giovedì 22 ottobre 2015

Dalle pagine spuntano i fior - Daniela Pia


Sono arrivata in aula, forse ero pronta a  regalare un’emozione, magari ancora più pronta a riceverne, assieme alla bellezza del silenzio, preludio dell’ascolto. Così ho iniziato, accompagnata da un religioso silenzio,  a leggere il cap. 5 di “Quelli dalle labbra bianche”. Una madre che annuncia al proprio figlio che per lui la guerra sul fronte russo è finita. Figlio unico di madre vedova. Glielo ha comunicato il distretto militare e lei lo scrive al figlio al fronte, nel caposaldo tre linea K. Sarà quella lettera, strappata dal vento a spingere Sciarlò a rincorrerla e a finire falciato dalle mitragliatrici russe.
Leggevo, e mentre i compagni di Sciarlò assistevano alla sepoltura del loro amico, nel boschetto di betulle, e ripensavano alla meraviglia della loro terra, all’ armonia della luce …. la voce mi si è fatta roca e mi sono scese le lacrime ho chiesto scusa e ho ripreso con qualche difficoltà ma ho concluso. Non ho aggiunto nulla e li ho lasciati un attimo per andare a prendere i registro da aggiornare.
Siccome che sono cecata, al mio rientro non ho visto subito la bottigliette di plastica dell’acqua, posizionata all’ angolo della cattedra.
Vi era infilata una rosa, bianca, fatta con un fazzolettino di carta. Perfetta. Ho ringraziato e per fortuna è suonata la campana.
Il perché non lo so ma io non sono abituata a queste regalie, la dolcezza mi colpisce come un pugno nello sterno, mi chiude la gola e mi fa sgorgare le lacrime. Non sempre sia inteso. Ma a volte è disarmante, mi lascia indifesa, senza schermo.
Ecco, ho raccontato questo per dire, a costo di sembrare una brutta pagina del libro cuore, che questi momenti delle mie lezioni. Rari, ma non unici, valgono qualsiasi valutazione, economica e di carriera. Non li scambierei con alcuna prebenda, con nessuna lode. Che se le tenga i MIUR, chiedo solo che mi faccia lavorare con ciò di cui abbisognano i/le mie/i  ragazzi/e; che non ho più tempo nemmeno per correggere i compiti. Sono sempre a scuola. A fare la burocrate. A  discutere del sesso degli angeli di cui i ragionieri del Ministero si gloriano. Tutto il tempo lo vorrei dedicare a questi/e figli/e, raccontare loro i ” prati di asfodeli e di ferule dei salti di Oddorai, le vigne sassose dei salti di Caràde, i campi di grano dei salti di Biduvè, gli orti a secco e i fichidindia intorno alla casa delle Fontane Rosse. Le querce contorte e sanguinanti dei salti di Ucanèle, le tanche di mirto e di lentischio dei salti di Ovorèi. I pascoli verdi di Soliàna.” Vorrei poter usare le pagine di un libro, virtuale o cartaceo, per riconciliare questa generazione di tasti e tastiere con l’orizzonte quello  che si trova dentro e fuori,  di loro e di noi tutti. In fondo, lo so, avrei dovuto fare il contadino. Seminare mi piace e l’attesa mi sta diventando amica. Quando spunta una rosa di carta il raccolto si fa promessa.

Nessun commento:

Posta un commento