Nella giornata in memoria della tratta
transatlantica verso le Americhe parliamo del ruolo che la schiavitù ha giocato
nel costruire il mondo che oggi abitiamo.
“Senza la schiavitù non ci sarebbe stato il
cotone,
senza il cotone non esisterebbe l’industria moderna”
Karl Marx The Poverty of
Philosophy, 1846–
Ad inaugurare il commercio degli schiavi
fu il Portogallo, in principio tramite accordi commerciali con il reame di
Ndongo proprio all’inizio del XVI secolo.
La tratta nelle regioni nordamericane avvenne più tardi e viene fatta risalire
a una vicenda storica precisa. Nel 1619 la nave negriera portoghese São João
Bautista fu sequestrata da due navi pirata inglesi. L’imbarcazione venne poi
portata a Point Comfort, un porto vicino a Jamestown, la capitale della colonia
inglese della Virginia. Qui per la prima volta un carico di schiavi africani fece
la sua comparsa nei territori che più tardi sarebbero diventati gli Stati
Uniti.
La schiavitù esisteva in Africa e in
Europa ancora prima della tratta in America. Ma, per dirla come Karl Marx,
quello che divenne il commercio degli schiavi verso l’America non ha eguali
nella storia.
Prima dell’espansione verso il Nuovo Mondo, la riduzione in schiavitù di una
persona non seguiva regole collegate al concetto di razza. In particolare, in
Europa poteva essere ridotto in schiavitù chi non era cristiano.
All’inizio del 1500 non esisteva un grande commercio di schiavi come al tempo
dell’Impero Romano, ma gli europei meridionali lungo la costa mediterranea
erano soliti acquistare schiavi da varie parti dell’Europa orientale,
dall’Asia, dal Medio Oriente e dall’Africa. La religione era la base
discriminante tra chi poteva essere reso schiavo e chi no.
Quando i Portoghesi cominciarono a
commerciare esseri umani dall’Africa all’America, ricorrevano alla scusa
religiosa per giustificare le loro azioni. Ma quando gli schiavi cominciarono a
convertirsi al cristianesimo, i proprietari terrieri portoghesi si trovarono di
fronte a un dilemma. Cosa poteva permettere a un conquistatore portoghese di
abusare sempre dello schiavo africano e non rischiare mai in prima persona la schiavitù?
Il colore della pelle.
“I concetti europei di conquista combinavano pregiudizi religiosi e stereotipi
di inferiorità fisica e mentale per giustificare la sottomissione come forza
civilizzatrice. […] Con l’aumento degli incentivi economici alla sottomissione,
gli stereotipi razziali europei sugli africani divennero sempre più
sprezzanti. Come
nota la storica Ira Berlin, durante l’espansione del Nuovo Mondo,
gli europei inizialmente caratterizzavano gli africani occidentali e centrali
come ‘furbi, astuti, ingannevoli… forse troppo intelligenti’. Questi stereotipi
non erano diversi da quelli che gli europei si facevano l’un l’altro e rivelano
un senso di competizione paritaria piuttosto che di superiorità bianca. Con
l’avvento della schiavitù africana nel Nuovo Mondo, gli europei cambiarono
questi stereotipi per sostenere una gerarchia razziale in cui gli africani e
gli afroamericani erano rappresentati come animali, servili, poco intelligenti
e sessualmente promiscui. […] Il
razzismo del Nuovo Mondo si sviluppò per giustificare la schiavitù”.
Se intendiamo il razzismo come la paura
del diverso, allora è un sentimento sempre esistito nell’umanità. Il disprezzo
verso alcune culture, come quella ebraica, è antichissimo.
Ma se ricerchiamo l’origine del mero termine, troviamo le sue radici nella
tratta degli schiavi in America. È qui che l’idea della razza viene presa e
inserita stabilmente all’interno di una gerarchia sociale per giustificare lo
sfruttamento lavorativo di alcuni a vantaggio economico di altri.
Il concetto di razza ha pesantemente influenzato la cultura dell’Europa
occidentale. La tratta degli schiavi in America è stato il primo crimine
compiuto in suo nome, ma non l’ultimo, come ben sappiamo.
E ancora oggi la linea del colore della pelle traccia confini tra chi produce e
chi consuma e tra chi viene sfruttato e tra chi sfrutta.
Infatti, un’altra delle ragioni per cui
vale la pena dedicare una giornata alla memoria delle vittime della tratta è la
creazione, grazie al lavoro degli schiavi, dell’economia di mercato moderna. La
fortuna di tale sistema economico lo si deve soprattutto all’agricoltura di
piantagione su larga scala dei vasti territori delle Americhe.
