(cioè li fanno i coloni israeliani, con l'aiutino dell'esercito più "morale" del mondo)
Settlers are NOT innocent civilians
I nostri cuori sono con i sopravvissuti al pogrom di Hawara - Gideon Levy
Quando ti trovi nella strada principale di Hawara –ora
sotto una sorta di coprifuoco–, mentre i coloni teppisti passano, fermandosi
solo per provocare i residenti, e i volti allarmati e spaventati di donne e
bambini fanno capolino dalle finestre sbarrate – il tuo cuore sa esattamente
con chi stai. Non c’è alcun dilemma. Nel tuo cuore, nella tua anima e per i
tuoi valori, sei con le vittime.
Non hai nulla in comune con i teppisti che scendono dalle loro auto con la loro andatura da padroni e le loro grandi
kippas, sputando frasi malefiche a una manciata di residenti che, dopo quella
notte, hanno paura anche solo a respirare di fronte a loro. L’ebraico è l’unica
cosa che rimane in comune tra un ebreo israeliano con un residuo di compassione
e coscienza e coloro che hanno organizzato un pogrom nella città la notte precedente. Non hai nulla in comune nemmeno con quelle donne con i
loro enormi copricapi che stanno all’ingresso di una città che non è la loro,
reggendo le bandiere israeliane –le uniche consentite qui–, sorvegliate da un
veicolo militare. Cosa sono loro per me, o io per loro?
Questo accade nei territori occupati. Le spalle ai
manifestanti, il viso ai soldati: i soldati sono gli amici dei
tuoi figli e i figli dei tuoi amici, ma il tuo cuore è con coloro che stanno
dietro a te. Loro sono le vittime e sono nel giusto. Bianco e nero. Gli
americani dicono: “Le tue idee dipendono da dove ti trovi”. Ma ad Hawara è il
contrario: Il posto in cui ti trovi dipende dalle tue idee. Ti trovi ad Hawara,
o in qualsiasi città o villaggio palestinese occupato, perché così ti dice il
cuore.
Non ha più senso fingere buoni sentimenti. Non ha senso
diffondere slogan contro la “violenza da ambo le parti“.
La violenza nei territori non è simmetrica, né lo è la giustizia. Se i coloni e
i loro fiancheggiatori non provano compassione verso le loro vittime quando le
sfrattano, le saccheggiano o le sottopongono a un pogrom, allora non si può
provare compassione o solidarietà con i persecutori e i loro atti. Anche quando
subiscono sacrifici difficili da sopportare [come la perdita di due giovani
fratelli], non si può dimenticare chi è la vera vittima e da che parte sta la
giustizia.
A volte è anche difficile simpatizzare con i soldati.
Non si può simpatizzare con il soldato che assalta, anche se è uno della tua
gente. La nazionalità, l’eredità, la lingua e la cultura comuni perdono il loro
significato alla luce delle azioni compiute. L’uniforme e l’esercito che hai
venerato nella tua infanzia sono stati gravemente macchiati. Anche gli atti di
coraggio che ti sono stati raccontati da bambino non appartengono più a loro. I
combattenti palestinesi che li affrontano sono più coraggiosi di loro e più
disposti al sacrificio. Chiunque sia pronto a morire sotto il “rullo
compressore” israeliano, ad affrontare comportamenti più che barbari, è una
persona coraggiosa pronta a sacrificare tutto. Come si può non ammirarlo, anche
quando è diretto contro di te e il tuo popolo?
La destra ha attaccato coloro che hanno organizzato raccolte di fondi per le vittime del pogrom di Hawara. La sinistra sionista, essendo la sinistra sionista, ha
immediatamente macchiato il nobile gesto con lo spregevole tentativo di far
controllare ai pensionati dello Shin Bet il ‘record di sicurezza’ di coloro che
hanno ricevuto le donazioni. Non importa. Il gesto rimane nobile, nonostante la
grottesca sinistra sionista.
Come ci si può opporre alle donazioni ai sopravvissuti di
un pogrom perpetrato dal proprio popolo? Israele, che ha inviato aiuti ai sopravvissuti di un terremoto in Turchia, non è disposto a inviare un aiuto anche minimo alle
vittime dei suoi stessi facinorosi, che hanno ottenuto il plauso implicito ed esplicito di tutta la destra dello spettro? Nemmeno un bulldozer per
liberare le centinaia di scheletri di auto bruciate? Nemmeno un risarcimento per
coloro che sono rimasti senza casa a causa degli occhi deliberatamente chiusi
dell’esercito, che pensa che il suo compito sia quello di proteggere i
rivoltosi?
