Alcuni fatti molto recenti che si sono verificati nel continente
latinoamericano rappresentano un giro di vite nella militarizzazione dei beni
comuni, per via legale o di fatto, ad opera dei governi e delle loro forze
armate o di gruppi armati irregolari che agiscono liberamente quando gli Stati
lo consentono.
La scorsa settimana si è appreso che il governo argentino, attraverso lo
Stato Maggiore delle Forze Armate, ha annunciato otto piani di intervento
militare che prevedono la militarizzazione di aree con risorse naturali e spazi
sovrani, come Vaca Muerta[1] (il più grande giacimento di idrocarburi dell’Argentina) l’Atlantico
del Sud e le zone di estrazione del litio. In questo modo, sostiene l’agenzia
di stampa Tierra Viva che ha diffuso la notizia, il governo
impiega risorse militari per proteggere l’attività svolta dalle multinazionali.
Questa è solo l’ultima di una lunga serie di militarizzazioni, che vanno da
quelle messe in atto dai governi del Messico e del Venezuela a quelle adottate
dai governi del Perù e del Cile. Questi ultimi si sono recentemente contraddistinti
per la violenza indiscriminata contro la popolazione aymara e quechua del
Sud peruviano (Dina Boluarte) e per il massiccio coinvolgimento delle forze
armate nella difesa delle imprese forestali di fronte al popolo mapuche (Gabriel
Boric).
Il governo brasiliano di Jair Bolsonaro aveva consegnato il controllo
dell’Amazzonia alle forze armate, che la proteggono fin dai tempi della
dittatura militare (1964-1985), ma ora il governo di Lula da Silva sembra
deciso a rinnovare la licenza ambientale all’impianto idroelettrico di Belo Monte, una gigantesca diga
in territorio amazzonico che ha causato una grave crisi umanitaria e ambientale
in una delle regioni più ricche di biodiversità della più grande foresta
pluviale del pianeta.
Secondo Silvia Adoue, insegnante presso la scuola Florestan Fernandes del
Movimento Sem Terra, Lula ha deciso, dopo un incontro con le forze
armate, di destinare il Fondo per l’Amazzonia all’aumento della presenza della
Polizia federale e della Polizia stradale nazionale in territorio amazzonico;
ha deciso inoltre che i crediti di carbonio siano investiti nella sorveglianza
della regione da parte delle forze armate, le quali verrebbero meglio
equipaggiate per svolgere questi compiti.
Non si fa menzione della possibilità di ridurre l’estrazione di minerali
dall’Amazzonia. Adoue conclude, in una sua comunicazione personale, che l’avidità
risvegliata nella società nel suo insieme dalla domanda di minerali per
l’industria 4.0 crea un nuovo individualismo estrattivista che contamina tutte
le relazioni.
La militarizzazione delle risorse naturali (beni comuni per la vita dei
popoli, secondo noi) per favorire il loro sfruttamento da parte delle multinazionali
è diventata una caratteristica strategica del capitalismo neoliberista in
questa fase di estrema violenza.
La responsabile del Comando Sud degli Stati Uniti, generale Laura Richardson, ha sottolineato l’importanza dei beni comuni latinoamericani per il suo paese e ha
posto l’accento sul Triangolo del litio (Argentina, Cile e Bolivia), sull’oro
del Venezuela e sul petrolio in Guyana; ha ricordato inoltre che il 31%
dell’acqua dolce mondiale si trova nella regione. Per tutti questi motivi, ha
concluso, gli Stati Uniti hanno molto da fare in questa regione.
Nella loro competizione con la Cina, gli Stati Uniti devono subordinare
ancora di più il loro ‘cortile di casa’, in modo analogo a ciò che avviene con
l’Europa, sebbene con caratteristiche diverse. Come fornitori
storici di materie prime, dobbiamo continuare a muoverci in questa direzione
subordinando la sovranità delle nazioni alle esigenze dell’impero. Di che
impero si tratti, è necessario chiarirlo.
Se la militarizzazione ha un carattere strutturale, ciò significa che, per
i popoli indigeni e i settori popolari, nelle aree in cui opera l’alleanza tra
militari e multinazionali i diritti e la legalità costituzionale vengono meno. Di
conseguenza, appellarsi a quei diritti ha senso solo in termini di propaganda,
per mostrare che le regole definite dal sistema non vengono osservate. Ma
sarebbe molto irresponsabile costruire strategie sulla base di diritti che non
saranno rispettati.
Per questo dobbiamo rispondere all’interrogativo su come difendere i beni
comuni dalla guerra contro i popoli e contro la vita. Si tratta in realtà di
uno dei compiti più complessi che ci attendono, perché non ci sono precedenti,
dal momento che la svolta militarista del capitalismo e il sequestro degli
Stati da parte del capitale finanziario hanno modificato le regole del gioco.
I popoli riuniti nel CNI (Congresso Nazionale Indigeno) e nell’EZLN
(Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale) hanno messo in atto la resistenza
civile pacifica, che ha enormi costi di logoramento per le comunità e una
grande virtù: è volontà dei popoli non entrare in una guerra che può solo
giovare al capitale.
Nel corso di questo mese il CNI effettuerà una lunga carovana attraverso vari Stati del sud, che
si concluderà con un incontro internazionale a San Cristóbal de las Casas, con
lo slogan: Il Sud resiste! Affiancare la carovana è uno dei compiti
necessari per passare dall’indignazione di fronte a tanta rapina all’azione
collettiva per la difesa della Madre Terra e dei popoli che la abitano.
Fonte: “Extractivismo rima con militarismo”,
in La Jornada
Traduzione a cura di Camminardomandando.
[1] Sull’estrattivismo a Vaca Muerta si veda in comune-info.net: “Vaca Muerta, la frontiera estrattiva”.
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