…L’inchiesta di Reported.ly ha ricostruito diversi fatti, due in particolare.
Innanzitutto, sulla base di documenti sottratti da un gruppo di hacker che si
fa chiamare “Yemen Cyber Army” ha ricostruito la
spedizione di componenti di bombe dall’Italia agli Emirato Arabi
Uniti, paese che fa parte della coalizione militare intervenuta in Yemen: si
tratta di componenti di bombe MK 82 e
MK84 spediti lo scorso 2 maggio da Genova con la nave Jolly
Cobalto negli Emirati dalla RWM Italia S.p.A., azienda
del gruppo tedesco Rheinmetall con sede a Ghedi in provincia di Brescia e
stabilimento a Domusnovas in Sardegna. I componenti sarebbero poi stati
assemblati dall’azienda Burkan Munitions Systems per le forze armate degli
Emirati Arabi Uniti. Della autorizzazione per questa esportazione dall’Italia non risulta traccia nelle Relazioni ufficiali della
Presidenza del Consiglio rese note fino marzo
scorso: per questo Reported.ly – su mia indicazione – segnala che è possibile
“che la licenza per l’esportazione del carico spedito nel maggio del 2015 sia
così recente da non essere ancora stata pubblicata, o è possibile che le bombe
siano state esportate all’interno di un accordo militare bilaterale e non
incluse tra le informazioni rese disponibili al pubblico”. Non si tratta
comunque della prima spedizione dall’Italia di queste bombe: già nel 2011, ad
esempio, il Ministero degli Esteri ha autorizzato alla RWM Italia
l’esportazione agli Emirati Arabi Uniti di 300 bombe 500LB MK82 vuote e di 200
bombe 2000LB MK84 vuote per un valore complessivo di oltre 3 milioni di
dollari.
Il secondo, realizzato col mio contributo per conto
dell’Osservatorio OPAL di Brescia, documenta l’invio dall’Italia all’Arabia
Saudita di bombe della RWM Italia: si tratta, nello specifico, di 1000 bombe 500LB MK82 inerte e 300 bombe 2000LB MK84 inerte
per complessivi € 8.500.000 tutte prodotte dalla RWM Italia di Ghedi (Rheinmetall Group) la cui esportazione è stata autorizzata
nel 2012 dal governo Monti: di questa autorizzazione avevo già fornito
documentazione – in anteprima nazionale – sul sito di Unimondo nel luglio del 2013. Ho inoltre segnalato a Malachy Browne
la presenza nelle Relazioni governative italiane di autorizzazioni
all’esportazione nel 2013 e nel 2014 a RWM Italia di bombe MK83 tra cui
soprattutto una rilasciata nel 2013 del
valore di € 62.240.750 per 3.650 bombe 1000
LB MK83 attiva completa di anelli di sospensione (che Reported.ly ha segnalato
nell’inchiesta e riportato nella documentazione allegata all’articolo, qui in .pdf): date le modifiche apportate alla
Relazione ufficiale (o meglio, le
sottrazioni di informazioni), non è possibile
rintracciare il paese destinatario. Tutta
questa documentazione è stata in parte ripresa da un’interrogazione parlamentare presentata da Giulio
Marcon e altri membri del gruppo di SEL alla quale non mi risulta
che il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale
(MAECI) abbia al momento risposto…
Giorgio Beretta
Dall’Italia si inviano le
bombe che l’Arabia Saudita utilizza per bombardare e massacrare la popolazione
civile dello Yemen. A confermarlo è un documento dell’agenzia Reported l.y
tradotto in Italia da IlPost.it. Diverse imprese occidentali hanno provveduto a
fornire armamenti letali che l’Arabia Saudita sta utilizzando nella sua
campagna di bombardamenti sullo Yemen, che stanno facendo molte vittime tra la
popolazione civile yemenita. L’ultimo raid ha fatto 176 morti.
Dai documenti dell’agenzia
si evince che in Italia si fabbricano parti delle bombe che vengono poi inviate
in Arabia Saudita, precisamente nello stabilimento della RWM Italia, filiale
dell’impresa tedesca RH Rheinmetal AG. Armi letali, made in Sardegna a
Domusnovas, per la precisione, dove dal 2010 ha sede lo stabilimento della Rwm
Italia munitions Srl, costola della Rheinmetall Defence, colosso tedesco degli
armamenti.