Quando si hanno davanti le vittime dell’occupazione, non ci
sono dubbi morali. La scelta tra Haroun Abu Aram e il soldato che gli ha sparato al
collo, paralizzandolo per il resto della sua breve vita, perché cercava di
recuperare un generatore, è assolutamente chiara. Il tuo cuore è con Haroun,
che nel frattempo è morto.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
Perché non ci sono due facce nel pogrom
di Huwara - Haggai Matar
Domenica mattina 26 febbraio, un uomo palestinese ha ucciso due coloni
israeliani – i giovani fratelli Hillel e Yagel Yaniv – che percorrevano in auto
le strade della città palestinese di Huwara, nella Cisgiordania occupata. Più
tardi, in giornata, centinaia di coloni hanno scatenato una furia di alcune ore in
Huwara e in diversi villaggi vicini, bruciando decine di auto e di case (alcune
con persone all’interno), lanciando sassi contro le ambulanze, ferendo
palestinesi e uccidendo bestiame. Un uomo palestinese, Sameh Aqtash, è stato ucciso da colpi
di arma da fuoco sparati dai coloni o dai soldati che li proteggevano.
L’attacco a Huwara, che molti definiscono un pogrom, ha generato in
Israele una protesta pubblica contro i coloni che lo hanno commesso. Migliaia
di persone sono scese in strada lunedì
sera in diverse città, per protestare contro l’occupazione e in solidarietà con
la popolazione di Huwara. Gli israeliani hanno raccolto oltre un milione di
shekel in 24 ore per sostenere le vittime. I commentatori dei telegiornali e i
membri della Knesset appartenenti all’opposizione hanno criticato aspramente i
coloni, l’esercito che non ha agito per fermarli e gli alti ministri del
governo che hanno incoraggiato la
distruzione della città (uno di questi ministri, il Ministro delle Finanze
Bezalel Smotrich, ha raddoppiato i suoi messaggi di pulizia etnica anche dopo
l’evento). I leader politici di tutto il mondo hanno subito seguito l’esempio.
Mercoledì, durante le massicce proteste della ‘Giornata di Rottura’ in tutto il
Paese, i manifestanti hanno cantato “Dov’eri a Huwara?” di fronte agli agenti
di polizia.
In risposta, molti esponenti della destra israeliana e i
loro lacchè nel mondo hasbara hanno sostenuto che è tendenzioso ‘preoccuparsi
solo’ degli attacchi degli ebrei contro i palestinesi e ignorare l’uccisione
dei due fratelli israeliani da parte di un palestinese. C’è molto da dire in
risposta a questa affermazione, e quanto segue è un tentativo di farlo. In
breve:
1. È tragico che vengano uccise delle persone. Tutte le
persone. Essere umani significa preoccuparsi e soffrire quando si perdono delle
vite. Questo è sempre vero, e certamente lo è nel caso dei giovani fratelli. Il
mio cuore va ai genitori che hanno perso due figli in un solo colpo. Se questo
non è chiaro a tutti –come dovrebbe– e se si sostiene che qualcuno “non si
preoccupa” di queste morti significa voler disumanizzare gli altri.
L’affermazione è ancora più scandalosa quando proviene, come spesso succede,
dagli stessi politici che giustificano gli assalti israeliani contro i
palestinesi e mostrano poco o nessun rimpianto per le morti di questi ultimi.
2. Esiste un intero sistema progettato per prevenire e
rispondere alle uccisioni di ebrei israeliani. C’è un esercito, una forza di
polizia, una polizia di frontiera, uno Shin Bet, persino un Mossad se
necessario, e un intero Stato costruito esclusivamente per proteggere gli
ebrei. I palestinesi, invece, non hanno nessuno che li protegga. L’esercito
spesso tace di fronte agli atti di terrore dei coloni, oppure si unisce a loro e li appoggia, come abbiamo
dimostrato in passato nel caso di milizie congiunte di coloni e soldati che attaccano e uccidono i palestinesi.
In casi rari ed estremi, come nel caso di Huwara questa
settimana, è possibile che i soldati intervengano e salvino i palestinesi dalle
loro case in fiamme per evitare che muoiano. Tuttavia, quegli stessi soldati
non penserebbero mai di sparare ai rivoltosi, come avrebbero fatto senza dubbio
se fossero stati palestinesi, o di effettuare arresti di massa; solo cinque
coloni delle centinaia che hanno partecipato all’attacco sono stati arrestati –
tra l’altro, non per aver attaccato i Palestinesi, ma per aver attaccato i
soldati – e tutti sono stati rapidamente rilasciati (per fare un paragone, più
del doppio di questo numero è stato arrestato durante la protesta nonviolenta
di sabato scorso contro il Governo a Tel Aviv, e più di quattro volte questo
numero è stato arrestato durante le manifestazioni di mercoledì).
