giovedì 13 aprile 2023

L’imperialismo d’Oriente e quello d'Occidente: dalla padella alla brace

 

Gli applausi non mancano (anche se qualcuno nasconde le mani dietro la schiena…) approvando i recenti accordi commerciali stipulati fra l’impero “socialista” cinese e alcuni Stati in via di sviluppo (…come il Brasile) verso quel modo e quei rapporti di produzione che vengono spacciati per socialismo secondo l’interpretazione di Pechino e della banda politica di Xi Jinping. Contribuirebbero - ci raccontano alcune anime belle che si spacciano per intellettuali o esponenti del moderno pensiero di… “sinistra”! - a risanare gli sconvolgimenti del mondo attuale. Assesterebbero una serie di colpi, certamente non graditi, a quel dollaro americano che starebbe per essere messo in secondo piano da parte dello yuan e del _rea_l brasiliano in una serie di importanti transazioni commerciali.

Gli estimatori delle imprese pechinesi – a cui dovrebbe andare l’entusiastico appoggio di un… multiforme movimento “comunista” sparso nel mondo – vanno in brodo di giuggiole davanti agli affari collegati agli scambi di merci tra Cina e Brasile: ben 150 miliardi di dollari nel 2022. E sarebbero stati più di 70 miliardi (sempre e ancora dollari dell’imperialismo Usa!) gli investimenti cinesi in America Latina tra il 2007 e il 2020… Alla ricerca di quote di quel plusvalore - derivante dallo sfruttamento di forze-proletarie sparse nel mondo del capitale – che la Cina accumula per… costruire il socialismo!

Altri accordi sono stati stipulati con Argentina e Russia, con lo scopo – sempre nei racconti ufficiali – di minare la centralità economica occidentale e assestare una serie di sonori schiaffi alla “arroganza statunitense”, facendo aumentare la…. semplicità e la modestia del “capital-socialismo” cinese.

Per questi obiettivi, il PCc non fa che incitare le imprese affinché possano acquisire una maggiore forza produttiva e competitiva, entrando nella fascia alta della catena del valore globale. Dalle sfere del governo arrivano in continuazione appelli, e direttive, affinché si faccia solida la base “per costruire una superpotenza economica, quella di una nazione socialista modernizzata ricca, forte, democratica, civile, armoniosa”… Si potenziano così le nazionali “catene del valore” , si riducono le dipendenze dai mercati esteri e si amplia la competizione (rigorosamente “mercantile”) a livello globale.

Dopo di che si alza l’ammirazione per i successi dell’economia dei BRICS, un “sistema” (?) che viene valutato superiore a quello occidentale e che quindi farebbe ben sperare in un capitalismo “riveduto e corretto”, capace – in connessione con la Shanghai Cooperation Organization (SCO) – di rinnovare e rafforzare il commercio internazionale… capitalista. Semplicemente cambiando la valuta (yuan invece che dollari) per il comando degli scambi di merci.

Dunque – avanti verso il “socialismo del XXI° secolo”. Un capitalismo non più unipolare bensì multipolare, capace finalmente di espandersi con uno sviluppo accelerato… Buon ultima l’adesione, a pensieri di questo livello, da parte di personaggi (è la volta di Ferrero, ex segretario di Rifondazione ed ex ministro) che dichiarano di scavare nel “pluralismo economico” di questa ”fase di passaggio” che starebbe attraversando il capitalismo (di grazia: verso cosa?). E vedono, al posto della Madonna, centri imperialisti come Cina e Russia che reclamano spazi nel campo di quella finanza che – dato il ruolo centrale (“di comando nel modo di produzione capitalistico”…) - avrebbe anche nel “socialismo del XXI° secolo”.

Si tratterebbe di “un mutamento degli equilibri di potere”, oltre che di “un fatto politico”…: verso il socialismo? Già, una “posizione di rendita” che Pechino e Mosca reclamano e non vogliono lasciarsi sfuggire nella conquista di un loro più elevato posto della gerarchia mondiale imperialistica. Nel nome – s’intende… - di una “nuova cooperazione tra i popoli e paesi”. Sempre, e questo sia chiaro, restando immutati i rapporti di produzione che oggi stanno portando verso un baratro senza fondo il futuro degli uomini e della stesso pianeta che li ospita.

Basta – dunque – con i “vantaggi politici, militari, commerciali e geostrategici “ degli Usa. Vogliamo – si richiede a gran voce - mercati normali e liberi, che consentano anche alla Cina (che “ha forza, saggezza storica e una crescente capacità di stringere alleanze”) e alla Russia (che “stava ricostruendo la sua economia, il suo tessuto produttivo, il suo efficiente complesso militare-industriale”) di soddisfare i “reciproci interessi e vantaggi”. Che diamine, le merci si scambiano a questo scopo! Avanti, dunque, verso una riorganizzazione del capitalismo nel nome degli interessi nazionali di ciascun paese e – soprattutto – verso un obiettivo che la “nuova sinistra” definisce di portata storica: la fine del dominio politico-militare e culturale dell’Occidente affinché prevalga e s’imponga quello dell’Oriente: da un centro imperialistico ad un altro. Lunga vita al capitale!

A noi il difficile compito di risparmiare al proletariato una tragica caduta in quest’altra trappola mortale, che il capitale tinto in giallo sta allestendo, questa volta ad Oriente!

da qui

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