RWM Italia S.p.A. dispone
attualmente di due stabilimenti in Italia, a Ghedi e per l’appunto a
Domusnovas. Il core business RWM è basato principalmente sulle attività di:
bombe d’aereo General Purpose e da penetrazione, caricamento di munizioni e
spolette, sviluppo e produzione di Teste in Guerra per Missili, Siluri, Mine
Marine, cariche di Demolizione e Controminamento, progettazione, sviluppo e
realizzazione di Mine Marine e Sistemi di Controminamento. La guerra nello
Yemen non è cosa da poco, anzi diventa ogni giorno sempre più complessa. Siamo
nel pieno di una fase di cambiamento che avrà tempi lunghi e transiterà
necessariamente attraverso il ripensamento e la ridefinizione degli equilibri
sino ad oggi imposti alle società del Medio Oriente.
Ieri reported.ly ha pubblicato una documentata inchiesta che dimostra come dall’Italia sia stata inviata in Bahrein
una fornitura di componenti per fare bombe per aerei e come queste bombe siano
poi state sganciate dagli aerei del regime sullo Yemen, che da circa due mesi è
sotto le bombe di una coalizione di stati del Golfo guidata dall’Arabia
Saudita, che bombarda senza soste il paese per imporgli un governo fantoccio,
che non governa, ma resta in dorato esilio proprio in Arabia Saudita in attesa
che i bombardamenti convincano gli yemeniti a piegarsi. Bombardamenti non
avallati dall’ONU, che anzi li ha condannati, e sostenuti con poca evidenza
dagli Stati Uniti, che invece continuano per conto loro a bombardare solo i
qaedisti in Yemen. Gli Stati Uniti peraltro hanno in essere un embargo della
vendita di armi proprio al regime del Bahrein, unico regime del Golfo in rotta
con gli americani a causa della sanguinosa repressione interna scatenata dal
2011 in poi.
CHI FA LE BOMBE -
A produrre parti per le bombe MK82 e MK84
(in copertina) spedite dal 2012 al 2014 , è una succursale della tedesca
Rheinmetall, la RWM Italia S.p.a. con sede a Ghedi, in provincia di Brescia, e
produzione a Domusnovas, nella provincia di Carbonia-Iglesias. Da qui, via
Genova, le parti per costruire le bombe hanno viaggiato fino al Bahrein, dove
la Burkan Munitions Systems le assembla. La Burkan Munitions System altro non è
che una succursale della Rheinmetal, che nel 2012 l’ha venduta a investitori
locali, l’azienda resta così dipendente dalle forniture dell’ex casa-madre, ma
ora è formalmente un’azienda diversa con sede in un paese diverso. Paese che è
buon cliente dell’azienda tedesca, anche per altre discutibili forniture, come
quella di gas lacrimogeni usati per reprimere l’opposizione, già denunciata in
passato, questa volta attraverso una sussidiaria sudafricana.
UN SISTEMA RODATO -
Anche l’Arabia Saudita nel tempo ha cercato
di dotarsi di officine d’assemblaggio locali per gli armamenti, i singoli
componenti infatti passano le frontiere come «ricambi» o comunque sfuggendo
allo stretto regime di controllo che toccherebbe ai prodotti finiti e poi sono
assemblati sul posto da industrie locali che sfuggono a qualsiasi controllo
internazionale. Che le bombe poi siano sganciate sullo Yemen non è in dubbio,
saranno usate anche in altri teatri quali l’Iraq o la Libia, ma Human Rights
Watch ha raccolto prove fotografiche che mostrano i resti di MK83 piovute sullo
Yemen con tanto di etichette di RWM Italia. Le spedizioni sono state numerose,
Reported.ly ha documentato che sono valse almeno 100 milioni di euro secondo le
licenze concesse per l’export e un contratto da 63 milioni di euro per la
fornitura di 3.650 bombe., l’ultima spedizione è documentata nel dettaglio e ha
per protagonista la portacontainer Jolly Cobalto, partita da Genova il 12 marzo e arrivata a Dubai il 5
giugno scorso con sei container di componenti per le MK82 e 84.
LE RESPONSABILITÀ ITALIANE -
L’inchiesta di Reported.ly va oltre e
dimostra come questo business, eticamente molto discutibile benefici un gran
numero di soggetti in Occidente, dalle grandi industrie fino al semplice
contribuente, che spesso non ha idea dell’esistenza di traffici del genere.
Come non sembrano averla alcuni investitori e partner a vario titolo
dell’impresa, che interpellati da Reported.ly hanno scelto il silenzio o di
mostrarsi stupiti. Resta da capire quanto queste spedizioni rispettino i limiti
di legge in materia e se il governo, che ha concesso le licenze, sia avvertito
e in grado d’assumersi pubblicamente la responsabilità politica della
complicità nei bombardamenti in Yemen e nella repressione del dissenso con uno
dei peggiori regimi del Golfo.
