che come lo vedono dicono:
quest'estate non vado lassù". Sento che in voi... c'è in me una specie di
reticenza a aprirmi così in battute, in satira politica. Questo perché lo ho
detto? Per agganciarmi a un elemento: l'importante del nostro spirito è il
sarcasmo, l'ironia, il grottesco, il saper capovolgere le situazioni, anche
quelle dure anche nel momento della sofferenza, per cui altri popoli crollano,
franano, non tengono. Noi anche nei momenti più duri abbiamo avuto la
possibilità di colpi di reni straordinari dovuti alla nostra immaginazione,
alla fantasia, al sarcasmo, al gioco, alla satira, al grottesco. Stiamo
perdendo anche quello, stiamo perdendo proprio un timbro nostro personale di
una razza che è costato secoli di storia e di coscienza civica.
Noi siamo gli inventori dei Comuni: anche un'altra cosa che non studiamo a
scuola. I Comuni è un fenomeno unico e guarda caso soltanto singolarmente
italiano. E' stato da noi che hanno capito l'importanza di convivere, di vivere
e di sviluppare, di avere rapporti con gli altri, di aprire le nostre porte e
andare a bussare anche alle porte degli altri. Ebbene questo fatto, questo
fenomeno viene anche da questa straordinaria gioia, giocondità di dialogare con
gli altri, di imparare la loro lingua, di aprire a conoscere le nostre lingue.
E noi ne abbiamo avute molte. Una ricchezza di lingue che fa paura. Perché i
nostri dialetti non sono l'argot, sono proprio lingue, con loro leggi, regole,
con loro strutture.
Ed ecco quando penso ad alcuni che vorrebbero trasformare certe, non so, strade
con nuovi nomi legati al lombardo, al napoletano ecc., la pochezza dello
spinger verso una attenzione alla nostra cultura si ferma proprio lì a cambiare
i termini, una parola, invece di arricchire la conoscenza con tutte le parole,
di tutti i dialetti per arricchire la nostra lingua.
E la ricchezza della nostra lingua, ce lo insegnano proprio gli inglesi, i
francesi (ho vissuto parecchio in Francia). Ecco la ricchezza per esempio che
sono riusciti ad ottenere imparando anche i linguaggi dei popoli che vengono da
noi. L'ospitalità serve a quello. E basta così.
Nessun commento:
Posta un commento