Sono arrivata in aula, forse ero pronta a
regalare un’emozione, magari ancora più pronta a riceverne, assieme alla
bellezza del silenzio, preludio dell’ascolto. Così ho iniziato, accompagnata da
un religioso silenzio, a leggere il cap. 5 di “Quelli dalle labbra
bianche”. Una madre che annuncia al proprio figlio che per lui la guerra sul
fronte russo è finita. Figlio unico di madre vedova. Glielo ha comunicato il
distretto militare e lei lo scrive al figlio al fronte, nel caposaldo tre linea
K. Sarà quella lettera, strappata dal vento a spingere Sciarlò a rincorrerla e
a finire falciato dalle mitragliatrici russe.
Leggevo,
e mentre i compagni di Sciarlò assistevano alla sepoltura del loro amico, nel
boschetto di betulle, e ripensavano alla meraviglia della loro terra, all’
armonia della luce …. la voce mi si è fatta roca e mi sono scese le lacrime ho
chiesto scusa e ho ripreso con qualche difficoltà ma ho concluso. Non ho
aggiunto nulla e li ho lasciati un attimo per andare a prendere i registro da
aggiornare.
Siccome
che sono cecata, al mio rientro non ho visto subito la bottigliette di plastica
dell’acqua, posizionata all’ angolo della cattedra.
Vi
era infilata una rosa, bianca, fatta con un fazzolettino di carta. Perfetta. Ho
ringraziato e per fortuna è suonata la campana.
Il
perché non lo so ma io non sono abituata a queste regalie, la dolcezza mi
colpisce come un pugno nello sterno, mi chiude la gola e mi fa sgorgare le
lacrime. Non sempre sia inteso. Ma a volte è disarmante, mi lascia indifesa,
senza schermo.
Ecco,
ho raccontato questo per dire, a costo di sembrare una brutta pagina del libro
cuore, che questi momenti delle mie lezioni. Rari, ma non unici, valgono
qualsiasi valutazione, economica e di carriera. Non li scambierei con alcuna
prebenda, con nessuna lode. Che se le tenga i MIUR, chiedo solo che mi faccia
lavorare con ciò di cui abbisognano i/le mie/i ragazzi/e; che non ho più
tempo nemmeno per correggere i compiti. Sono sempre a scuola. A fare la
burocrate. A discutere del sesso degli angeli di cui i ragionieri del
Ministero si gloriano. Tutto il tempo lo vorrei dedicare a questi/e figli/e,
raccontare loro i ” prati di asfodeli e di ferule dei salti di Oddorai, le
vigne sassose dei salti di Caràde, i campi di grano dei salti di Biduvè, gli
orti a secco e i fichidindia intorno alla casa delle Fontane Rosse. Le querce
contorte e sanguinanti dei salti di Ucanèle, le tanche di mirto e di lentischio
dei salti di Ovorèi. I pascoli verdi di Soliàna.” Vorrei poter usare le pagine
di un libro, virtuale o cartaceo, per riconciliare questa generazione di tasti
e tastiere con l’orizzonte quello che si trova dentro e fuori, di
loro e di noi tutti. In fondo, lo so, avrei dovuto fare il contadino. Seminare
mi piace e l’attesa mi sta diventando amica. Quando spunta una rosa di carta il
raccolto si fa promessa.
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