Le recenti esternazioni di esponenti del governo si schierano
apertamente a favore del padronato, rivelando un disegno organico e complessivo
di attacco ai diritti dei lavoratori, il cui principale artefice è il Pd. Tale
attacco si sta sviluppando in una serie di provvedimenti legislativi, tra cui,
oltre al Jobs Act, figurano le norme sulla rappresentanza sindacale e il
recente disegno di legge per regolamentare il diritto di sciopero che, di
fatto, marginalizza i sindacati conflittuali e introduce una visione
bonapartista e autoritaria del rapporto di lavoro. Intanto la sinistra
“moderna” dei Civati e dei Vendola si intestardisce nella ricerca di un dialogo
con il renzismo, rinunciando a dare prospettiva politica alle lotte di
lavoratori e lavoratrici.
Ci sono lotte che hanno di per sé un
significato politico, perché, in maniera più o meno chiara, danno idea della
fase storica e politica entro la quale si stano svolgendo; o anche perché
indicano una direzione di lotta più generale, che va ben oltre il contesto nel
quale si svolge, e possono perciò fungere da indirizzo politico più ampio della
rivendicazione specifica.
Un esempio di lotta dai chiari
contenuti politici in questi giorni viene da Bologna, dove una trentina di
lavoratrici e di lavoratori sono in sciopero e bloccano la Mr. Job, azienda del
settore della logistica, legata da contratti di appalto al colosso commerciale
Yoox. Una lotta che è cominciata circa un anno fa è cominciata circa un anno fa,
con lavoratrici e lavoratori a bloccare i cancelli per protestare contro gli
abusi in azienda e l’aumento dei carichi di lavoro. Una lotta che prosegue oggi
contro il licenziamento di otto lavoratrici che si oppongono al cambio di
mansione e di sede, cioè a quella flessibilità tanto pretesa da governo e
padroni, che non per caso è uno dei punti centrali del Jobs act.
Il valore politico di lotte come queste lo si
evince palesemente dal fatto che la lotta delle lavoratrici della cooperativa
Mr Job sta assumendo un carattere nazionale.
Pietro
Ichino ha rilasciato un’intervista a
Repubblica nella quale, con riferimento
alla lotta dei lavoratori della Mr. Job, afferma senza mezzi termini che
“bloccare i cancelli e impedire l’ingresso in azienda delle persone è un
reato”. E così, dopo la sottosegretaria di Stato ai Beni culturali e al turismo,
Francesca Barraciu che aveva
considerato un reato l’assemblea sindacale dei lavoratori del Colosseo, il codice penale viene di
nuovo evocato da un esponente del Pd nel parlare dell’esercizio da parte dei
lavoratori di un loro sacrosanto diritto. Siamo, insomma, di fronte ad un
attacco senza precedenti ai diritti dei lavoratori, che non viene velato
nemmeno nei termini con i quali se ne parla. Un’offensiva tesa a sottrarre ai
lavoratori quei residui strumenti di lotta nel conflitto tra capitale e lavoro.
Lo stesso Ichino fa notare di aver presentato,
insieme ad altri senatori del Pd, un ddl (disegno di legge) di cui è già
iniziato l’esame in Senato per introdurre la regola che “condiziona la
proclamazione dello sciopero al consenso della maggioranza dei lavoratori
interessati.” In pratica, se il ddl di Ichino venisse approvato, qualunque
sindacato conflittuale che non abbia la maggioranza assoluta non potrebbe avvalersi
di uno strumento di lotta fondamentale, qual è lo sciopero. Per i sindacati
conflittuali questa regola rappresenterebbe l’abolizione di fatto di un diritto
costituzionale.
Una regola che si aggiungerebbe a quella
contenuta negli accordi sulla rappresentanza sindacale, dove si prevede che i
contratti collettivi sono validi ed esigibili se sottoscritti da sindacati che,
nel loro insieme, rappresentino la maggioranza dei lavoratori, ovvero la
maggioranza dei membri della Rsu laddove in un’azienda queste siano costituite.
In questo senso, la clausola dell’esigibilità dei contratti così sottoscritti
rappresenta già una forte restrizione al diritto di sciopero (con la previsione
di sanzioni in caso di violazione della clausola), alla quale si aggiungerebbe l’ulteriore
restrizione pensata dal Pd con il senatore Ichino.
Insomma, se già oggi, a causa degli accordi
sulla rappresentanza è esclusa la possibilità di scioperare, per ottenere
condizioni migliori e più favorevoli, su questioni legate ad un contratto sottoscritto
da sindacati maggioritari, con l’approvazione del ddl Ichino sarebbe molto
difficile scioperare, e quindi esercitare il diritto alla lotta, anche per
migliorare le condizioni di sicurezza dei lavoratori in azienda, per reclamare
stipendi arretrati o per denunciare abusi. Anche perché, non dimentichiamolo,
tutto questo è inserito nel quadro di ricattabilità dei lavoratori disegnato
con il Jobs act e quindi di un generale depotenziamento conflittuale dei
lavoratori.
Ciò che si vuole ottenere è il completo
comando aziendale sui lavoratori, velato da una retorica fintamente democratica
e la cui sanzione verrebbe da una maggioranza sindacale compiacente e con
lavoratori in stato di sudditanza: è il bonapartismo che entra nei luoghi di
lavoro.
Siamo
perciò di fronte ad un disegno organico e complessivo di attacco ai diritti dei
lavoratori. Un capolavoro politico a favore del padronato il cui artefice
politico principale è il Pd. Non il Pd di Renzi, considerato come un’anomalia,
ma del Pd in quanto tale, di cui Renzi ed il renzismo sono i prodotti. Un Pd al
quale continuano ad aprirsi, parlando di possibili alleanze, sia Vendola che
Civati, entrambi convinti della necessità di costruire una “sinistra senza
aggettivi”, “moderna”. Una sinistra che ritiene superato, anacronistico il
conflitto di classe, perdendo di vista, così, la dimensione reale della fase
politica in corso che mostra un’intensificazione dello scontro di classe,
condotto dal padronato.
Occorre invece dare priorità alla lotta di
classe, dentro la quale far vivere, maturare, arricchire analisi e proposte
politiche di trasformazione sociale. Dentro questo rapporto dialettico vivo tra
lotta e analisi e progetto di classe, è chiaro che non può essere escluso il
momento elettorale, durante il quale cercare convergenze su programmi
antiliberisti. Ma se, come avvenuto in questi anni, e come ancora avviene, la
fase elettorale rimane, di fatto, un obiettivo strategico della sinistra che va
perdendo il suo carattere di classe, allora quei lavoratori in lotta resteranno
orfani di un progetto politico intorno al quale ci si possa aggregare ed
organizzare nel conflitto, sempre più aspro, tra capitale e lavoro.
(*) ripreso dal numero 46 di «La città futura».
Nessun commento:
Posta un commento