Anche ora, tre giorni dopo, l’esercito continua a parlare
di “caccia al terrorista”, cioè all’uomo palestinese che ha sparato ai due
fratelli israeliani, ma nessuno parla della caccia a chi ha ucciso Sameh
Aqtash, o a chi ha dato fuoco alle case delle famiglie di Huwara. Ecco perché
dobbiamo gridare con forza soprattutto contro i terroristi ebrei.
3. C’è una differenza tra le azioni di singoli individui di
un gruppo oppresso che uccidono persone del gruppo potente, e la violenza della
parte forte che viene impersonata dallo Stato o sostenuta da esso. I pogrom
come quelli che abbiamo visto a Huwara, così come i bombardamenti dell’aviazione
israeliana a Gaza che distruggono intere famiglie,
non sono un’anomalia, ma una caratteristica del regime che abbiamo creato in
questo paese.
4. Di conseguenza, la nostra responsabilità come israeliani
per le azioni di altri israeliani, cioè di chi detiene tutto il potere, non è
la stessa della nostra responsabilità per le azioni dei palestinesi.
5. C’è qualcosa di ingannevole nell’inquadrare questa
storia esclusivamente intorno all’uccisione dei due fratelli israeliani a
Huwara, come se le azioni dei coloni fossero una mera “reazione”, un botta e
risposta iniziato dai palestinesi. Solo pochi giorni prima, l’esercito
israeliano ha ucciso 11 persone a
Nablus, alcune armate e altre no, in un brutale raid alla luce del giorno; non
c’è motivo di “far partire l’orologio” solo dall’uccisione dei fratelli Yaniv.
Inoltre, ai palestinesi sono stati negati per decenni i diritti fondamentali
dal regime israeliano – ma questo raramente, se non mai, influisce sul modo in
cui questi eventi vengono inquadrati.
6. Il che mi porta al mio punto finale: questa non è la
storia di “due parti che si combattono”. Non c’è uguaglianza sotto l’apartheid.
C’è una superpotenza regionale che possiede uno degli eserciti più forti e
sofisticati del mondo e che gode di un enorme sostegno internazionale, mentre
calpesta milioni di persone emarginate dal suo regime militare razzista. La
responsabilità ultima per tutto ciò che accade in questo Paese, compresa
l’uccisione dei due fratelli, è dello Stato che perpetua questa ingiustizia e
oppressione, e di tutti noi come suoi cittadini.
I Palestinesi come popolo, e persino l’Autorità
Palestinese, che per anni ha operato come subappaltatore dell’occupazione
israeliana, non hanno modo di prevenire il prossimo attacco da parte di
Palestinesi singoli, o quello successivo. Anche Israele non può prevenire tutti
gli attacchi, ma ciò che può e deve fare è scegliere un percorso basato
sull’uguaglianza e sulla giustizia per tutti.
Grazie a Sol Salbe per l’assistenza nella traduzione
dall’ebraico.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
La ferocia dei coloni israeliani ad
Hawara non è uno shock ma la vita quotidiana dei palestinesi in Cisgiordania -
Roberta Aiello
https://www.valigiablu.it/hawara-devastazione-coloni.../
Case bruciate, auto carbonizzate, alberi
distrutti. C'è ancora un intenso odore acre nella città di Hawara, a nord della
Cisgiordania. Per più di cinque ore, domenica scorsa, la furia dei coloni
israeliani si è abbattuta armata di pistole, spranghe di ferro, pietre, taniche
di benzina in uno dei più gravi episodi di violenza di massa commessi da loro
negli ultimi anni, all'indomani dell'omicidio di Hillel e Yagel Yaniv,
residenti dell'insediamento di Har Bracha, uccisi da un uomo palestinese.
«I coloni hanno attaccato la nostra casa,
hanno sfondato le finestre, bruciato le auto e i camion di mio nipote. Hanno
cercato di entrare nel mio autosalone e di dargli fuoco», ha raccontato a BBC
News Abdel Nasser al-Junaidi, residente della cittadina che si trova a circa
sei chilometri da Nablus.
«L'esercito non ha fatto nulla per
difenderci. Ha sostenuto i coloni e li ha protetti. Gli spari provenivano sia
dai coloni che da loro. Eravamo terrorizzati. È stato un attacco orribile e
barbaro», ha proseguito al-Junaidi.
L'esplosione di violenza – avvenuta
nello stesso giorno in cui Israele si è impegnato a fermare la creazione di
nuove unità di insediamento per quattro mesi e a bloccare l'approvazione di
qualsiasi nuovo insediamento per sei – è ancora sotto gli occhi di tutti.