Da dove
vengono le bombe usate in Yemen
Un'inchiesta
del sito Reported.ly – qui tradotta integralmente in italiano – ha ricostruito
il percorso di alcuni componenti costruiti in Italia, da una società con molti
investitori stranieri
Reported.ly è un sito di
giornalismo che esiste dal dicembre 2014 ed è formato da un gruppo di
giornalisti che lavorano da diversi paesi (tra loro c’è anche l’italiana Marina
Petrillo, prima a Radio Popolare).Reported.ly segue e racconta gli eventi che succedono nel mondo
usando perlopiù i social network: lo fa in maniera molto rapida e precisa,
spesso raccogliendo e spiegando notizie, foto e video che circolano online
su un dato evento. Reported.ly realizza anche delle inchieste giornalistiche:
nella più recente, scritta dal giornalista Malachy Browne, si
è occupato della guerra che si sta combattendo in Yemen e delle
bombe che vengono usate dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita per
colpire i ribelli houthi. La guerra in Yemen è iniziata
qualche mese fa e vede contrapposti i ribelli houthi – che tra le altre
cose occupano la capitale del paese, Sana’a – a una coalizione di nove stati
guidata dall’Arabia Saudita. Nelle ultime settimane la coalizione ha
compiuto diversiattacchi aerei contro
le postazioni dei ribelli houthi, causando centinaia di morti tra i
civili. Reported.ly si è occupato in particolare di alcuni componenti di armi
prodotti in Italia e usati per assemblare armi che hanno bombardato lo
Yemen. Il Post ha tradotto
l’inchiesta integrale di Reported.ly.
***
Un’inchiesta esclusiva di Reported.ly ha ricostruito e documentato la costruzione e la spedizione
dei componenti di alcune bombe prodotte da costruttori europei e
destinate agli Emirati Arabi Uniti, uno degli stati che fanno parte
della coalizione che sta bombardando lo Yemen. L’inchiesta ha scoperto che
le bombe costruite con questi componenti sono state usate in Yemen,
dove potrebbero anche essere stati compiuti attacchi contrari alle norme del
diritto internazionale. I componenti sono stati prodotti da Rheinmetall
AG, una società tedesca che ha avuto tra i suoi principali azionisti alcune
società finanziarie statunitensi – come per esempio il fondo pensionistico
dello stato di New York e altri fondi assicurativi e d’investimento – e il
fondo pensionistico sovrano della Norvegia. Attraverso i loro investimenti in
Rheinmetall, queste organizzazioni stanno generando profitti.
Un gruppo di hacker che si fa chiamare “Yemen Cyber Army” ha sottratto diversi documenti e comunicazioni
diplomatiche che provano la spedizione di componenti di bombe dal
territorio della UE alla penisola arabica. Lo Yemen Cyber Army ha poi
mandato il materiale a Reported.ly: i documenti mostrano come alcuni componenti siano partiti
dal porto di Genova e siano arrivati a Gedda, in Arabia Saudita. Da lì sono
stati trasferiti a Jebel Ali, a Dubai, e poi via terra a un centro di
produzione di armi di Abu Dhabi, la capitale degli Emirati Arabi Uniti. I
componenti delle bombe – che sono bombe di tipo MK82 e MK84 – sono
partiti da Genova perché sono realizzati in Sardegna dalla RWM Italia
S.p.a., una società sussidiaria della Rheinmetall. I componenti sono poi
assemblati dall’azienda Burkan Munitions Systems per le forze armate degli
Emirati Arabi Uniti.
Oltre alle spedizioni di parti necessarie a comporre le
bombe MK82 E MK84, Reported.ly ha anche confermato che dal 2012 al 2014 RWM Italia ha
esportato un altro tipo di bombe, le MK83, alcune delle quali possono essere
direttamente rintracciate in Yemen. Ole Solvang, un ricercatore della ONG Human Rights Watch, ha fotografato
questo specifico modello di bomba in Yemen, con il marchio di RWM Italia. Le
indicazioni GPS che accompagnano le fotografie di Solvang mostrano che le bombe
inesplose hanno colpito in vari punti un complesso governativo di Sa’dah, una
roccaforte houthi nel nord dello Yemen.Reported.ly ha verificato in maniera indipendente la notizia,
incrociando i dati a disposizione con quelli di un video di un bombardamento avvenuto nello stesso posto in
aprile.
