Mi è arrivato un appello da firmare per invitare Alfredo Cospito a
sospendere lo sciopero della fame, ma non me la sono sentita di aderire perché
ho iniziato a ricordare:
“Ho passato cinque lunghi anni nell’isola dell’Asinara sottoposto al regime
di tortura democratico del 41 bis, di cui un anno e sei mesi in completo
isolamento, passati in una cella e in un cortile dove non batteva mai il sole.
Dalla mia cella d’isolamento mi era persino difficile vedere il cielo. In
quegli anni non avevo nessuno con cui parlare o ridere. Per questo avevo
imparato a parlare e a ridere da solo. Lo Stato ha sempre un alibi, quando
tortura afferma che lo fa per la giustizia e la società. A volte dice che lo fa
anche per il tuo bene. E usa molti mezzi per uccidere una persona poco per
volta. Un anno e sei mesi d’isolamento senza mai parlare con nessuno sono stati
molto duri. Settimane, mesi e anni sempre uguali. Giorni vuoti. Il mio
mondo non andava oltre il confine della mia cella. Ricordo che mi misero nella
sezione “Fornelli”. I detenuti erano tutti in cella singola. Le celle erano
venticinque. Sembravano degli armadi in ferro e cemento. Erano divise una
dall’altra da uno spesso muro. E tutte avevano un blindato e un cancello
davanti. Ogni blindato aveva uno sportellino di ferro con una fessura per
consentire di far arrivare il cibo dentro la cella. C’era uno spioncino rotondo
sul muro, dalla parte del bagno, che consentiva alle guardie di vedere
l’interno senza essere viste. La stanza misurava circa tre metri d’altezza. Due
metri di larghezza. E tre di lunghezza. Si potevano fare solo quattro piccoli
passi in avanti e quattro indietro. La finestra era piccolissima, con enormi
sbarre di ferro incrociate. Muri lisci. C’erano una branda, un tavolo e uno
sgabello. Per pavimento una gettata di cemento grezzo. Stavamo chiusi ventitré
ore su ventiquattro: avevamo solo un’ora di aria al giorno. In quella sezione
eravamo tutti detenuti condannati a pene lunghe. E, la maggioranza, alla pena
dell’ergastolo.”
Finito di ricordare, ho pensato che non ho nessun diritto di chiedere ad
Alfredo Cospito di sospendere lo sciopero della fame perché lui sta morendo per
poter continuare a vivere; perché ama così tanto la vita che non la vuole
vedere appassire fra le mura di un carcere.
Solidarietà ad Alfredo perché anche se non può essere libero e felice
continua ancora a lottare e ad amare la vita, e non è poco.
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