Abitazioni distrutte, negozi dati alle fiamme insieme a decine e decine di
auto. Lunedì Hawara si presentava come una città fantasma, sotto assedio. Con
negozi chiusi e strade vuote. Solo i coloni potevano transitare per le strade
della città e la maggior parte lo ha fatto con aria di sfida e con 'rozza
provocazione': suonando i clacson, mostrando il dito medio e urlando slogan
come “morte agli arabi”. Lo racconta Gideon Levy sulle pagine di Hareetz.
Questa rabbia incontenibile ha provocato
una vittima. Due persone sono state colpite e ferite, una terza è stata
pugnalata e una quarta picchiata con una spranga di ferro. Altre 95 sono state
soccorse a causa dell'inalazione di gas lacrimogeno. Un'escalation d'ira che,
forse, avrebbe potuto essere fermata perché prevedibile. Avvenuta in uno dei
territori più militarizzati al mondo, tra l'altro.
Chiudere un occhio come è stato fatto
nei giorni scorsi – dice l'ex presidente della Knesset, Mickey Levy,
parlamentare del partito centrista Yesh Atid – rievoca ricordi dimenticati.
Quando le forze di difesa israeliane fecero altrettanto nel 1982, nei campi
profughi palestinesi di Sabra e Shatila, consentendo alle milizie falangiste
libanesi di commettere terribili massacri. Fortunatamente, domenica, non c'è
stato nessun massacro, perché i coloni si sono accontentati di seminare
distruzione, ma nessuno poteva sapere anticipatamente come sarebbero andate le
cose. Se i rivoltosi avessero voluto massacrare anche la popolazione, nessuno
si sarebbe opposto. Nessuno ha fermato i falangisti a Sabra e Shatila, e
nessuno si è opposto ad Hawara. Si rimane in attesa della prossima azione
ritorsiva, dopo che nessuno verrà assicurato alla giustizia e punito per il
pogrom di domenica. Per Levy, una nuova versione di Sabra e Shatila è solo
rimandata e nessuno sta facendo nulla per fermarla.
Editoriale di Haaretz : Il mondo intero
ha visto i coloni israeliani bruciare Hawara
La violenta furia di
centinaia di coloni palestinesi della Cisgiordania a Hawara, sulla scia
dell'attacco terroristico in cui sono stati uccisi Hillel e Yagel Yaniv,
residenti dell'insediamento di Har Bracha, è andata avanti per più di cinque
ore.
Centinaia di coloni hanno
lanciato pietre e incendiato case e veicoli. Un uomo di 37 anni è stato ucciso
e circa 100 persone sono rimaste ferite. “Sono entrati ovunque , hanno
incendiato case e vandalizzato auto”, ha detto ad Haaretz Abed
al-Rahman, un residente di Hawara. Ha chiarito che alcuni degli aggressori
portavano pistole e altri hanno lanciato bombe molotov nelle case . “Dall'interno
delle case si sentivano solo grida. Molte famiglie sono corse fuori per paura
di essere bruciate vive".
Non commettere errori sull'identità
dei rivoltosi. Yesh Atid MK Yoav Segalovitz ha capito bene quando ha
specificato : "Queste non sono persone che sono impazzite, sono
sostenute dai politici". Non è una questione di interpretazione.
Questo è ciò che il deputato parlamentare Zvika Fogel di Otzma Yehudit ha
ritenuto opportuno dire lunedì in risposta al pogrom .Alla domanda se
fosse soddisfatto dei risultati della rivolta, ha risposto: "Sono molto
contento, anche, perché ad Hawara hanno capito che esiste un equilibrio del
terrore . Le forze di difesa israeliane non lo stanno raggiungendo al
momento".
Ricorda queste
osservazioni la prossima volta che una persona "pienamente giusta"
pronuncia le parole "deterrenza" e "governabilità".
Questo è esattamente ciò che intendono. “In qualsiasi posto dove i
terroristi escono per uccidermi, sì, voglio vedere quel posto bruciare. Brucia
metaforicamente”, ha detto Fogel per spiegare la sua visione della
governabilità. In effetti il mondo intero ha visto bruciare Hawara. Non
metaforicamente.
Anche il ministro della
sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir ha affermato di "capire i
sentimenti" dei rivoltosi. Sebbene sia passato
attraverso la formalità di sintetizzare "Questo non è il modo",
non ha lasciato dubbi sui suoi veri sentimenti riguardo a ciò che è accaduto. Un
kahanista dichiarato , conosce sicuramente molto bene il testo della canzone
"May Your Village Burn".