Tra i documenti in possesso di Reported.ly c’è anche una lettera del 21 aprile 2015 spedita da Burkan
Munitions, l’azienda che ha assemblato le bombe per conto degli Emirati Arabi
Uniti. La lettera chiede all’esercito degli Emirati Arabi Uniti di
concedere un permesso di transito per una spedizione per maggio
attraverso il porto di Gedda, in Arabia Saudita. La lettera è stata trasmessa
dal quartiere generale dell’esercito all’ambasciata degli Emirati Arabi Uniti
di Riyad, in Arabia Saudita. L’ambasciata ha chiesto “un permesso diplomatico
per facilitare le procedure d’ingresso [al porto di Gedda] per la nave Jolly
Cobalt, noleggiata dalle forze armate degli Emirati Arabi Uniti”. Il comunicato
è stato contrassegnato come “molto urgente” ed è stato spedito dal ministero
degli Esteri dell’Arabia Saudita a molti altri ministeri: e anche al
re Salman, al principe Abdullah e al ministro dei Trasporti, che ha anche
la funzione di presidente dell’autorità portuale dell’Arabia Saudita.
La nave in questione, la Jolly Cobalto, è il traghetto
porta container più grande del mondo. I dati di MarineTraffic.com e i documenti di spedizione del Gruppo Messina – la società
italiana che possiede la nave – dicono che è partita da Genova il 12 maggio ed
è arrivata a Dubai il 5 giugno. Le informazioni sul contenuto del carico
parlano di sei container da 12 metri con all’interno componenti delle bombe
MK82 e MK84 prodotte da RWM Italia. Il comunicato stampa dice che il carico
conteneva componenti per bombe, e non ordigni veri e propri.
Burkan promuove le sua serie di bombe MK80 – di cui fanno
parte le MK 82, 83 e 84 – come “perfette per situazioni in cui è necessaria la
massima esplosione e deflagrazione”. Mark Hiznay, esperto di armi diHuman Rights Watch, ha
spiegato a Reported.ly che la bomba MK83 da
450 chilogrammi trovata in Yemen è stata realizzata “per causare danni, morti e
lesioni grazie alla deflagrazione e all’effetto di frammentazione”. Le bombe di
questo tipo possono essere usate a caduta
libera o integrate da un pacchetto di guida che ne migliora la
precisione. La bomba MK84 presentata nel documento di spedizione pesa circa 900 chilogrammi, a
seconda delle specifiche tecniche (opzioni di spoletta efin configuration).
“In Sa’dah abbiamo documentato diversi attacchi che
crediamo siano stati contro la legge”, ha detto Solvang: sono state colpiti
quartieri residenziali e mercati e “ci sono stati diverse decine di
feriti”. “È molto probabile [che la coalizione saudita] stia usando bombe
di questo tipo in aree in cui sono stati uccisi dei civili”, ha proseguito
Solvang, “ma non possiamo confermarlo”. Human Rights Watch ha anche documentato
che in Yemen si è fatto uso illegale e letale di munizioni a grappolo.
Affari con le esportazioni
Reported.ly ha studiato i permessi per l’esportazione dal valore di più di 100 milioni di euro che sono stati concessi a RWM Italia dal 2012: i permessi riguardano l’esportazione di bombe MK82, 83 e 84 e di altre munizioni. Armi dal valore di diversi milioni di euro sono state spedite in Australia e Arabia Saudita nel 2012. I documenti in possesso diReported.ly provano anche una fornitura d’armi per gli Emirati Arabi Uniti. Nel 2013 e nel 2014 l’Italia ha concesso licenze per l’esportazione di grandi quantità di componenti per bombe MK83, alcune delle quali sono state poi trovate da Human Rights Watch sul terreno in Yemen. Tra le licenze c’è anche un contratto di 62 milioni di euro per 3.650 bombe. Nelle licenze del 2013 e del 2014 la destinazione non è specificata.
Reported.ly ha studiato i permessi per l’esportazione dal valore di più di 100 milioni di euro che sono stati concessi a RWM Italia dal 2012: i permessi riguardano l’esportazione di bombe MK82, 83 e 84 e di altre munizioni. Armi dal valore di diversi milioni di euro sono state spedite in Australia e Arabia Saudita nel 2012. I documenti in possesso diReported.ly provano anche una fornitura d’armi per gli Emirati Arabi Uniti. Nel 2013 e nel 2014 l’Italia ha concesso licenze per l’esportazione di grandi quantità di componenti per bombe MK83, alcune delle quali sono state poi trovate da Human Rights Watch sul terreno in Yemen. Tra le licenze c’è anche un contratto di 62 milioni di euro per 3.650 bombe. Nelle licenze del 2013 e del 2014 la destinazione non è specificata.
