Lo stato dell’Istruzione italiana e le possibili soluzioni.
Che cos’è la scuola? Cito la Treccani: “Istituzione a carattere sociale
che, attraverso un’attività didattica organizzata e strutturata, tende a dare
un’educazione, una formazione umana e culturale, una preparazione specifica in
una determinata disciplina”.
C’è da chiedersi se la scuola italiana serva a questo oggi.
Quando penso alla miglior scuola, mi viene in mente quella riforma degli
ordinamenti scolastici e universitari, degli esami e dei programmi di
insegnamento che va sotto il nome di riforma di Giovanni Gentile tra il 1922 e
il 1924, redatta con Giuseppe Lombardo Radice, pedagogista. Due filosofi, un
confronto impietoso con le menti “eccelse” della politica italiana che negli
ultimi 35 anni hanno letteralmente picconato i fondamentali di questa
Istituzione. Berlinguer, Moratti, Gelmini: tre nomi una garanzia, quella della
distruzione sistematica di una scuola che creava menti pensanti o, quanto meno,
che sfornava giovani che qualche fondamentale di italiano, storia, matematica,
geografia lo aveva ben chiaro in testa.
Chiediamoci cosa sia oggi la scuola: dovrebbe essere un luogo di formazione
degli spiriti e delle menti. E di dedizione all’insegnamento. E di visione del
futuro della nostra Nazione. Ma oggi non è nulla di tutto questo: la scuola
italiana in generale oggi non è luogo di divulgazione della conoscenza.
Oggi si preferisce parlare di competenza, nelle scuole. E cito ancora la
Treccani: “Competenza: idoneità e autorità di trattare, giudicare, risolvere
determinate questioni.” Noi rifiutiamo che sia questo il compito
dell’istruzione. La competenza è data spesso da anni di lavoro, noi lo sappiamo
bene.
Ebbene, la scuola serve a infondere CONOSCENZA, sarà bene ribadirlo in modo
definitivo.
I nostri giovani non conoscono più le tabelline. Non imparano a memoria
quasi più nulla. La geografia gli è sconosciuta, l’arte, figuriamoci, non
contemplata. In un Paese come il nostro, l’Arte viene dopo. Certo, qualche eroe
insegnante c’è ancora, e questo va detto. Certo, qualcuno davvero appassionato
nel fare questo difficilissimo mestiere sopravvive alla desolazione. Ma sono
sempre di meno questi temerari. So della difficoltà dei molti che di fronte
all’aziendalizzazione (parola orribile) delle scuole, dei licei e delle
Università alzano le braccia, ormai arresi a questo metodo di evidente matrice
anglosassone.
Già. Perché l’importante ormai è copiare lo schema straniero, possibilmente
nordeuropeo, meglio ancora se americano. Perché loro sì che ci sanno fare. E
perciò invece di ridicolizzare una signora diventata famosa in cronaca perché
secondo lei le scuole in Sicilia non sono all’altezza di quelle finlandesi, ci
prostriamo. Balbettiamo. La nostra classe politica si giustifica.
Del resto, molto è stato fatto dai nostri politici appunto a favore della
dissoluzione della Scuola almeno da 50 anni. Ma anziché cercare soluzioni per
il recupero e per la valorizzazione delle menti dei nostri ragazzi e dell’
Istituzione scolastica<< in generale, ecco che parte la litania
autoflagellante, della quale i nostri media sono maestri:
“i nostri giovani sono
svogliati”, “non hanno voglia di fare nulla”, “sono ignoranti”.
Credete che siano frasi fatte? No, è la convinzione di molti. E a furia di
dirlo ancora in troppi se ne convincono. In questi anni ho incontrato molti
ragazzi animati da autentico spirito di conoscenza, di voglia di apprendere. E
quando capiscono cosa gli sta succedendo, cosa ci sta succedendo, cosa sta
succedendo alla nostra Nazione, lo vedi nei loro sguardi. Gli occhi ci dicono
molto: sorpresa, indignazione, determinazione. Noi delle generazioni precedenti
non eravamo più intelligenti, però sicuramente studiavamo nel modo giusto. I
fondamentali non erano mai messi in discussione. L’analisi logica e
grammaticale era noiosa, ma se ne riempivano pagine e pagine.