In modo preoccupante,
anche l'IDF e la polizia sembravano aver perso il controllo degli eventi
domenica e non sono stati in grado di fermare il pogrom. Questo è motivo di
grave preoccupazione, dal momento che gli eventi nell'area di Nablus potrebbero
molto probabilmente innescare uno scontro più ampio in Cisgiordania, di cui
l'establishment della difesa ha a lungo avvertito.
E tutto questo sta
accadendo quando il governo israeliano è guidato da un imputato criminale
controllato da sfrenati estremisti nazionalisti e razzisti. Un governo che,
invece di curare la sicurezza dei suoi cittadini e dei soggetti sotto il suo
controllo, sta smantellando la democrazia, incendiando la regione e minando le
fondamenta dello Stato.
A Jenin, aiutare i feriti significa rischiare la vita
- Amira Hass
Alle squadre di soccorso è stato
vietato l'accesso all'area dei raid militari a Jenin per soccorrere i feriti
senza un precedente coordinamento, cosa che secondo i palestinesi non è
fattibile durante i raid di arresto
16 febbraio 2023
Dall'inizio di gennaio,
i residenti del campo profughi di Jenin e le squadre di soccorso palestinesi
della città sanno che le forze di difesa israeliane impediscono alle ambulanze
di accedere in tempo reale all'area dei raid militari per soccorrere i feriti.
L'esercito ha ordinato ai dipendenti dell'Autorità palestinese di inviare un
messaggio in tal senso alle squadre di soccorso durante i raid di gennaio a
Jenin, hanno riferito ad Haaretz i residenti del campo.
Per esperienza, i residenti sanno anche
che chiunque si avvicini ai feriti per prestare i primi soccorsi sta rischiando
la vita: un cecchino israeliano probabilmente gli sparerà. È così che un
cecchino ha ucciso Jawad Bawaqneh, 57 anni, il 19 gennaio. È anche il modo in
cui un soldato o un cecchino dell'IDF ha sparato e colpito il parabrezza
anteriore di un'ambulanza guidata dal 51enne Fadi Jarrar il 26 gennaio.
I portavoce delle forze armate e il coordinatore delle attività governative nei
territori hanno affermato in risposta ad Haaretz che non c'è nulla che
impedisca il salvataggio dei feriti, ma che deve essere coordinato per
"prevenire danni a passanti innocenti". Tuttavia, rispondono i palestinesi, il
coordinamento richiede tempo e non è fattibile in una situazione di urgenza
medica dove contano le vite umane.
La Croce Rossa, che a volte funge da intermediario tra l'IDF e i
medici palestinesi, non affronta direttamente questa disparità. Il 26 gennaio,
il giorno in cui un raid a Jenin ha provocato la morte di 10 palestinesi,
l'organizzazione ha pubblicato un avviso generale in cui si afferma che
l'evidente atto di accedere ai feriti non è stato onorato. “Il personale medico, le unità e le
strutture mediche devono essere protette e rispettate in ogni circostanza per
garantire alle comunità colpite il continuo accesso alle cure”, si legge
nell'insolito avviso inviato ad Haaretz in sostituzione di una risposta diretta
alla
nostra
domanda.
Grida
di aiuto
Jawad
Bawaqneh era
stato un insegnante di educazione fisica in un liceo di Jenin, amato da
generazioni di studenti, un uomo sorridente, “un amico dei suoi figli”. Nella
casa di famiglia sulla strada principale a nord del campo profughi di Jenin,
era il più anziano degli 11 che vivevano lì. La più piccola è sua nipote di 18
mesi.
Giovedì 19 gennaio la famiglia è stata svegliata verso le 2:30, come gli altri
residenti del campo, al suono della sirena. Quando i rumori delle
esplosioni e degli spari sono aumentati , la famiglia si è riunita in una
camera da letto interna appartenente ai genitori. Hanno esperienza, ha spiegato
il figlio maggiore Farid Bawaqneh. Una volta, durante una delle
precedenti incursioni dell'esercito, i proiettili hanno colpito la stanza dei
bambini.
Verso le 4 del mattino del 19 gennaio, hanno sentito grida di aiuto dalla
strada. Nonostante il pericolo, sbirciarono dalla finestra e hanno visto che
sulla strada sul lato orientale della loro casa d'angolo, accanto a un piccolo
negozio di telefonia mobile, giaceva un uomo che gemeva per il dolore. La prima
ad accorrere da lui è stata Jawad, Alaa, 34 anni, anche lei insegnante di
educazione fisica.
Tenendosi vicino al muro esterno, Alaa lo ha percorso per tutta la sua
lunghezza fino a raggiungere il ferito, che secondo lei giaceva a circa otto
metri dalla porta della loro casa. Successivamente si è scoperto che l'uomo era
Adham Jabareen, un membro della Jihad islamica. Non conosceva l'uomo, come
avrebbe detto in seguito all'investigatore sul campo di B'Tselem Abd al-Karim
al-Sa'adi. E' riuscita a trascinarlo per due o tre metri prima che suo padre si
unisse ad aiutarla, in pigiama.
