Sono serviti quasi sette milioni di
morti dovuti al Covid affinché l’Organizzazione per la Cooperazione e lo
Sviluppo Economico (OCSE) riconoscesse che i sistemi sanitari di tutti i Paesi
membri – che sono sostanzialmente tutte le economie avanzate capitaliste del
pianeta – si sono fatti trovare drammaticamente impreparati e sottofinanziati
all’appuntamento con la pandemia. Dopo decenni passati a predicare l’austerità
e la riduzione del ruolo dello Stato nell’amministrazione della cosa pubblica,
l’OCSE è così costretta a mettere nero su bianco che lo Stato deve mettere soldi, tanti soldi, per evitare
che la salute della popolazione si deteriori in maniera inesorabile nei
prossimi anni. È quello che si può leggere in un recente
rapporto,
intitolato Ready for the Next Crisis? Investing in Health
System Resilience. Le criticità individuate sono note a chiunque abbia
avuto la sfortuna di avere bisogno di assistenza medica negli ultimi anni:
personale gravemente sottodimensionato, investimenti in strutture e macchinari
sempre più carenti, spese in prevenzione totalmente insufficienti e tutto il
campionario degli orrori con cui si confronta chi entra oggi in un ospedale
pubblico.
In uno scenario che, se si guarda
alla situazione media di tutti i paesi OCSE (i paesi più ‘avanzati’ del mondo),
è sconfortante, l’Italia spicca e lo fa per le ragioni sbagliate. Non può essere
una novità, d’altronde. Nei primissimi giorni della pandemia provammo a tracciare
un bilancio degli
effetti dell’austerità sulla sanità italiana: spesa pubblica corrente nella
sanità (che include gli stipendi dei lavoratori del settore) diminuita in
termini reali del 12% tra il 2009 e il 2018; investimenti pubblici in sanità,
quali ad esempio l’acquisto di strutture e macchinari, che nello stesso periodo
soffrono un taglio del 44%; carenze d’organico ad ogni livello, dai medici fino
agli infermieri. Una serie di numeri che possono apparire astratti, ma che
hanno un riflesso drammaticamente tangibile nella nostra vita quotidiana e che
mostrano tutta la loro violenza quando andiamo a vedere come il numero di posti
letto ospedalieri ogni mille abitanti fosse, nel 2020, un terzo di quello che
avevamo nel 1980 (3,19 posti letto ogni 1000 abitanti nel 2020, 9,61 nel 1980,
secondo dati OCSE).
Che fare per arrestare questo
sfacelo? Una risposta sicuramente prudenziale la fornisce lo stesso Rapporto
dell’OCSE di cui parlavamo all’inizio di questo articolo: aumentare
sostanzialmente la spesa in sanità fino a portarla al 10.1% del PIL di ciascun Paese membro. Arrivati a
questo punto, può essere utile confrontare queste prescrizioni con quanto sta
concretamente facendo in merito il Governo Meloni. Anche qui, purtroppo, siamo
costretti a tornare su quanto
già detto e ridetto: nell’ultima Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza,
licenziata a novembre 2022, si può notare come la spesa sanitaria in rapporto
al PIL sia prevista al ribasso per
gli anni a venire, partendo dal 7,2% del 2021 per poi scendere al 7%, 6.6%,
6.2% e 6% negli anni fino al 2025 (come si può leggere
nel documento approvato dal Governo qui, Tavola I.3B). Un provvedimento
rivendicato con orgoglio e senza alcuna vergogna dal Presidente del Consiglio
nella conferenza stampa di fine anno: leggere l’ultima domanda nella trascrizione dell’intervista per credere.
Detto in parole povere, il Governo
Meloni, in totale e perfetta continuità con gli esecutivi che l’hanno
preceduto, persevera senza esitazione nel progetto pluriennale di distruzione
del sistema sanitario nazionale, un progetto che è un attentato diretto alla
salute delle milioni di persone che non hanno i soldi per curarsi nella sanità
privata e che possono solo sperare di non ammalarsi per evitare di dover
iniziare un percorso che unisce alla disgrazia della malattia anche la beffa di
liste d’attesa chilometriche, strutture fatiscenti e personale sanitario
sfinito da turni massacranti. Non è retorica, purtroppo, ma ciò che ci dice
l’OCSE e che ci dicono i dati sugli oltre 4
milioni di italiani che hanno rifiutato le cure per via delle liste d’attesa troppo
lunghe. È inoltre ciò che, in spregio del ridicolo, ci dicono le Regioni, governate dalle stesse forze
politiche che a livello di Governo centrale devastano la sanità pubblica: “Se
davvero il livello di finanziamento del SSN per i prossimi anni dovrà
assestarsi al 6% del PIL, prospettiva che le regioni chiedono che venga
assolutamente scongiurata, occorrerà allora adoperare un linguaggio di verità
con i cittadini, affinché vengano ricalibrate al ribasso le loro
aspettative nei confronti del SSN. Saranno necessarie scelte dolorose, ma non più procrastinabili, al fine di
evitare che le mancate scelte producano nel sistema iniquità ancora più gravi
di quelle già presenti”.
Il Governo Meloni ha il pregio
indiscutibile di essere totalmente trasparente e privo di qualsiasi pudore
riguardo alle sue priorità: la salute e il benessere della popolazione sono un
orpello da sacrificare sull’altare della fedeltà al dogma dell’austerità
fiscale e un boccone da offrire in pasto a chi macina milioni su milioni di
profitti con la sanità privata. Forte e spietato con i deboli, che siano i
pazienti in attesa di essere curati o i migranti lasciati morire in mare senza
batter ciglio, debolissimo e servile contro i forti, che siano i guardiani
europei della disciplina di bilancio o il padronato nostrano che richiede
manodopera da sfruttare.
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