Oggi invece si discute se il liceo classico serva ancora a qualcosa. Sì,
perché la cultura secondo alcuni dovrebbe servire a qualcosa. Mi chiedo quindi
a cosa possano mai servire la pittura, la scultura, la musica, il teatro…. A
che diavolo servono le poesie? A cosa serve conoscere la storia, alla fine sono
morti tutti, per non parlare dell’archeologia. A cosa serve la filosofia? Solo
speculazioni di gente che aveva tempo da perdere. In fondo anche questi greci,
che barba che noia. Platone e Aristotele, chi erano costoro? Ma allora, a cosa
serve la scuola? Suggeriamo una risposta: forse a chiedersi dei perché? A farsi
delle domande? A capire?
Per rispondere a questa domanda potremmo tirare in ballo chi ha inventato
l’alternanza scuola-lavoro, ma non credo sarebbe in grado di risponderci.
L’unica cosa che sono stati capaci di fare è inventarsi i giovani apprendisti a
gratis, in pratica, che anziché stare seduti sui banchi lavorano in officina,
altrimenti li bocciano. E se ogni tanto qualcuno di loro ci perde la vita, pazienza,
che vuoi che sia, per acquisire “competenze”, questo e altro. Ributtante
degenerazione di un sistema che deve togliere alla scuola italiana la sua
funzione e la sua peculiarità, e del quale sistema la nostra classe politica,
efficacemente, si è fatta strumento attivo contro gli studenti, le loro
famiglie, gli insegnanti motivati e capaci.
A scuola bisogna tornare a studiare. Il tema oggi invece è quante pause si
fanno durante la giornata. E invece io penso che lo studio da seduti, su un
tavolo di lavoro, sopra dei libri debba tornare modus operandi. Recuperare la
concentrazione, questa sconosciuta, perché sostituita da un approccio mordi e
fuggi che fa dell’uso dei sistemi tecnologici digitali lo strumento principale.
Superficialità dell’approccio, metodo ridicolo, la ricerca diventa niente di
più se non lo smanettamento compulsivo di un cellulare durante il lavoro in
classe. Se vogliamo usare gli strumenti tecnologici, sarà bene studiare il
metodo di lavoro più adatto a queste giovani generazioni bombardate fin dalla
più tenera infanzia da una montagna di stupidaggini di facilissimo reperimento.
Poi i docenti universitari si chiedono perché i ragazzi siano sempre più
impreparati. Magari non agevolare il pattume ideologico del pensiero unico,
figlio del politicamente corretto, sarebbe stato utile, cari accademici.
Sarebbe sato utile dire NO, almeno qualche volta…
La scuola serve a divulgare conoscenza e a creare coscienze. Serve a
imparare a studiare, a faticare, a sacrificarsi. Serve ad aprire la mente. E
quindi sì alle materie tradizionali, con l’aggiunta significativa di discipline
motorie e artistiche, sì alla reintroduzione del latino alle scuole medie, no
all’anglicizzazione delle Università, no all’abolizione del Liceo classico. Si
al ritorno dello studio mnemonico delle tabelline, sì al ritorno dell’analisi
grammaticale, sì alla bella calligrafia in corsivo (vogliamo parlare
dell’aumento esponenziale dei bambini con problemi di dislessia negli ultimi 30
anni?), si all’esercizio della memoria con l’ausilio dello studio nostri
immensi poeti, si all’attività artistica e musicale, che con quella sportiva
sono i fondamenti dello spirito dei nostri giovani. Si all’esercizio di
scrittura dei temi, si allo studio della retorica come capacità di parlare di fronte
a una platea in ascolto, si all’approfondimento delle materie scientifiche. E
poi: selezione rigorosissima dei libri di testo, per i quali auspico un indice
(vedi Controriforma) di quelli che la sparano più grossa, tra ecologismo e
genderismo. Nei programmi di domani ci dovrà essere un postulato: infondere
l’amore per la cultura italiana.
Nel prossimo futuro, con l’auspicio di poter lavorare con tutti i patrioti
e recuperando anche quegli insegnanti e dirigenti scolastici che non hanno mai
smesso di credere al valore assoluto che la nostra scuola ha sempre
rappresentato, varrà la pena di creare sinergie tra le scuole, gli Istituti, le
Accademie, le Associazioni culturali, i gruppi di cittadini che lottano e
sperano in un futuro migliore per l’Italia e per i nostri giovani.
Il nostro motto dovrà sempre essere: “Sapere per pensare, conoscere per
agire”.
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