Farid, che era accanto a suo padre, ha detto ad Haaretz la scorsa settimana che
"In seguito ci siamo resi conto che la grande quantità di sangue che
si era accumulata sotto la schiena di Adham, rendeva più facile
trascinarlo". Il padre si è inginocchiato, ha afferrato l'altra
mano del ferito e insieme alla figlia ha continuato a tirarlo. Farid pensa che
suo padre sia riuscito a tirare il ferito per non più di 40 centimetri quando
all'improvviso, davanti ai suoi figli sconvolti, la sua testa è caduta
all'indietro e la schiena si è piegata , lentamente, verso il gradino fuori
dall'ingresso.
Un proiettile lo aveva colpito alla spalla sinistra e gli aveva perforato il
petto. La sparatoria proveniva da est, dall'alto. Farid ha trascinato il padre
ferito sulla soglia. Quando la testa e il petto di Jawad erano già all'interno
della tromba delle scale e i suoi piedi erano ancora fuori dalla soglia, altri
colpi sono stati sparati contro di lui ed è stato ferito di nuovo, ha detto
Farid. Alcuni buchi , causati da quella sparatoria, sono già visibili
all'ingresso della farmacia accanto e del ficus lì vicino.
Un'ambulanza della Mezzaluna Rossa che cercava di raggiungere il sito è stata
ritardata di circa 45 minuti, ha detto Mahmoud al-Saadi, il direttore
dell'equipaggio dell'ambulanza dell'organizzazione. L'auto della famiglia
Bawaqneh era parcheggiata nel cortile interno . Così Alaa ha
accompagnato suo padre all'ospedale, dove è stato dichiarato morto.
Successivamente, anche il corpo di Jabareen è stato portato in ospedale. Farid
dice di non essersi accorto se, mentre giaceva ferito, accanto a lui c'era una
pistola. Era buio e c'è stata un'interruzione di corrente, ha detto.
La
Mezzaluna Rossa e la famiglia presumono che la fonte del proiettile letale che
ha ucciso Bawaqneh fosse su un alto edificio a circa 250 metri a est
della casa di famiglia, dove i soldati dell'IDF avevano occupato un
appartamento al quinto piano la notte della sparatoria. Gli inquilini
dell'appartamento hanno visto i soldati posizionare un fucile su un treppiede
nel soggiorno, dalla cui finestra si vede il campo e la casa dei Bawaqneh, e
hanno sentito gli spari da una stanza adiacente dove i soldati li avevano
rinchiusi.
Blocco di un'ambulanza
Una
settimana dopo, il 26 gennaio, l'esercito e la polizia israeliana hanno
nuovamente invaso, e inaspettatamente, in pieno giorno. Fadi Jarrar,
proprietario di una modesta compagnia privata di ambulanze e lui stesso autista
di ambulanze, stima di aver sentito la sirena alle 6:55 o alle 7:00. La
sua casa, sopra l'ufficio, è vicina al campo. Lui e il paramedico che lavora
con lui, Mohammad Balawi, hanno subito preso una delle tre ambulanze della
compagnia e sono stati raggiunti da un volontario, un infermiere dell'ospedale.
Volevano avvicinarsi il più possibile a chiunque avesse bisogno di cure e
soccorsi all'interno del campo.
La Mezzaluna Rossa aveva già riferito della prima vittima, Iz al-Din Salahat,
22 anni, un poliziotto delle forze palestinesi e un membro della sua squadra di
calcio. Quando Salahat ha notato i soldati israeliani sotto copertura, ha
sparato contro di loro, hanno detto i residenti del campo. È stato
immediatamente colpito alla schiena, hanno aggiunto. I soldati stessi non sono
stati visti nei vicoli. Alcuni sono rimasti in jeep blindate e altri sono stati
collocati in alcune postazioni di tiro ai piani superiori degli edifici che
avevano occupato all'inizio.
Ad ogni entrata del campo c'era un mezzo militare che bloccava l'ambulanza di
Jarrar, così ha fatto una deviazione, guidando lungo il pendio della collina su
cui è costruito il campo. “Gli shabab [i giovani palestinesi e i loro aiutanti]
ci hanno indirizzato verso un vicolo che scende al Jorat al-Dahab ”. In
questo quartiere si trovava la casa dove vivevano gli attivisti della Jihad
islamica ricercati dall'esercito israeliano. L'esercito l'ha bombardata con
nove missili LAU dopo che gli uomini si erano apparentemente rifiutati di
uscire.