“Il lavoro degli africani schiavizzati era fondamentale per due ragioni
principali. In primo luogo, per le Americhe i mercati disponibili per le merci
da esportazione ingombranti erano inizialmente in Europa. Dato l’elevato costo
del trasporto transatlantico […], i costi di produzione di questi beni dovevano
essere molto bassi per avere mercati sufficientemente ampi all’estero […]. In
secondo luogo, con una disponibilità illimitata di terreni agricoli nelle
Americhe, la produzione su larga scala, che avrebbe richiesto il coinvolgimento
di lavoratori salariati liberi, era praticamente impossibile. Alla fine, la
soluzione a lungo termine del difficile problema è stata trovata
nell’importazione di prigionieri dall’Africa per la schiavitù in America,
Brasile, Caraibi e Stati Uniti. Il successo di questo esperimento è stato tale
che i costi di produzione dello zucchero, del tabacco, del cotone, del caffè e
di molti altri prodotti di base furono drasticamente ridotti, portando i loro
prezzi in Europa alla portata anche della gente comune[1]“.
Il prodotto più importante
dell’agricoltura commerciale americana, in particolare dell’America del Nord,
fu il cotone. Dalla schiavitù e dal cotone possono essere ricondotti tre
elementi fondamentali della storia del sistema economico odierno: la creazione
del mercato dei mutui americano, la creazione di Wall Street e la rivoluzione
industriale inglese (e poi europea).
Facendo riferimento a un
dettagliato articolo del New York Times, la proprietà umana
negli Stati Uniti ha contribuito in modo preponderante alla creazione del
mercato dei mutui, poiché gli schiavi venivano utilizzati come ipoteca dai
padroni bianchi. Con le parole dello storico americano Joshua Rothman:
“L’estensione delle ipoteche alle proprietà degli schiavi ha contribuito ad
alimentare lo sviluppo del capitalismo americano e globale”.
Il mercato dei mutui sugli schiavi ha
anche attirato la speculazione finanziaria. Le speculazioni portarono allo
scambio di obbligazioni che permettevano ai finanzieri europei di arricchirsi
senza essere direttamente coinvolti nel commercio umano della schiavitù. La creazione
della ricchezza di Wall Street è diretta conseguenza di questi scambi, che deve
tutto al lavoro schiavistico.
“Le fabbriche di New York producevano gli attrezzi agricoli che gli schiavi del
Sud erano costretti a tenere in mano e il tessuto ruvido chiamato negro cloth indossato sulle loro spalle. Le navi
provenienti da New York attraccavano nel porto di New Orleans per servire il
commercio di schiavi nazionali e internazionali (allora illegali). Come ha
dimostrato lo storico David Quigley, il fenomenale consolidamento economico di
New York City fu il risultato del suo dominio nel commercio del cotone del Sud,
facilitato dalla costruzione del Canale Erie. È in questo momento – i primi
decenni dell’Ottocento – che New York si è guadagnata lo status di colosso
finanziario grazie alla spedizione del cotone grezzo in Europa e al
finanziamento dell’industria del boom che la schiavitù ha prodotto”.
Ma il cotone ha avuto un ruolo
fondamentale anche nel più importante volano del progresso tecnologico europeo:
la rivoluzione industriale (3).
I porti europei che scambiavano le merci dall’America erano diventati luoghi di
ricchezza, e questo è particolarmente vero per l’Inghilterra. Le contee di
Lancashire e West Riding of Yorkshire erano tra le più povere, ma quando i
vicini porti limitrofi diventarono punti nevralgici dello scambio atlantico, le
due contee si arricchirono a tal punto che il commercio del cotone le rese
protagoniste della rivoluzione industriale. Rivoluzione che ha interessato come
primo settore quello tessile.
La schiavitù è alla base del capitalismo
americano e della cultura spregiudicata su cui si sorregge. Il commercio
atlantico costituisce le fondamenta su cui liberali come Adam Smith hanno
sostenuto che il “progresso” poteva essere perseguito con un’espansione
dell’economia di mercato ad altre di sussistenza, idea che l’Inghilterra
inseguì nella conquista dell’India (3). La razza giustificò la colonizzazione
del continente africano, la sua depredazione, la distruzione dei suoi popoli,
regni e storie. Continente che ancora oggi è incastrato tra un debito che non
gli permette di crescere e prestiti che non fanno che indebitarlo, saccheggiato
delle sue risorse minerali per sostenere l’industria tecnologica e il benessere
occidentale (e ormai anche quello cinese e russo). Aggiungiamoci pure che le
storture di questo mercato portano la ricchezza globale a una concentrazione
sempre maggiore, tutta nelle mani di pochi padroni che non si accontentano più
solo delle vite degli sfruttati del cosiddetto “terzo mondo”, ma cercano di
saziare la loro ingordigia anche con i
diritti dei lavoratori loro connazionali.
Servono altre ragioni per commemorare la tratta atlantica?
[1] , 2, 3 The Atlantic Slave
Trade: Effects on Economies, Societies and Peoples in Africa, the Americas, and
Europe, di Joseph E. Inikori Stanley L. Engerman, pubblicato dalla Duke
University Press (2020)
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