Quando si salvano vite, ogni minuto è importante. Per noi, come équipe mediche,
nel momento in cui un uomo armato viene ferito smette di essere armato e
diventa una vittima che deve essere salvata”.
Jarrar ha parcheggiato la sua ambulanza in un posto sicuro, come ha detto
lui – in altre parole, non nell'area tra le jeep corazzate dei soldati e i
giovani del campo armati di fucili o sassi. Come sempre, lui e il suo team si
sono preparati per il momento in cui sarebbero stati informati che qualcuno era
stato ferito, avrebbero prestato i primi soccorsi o si sarebbero precipitati in
ospedale.
Dopo un po' qualcuno ha infatti gridato che c'era un ferito. Jarrar è avanzato
un po', sul pendio del vicolo, e i due paramedici sono scesi dall'ambulanza,
tornando con un uomo leggermente ferito. "Ci sono state molte
sparatorie", ha detto Jarrar. Mentre i suoi colleghi curavano l'uomo, ha
notato un giovane che era stato colpito ed è crollato. Alcuni giovani lo hanno
portato verso Jarrar, che ha fatto avanzare l'ambulanza di circa mezzo metro
verso di loro. La parte anteriore del veicolo sporgeva un po' oltre il muro
della casa ed entrava nel vicolo perpendicolare a loro.
Poi due colpi hanno perforato il parabrezza anteriore davanti al sedile del
passeggero, creando due fori . Non ha avuto il tempo di avere paura o di
pensare al paramedico Balawi, che stava curando il primo ferito. Il
secondo uomo portato per le cure è rimasto gravemente ferito. Mentre i due
paramedici cercavano di fermare l'emorragia, Jarrar ha iniziato a guidare in
retromarcia. Pensa che fossero circa le 9:00, ma non ne è sicuro.
All'uscita hanno incontrato un bulldozer militare, che non ha permesso loro
di proseguire in direzione dell'ospedale (a circa tre o quattro minuti di
distanza). Invece la deviazione è durata circa 15 minuti. Hanno
appreso il giorno successivo che l'uomo ferito aveva ceduto alle sue ferite. Se
il bulldozer non avesse bloccato l'ambulanza, se non fosse stato loro richiesto
di fare una lunga deviazione, la sua vita sarebbe stata salvata? Non lo
sappiamo. Poi i tre sono tornati nello stesso angolo del campo per curare gli
altri. Due settimane dopo, Jarrar non aveva ancora sostituito il parabrezza
dell'ambulanza con buchi. "Costa 2.000 ($ 565) shekel, e non abbiamo
quella somma", ha detto.
Erano
ben consapevoli del rischio quando si sono recati al campo. La Mezzaluna Rossa
a Ramallah li aveva informati che l'esercito non permetteva alle ambulanze di
entrare nell'area del conflitto. Collegato o no, ha detto Jarrar, "Il 19
gennaio, due jeep dell'esercito proprio accanto al mio ufficio ci hanno
impedito di uscire o salire sulle ambulanze".
I soldati che ritardano il lavoro delle squadre mediche palestinesi, anche
sparando e colpendo le ambulanze, non è una novità, a Jenin e altrove. La
differenza, ha detto Mahmoud al-Saadi, “è che questa volta ci hanno
ufficialmente informato che le ambulanze non possono entrare nell'area degli
incidenti”. La Mezzaluna Rossa lo ha appreso per la prima volta da un membro
del comitato di collegamento militare palestinese, circa 15 minuti dopo
l'inizio del raid del 19 gennaio.
Ecco come funziona: qualche ufficiale israeliano – di solito dell'ufficio di
collegamento e coordinamento distrettuale – contatta la sua controparte
palestinese e gli dà l'ordine oralmente (mai per iscritto), che dovrebbe
trasmettere al pubblico palestinese. Al-Saadi non ricorda esattamente chi ha
chiamato il 26 gennaio, "Ma sapevamo con certezza che gli israeliani
stavano vietando ancora una volta l'ingresso delle ambulanze al campo".
Circa un'ora e un quarto dopo, la Croce Rossa gli comunicò che le ambulanze
potevano viaggiare, ma "con cautela".
La Mezzaluna Rossa ha 25 dipendenti e sei ambulanze che lavorano a turni.
Quando ci sono irruzioni, circa l'80% del personale lavora, alcuni su base
volontaria. All'interno del campo, i volontari portano i feriti alle ambulanze
indipendentemente dal pericolo e dalla distanza. "Non vogliamo
trovarci direttamente all'interno della scena della sparatoria", dice
al-Saadi. “Lavoriamo con attenzione, ma il nostro obbligo di salvare vite viene
prima di tutto, e questa è la nostra missione. A volte, durante i raid,
evacuiamo anche persone che soffrono di ansia o addirittura di infarto dovuto
alla paura. È successo che i soldati ci hanno impedito di raggiungerli.
Quando si salvano vite, ogni minuto è importante. Per noi, come équipe mediche,
nel momento in cui un uomo armato viene ferito smette di essere armato e
diventa una vittima che deve essere salvata. Il divieto ufficiale israeliano,
impostoci, di operare correttamente durante un raid è nuovo per noi e mi
preoccupa. Ho paura sia per la squadra che per i feriti.
Nel raid più recente, le squadre della Mezzaluna Rossa hanno aiutato 20 feriti
e altri due che stavano soffocando per l'inalazione di gas lacrimogeni. Se
avessimo iniziato a coordinarci con l'esercito su come raggiungere ogni
individuo ferito, coordinamento che richiede tempo, avremmo perso almeno
quattro dei feriti gravi".
Al-Saadi è combattuto tra la dedizione professionale e la
responsabilità nei confronti dei feriti e la paura per il benessere delle sue
squadre, non solo a causa della sua posizione di direttore. Nel 2002, durante i
raid dell'IDF nel campo profughi durante la seconda intifada, ha lavorato come
paramedico a Jenin insieme a un medico della Mezzaluna Rossa, il dottor Khalil
Suleiman. Il 4 marzo è stato coordinato con l'esercito. Nonostante ciò, i
soldati hanno sparato un missile LAU contro l'ambulanza, che ha preso fuoco.
Al-Saadi e un altro paramedico sono riusciti a districarsi, ma i
soldati hanno continuato a sparare contro di loro. Il dottor Suleiman è morto
in ambulanza e l'ospedale governativo di Jenin è stato intitolato a lui.
L'ambulanza bruciata si trova ancora oggi nel cortile della Mezzaluna Rossa di
Jenin.
"Mia moglie non mi ha riconosciuto quando è venuta in ospedale", ha
detto al-Saadi. Le numerose operazioni su tutto il corpo che ha subito per
quasi cinque anni sono visibili sulle mani e sul viso. Quando parla del grave
infortunio, delle ustioni e dei dolori, non sembrano passati 20 anni.
Il 24 gennaio di quest'anno, in altre parole, due giorni prima del grande raid
a Jenin, il sito di informazione palestinese Sada News ha riferito
che “le forze di occupazione israeliane hanno informato il Comitato di
collegamento palestinese del divieto di ingresso di giornalisti, squadre di
soccorso e ambulanze durante gli attacchi delle forze di occupazione”. Il
rapporto aggiunge che il motivo della decisione è “salvaguardare il benessere
dei giornalisti e delle squadre di soccorso”, e che in
pratica ciò significa l'esecuzione dei feriti, che non saranno curati in tempo.
I fotografi palestinesi hanno detto ad Haaretz che l'esercito ha davvero
impedito loro di entrare nel campo il 26 gennaio.
Alla domanda di Haaretz se il rapporto fosse corretto, il 24 gennaio il
portavoce del coordinatore delle attività governative nei territori ha risposto
che “l'IDF consente il libero accesso alle équipe mediche e dei
media in tutta la Giudea e la Samaria.
Nel corso dell'attività operativa per prevenire il terrorismo, c'è un
colloquio con le entità palestinesi interessate, al fine di renderle
consapevoli dei possibili rischi, e quindi di aiutare a prevenire danni a
spettatori innocenti, comprese le squadre mediche e dei media". Il
portavoce dell'IDF e il COGAT non hanno risposto a un'altra domanda dettagliata
di Haaretz riguardante l'apparente processo di coordinamento che dovrebbe
esistere tra palestinesi e israeliani, al fine di garantire il rapido ingresso
delle squadre di soccorso.
Il portavoce dell'IDF e del COGAT hanno inviato la stessa risposta di prima,
aggiungendo la frase: "L'affermazione secondo cui le forze
israeliane impediscono alle squadre mediche di somministrare cure mediche non è
corretta". Il portavoce dell'IDF ha risposto che "le circostanze
della morte delle persone uccise [incluso Bawaqneh] il 19 gennaio 2023 sono in
fase di esame". Una fonte della difesa ha affermato che non è stata
presentata alcuna denuncia in merito allo sparo sull'ambulanza di Jarrar e, se
ce n'è una, "sarà esaminata come al solito".
Jarrar ha specificato di aver presentato una denuncia dopo che i soldati
hanno sparato sull'ambulanza al checkpoint di Jalameh l'anno scorso, e
che non ne è venuto fuori nulla. "So che non ha senso
presentare un reclamo."
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