Burkan Munitions System era di proprietà dell’azienda
tedesca Rheinmetall fino a quando la stessa Rheinmetall l’ha venduta nel 2012. Nonostante la
vendita, ha detto Pieter Wezeman – un ricercatore
sugli armamenti per lo Stockholm International Peace Reasearch Institute (SIPRI) – Burkan resta “dipendente dalla tecnologia
europea” per assemblare le bombe. “Per assemblare le bombe Burkan dipende
molto dai componenti che arrivano dall’estero”, ha spiegato Wezeman. “Sono
assemblate negli Emirati Arabi Uniti e lì sono anche riempite con l’esplosivo.
Dove prendano l’esplosivo non lo so, ma dubito che arrivi dagli Emirati Arabi
Uniti. Penso che siano fatti in Europa e che, in qualche modo, arrivino negli
Emirati Arabi Uniti.”
Affari leciti?
A parte la grande questione morale che riguarda la produzione di armi, Wezeman dice che sembra che Burkan operi rispettando le regole internazionali. Wezeman lo descrive come un “buon esempio di come gli Emirati Arabi Uniti stiano implementando un organizzato sistema di export e import di armamenti, rispettando gli standard internazionali. Altrimenti c’è il rischio che le armi possano essere deviate verso sfere illegali”.
A parte la grande questione morale che riguarda la produzione di armi, Wezeman dice che sembra che Burkan operi rispettando le regole internazionali. Wezeman lo descrive come un “buon esempio di come gli Emirati Arabi Uniti stiano implementando un organizzato sistema di export e import di armamenti, rispettando gli standard internazionali. Altrimenti c’è il rischio che le armi possano essere deviate verso sfere illegali”.
Detto questo, la concessione di licenze da parte del
governo italiano solleva alcune importanti questioni. Gli stati membri
dell’Unione Europea sono legati da criteri specifici per la vendita all’estero di armamenti: lo ha spiegato Patrick Wilcken,
ricercatore di Amnesty International:
In base al Trattato sul Mercato degli Armamenti e alla
“Common Position” dell’Unione Europea sull’export di armamenti, l’Italia deve
seguire una rigorosa valutazione del rischio caso-per-caso su ogni proposta di
trasferimento di armamenti per determinare se c’è il sostanziale rischio che le
armi possano essere usate da chi le riceve per compiere o facilitare gravi
violazioni delle leggi internazionali sui diritti umani. Se c’è un rischio
sostanziale l’Italia deve negare la licenza per l’esportazione.
In collaborazione con Giorgio Beretta, un analista
dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere (OPAL) di Brescia, Reported.ly ha controllato tutte
le licenze per l’esportazione concesse a RWM Italia dal governo italiano nel
2012, nel 2013 e nel 2014. Solamente nel 2012 l’Italia ha concesso una licenza
per parti di bombe MK82 e MK84, nell’ambito di un acquisto di 8,5 milioni di
euro da parte dell’Arabia Saudita. Ci si chiede se il carico con i componenti
di MK82 e MK84 spedito nel maggio 2015 – per non parlare dei i resti di bombe
MK83 trovati in Yemen in primavera – siano quindi stati esportati legalmente. È
possibile comunque che la licenza per l’esportazione del carico spedito nel
maggio del 2015 sia così recente da non essere ancora stata pubblicata, o
è possibile che le bombe siano state esportate all’interno di un accordo
militare bilaterale e non incluse tra le informazioni rese disponibili al
pubblico. Reported.ly è in attesa di una
risposta dal ministero degli Esteri italiano.
La Rheinmetall
La sede di Rheinmetall AG è in Germania, ma Rheinmetall controlla la società italiana che ha creato i componenti delle bombe. Dopo dei moderati profitti nel 2013 e nel 2014, Bloomberg prevede che la società tornerà nel 2015 a un profitto di 130 milioni di euro, un aumento del 642 per cento. Rheinmetall opera in due settori: la difesa e il settore automobilistico. L’annuale rapporto del 2014 della società mostra 2,2 miliardi di euro di vendite legate alla difesa, circa la metà delle vendite totali di quell’anno. Il settore della difesa ha rappresentato nel 2014 il 71 per cento del volume di mercato di Rheinmetall. Secondo le analisi di JP Morgan, Rheinmetall ha anche accumulato degli ordini da evadere che valgono circa 6,5 miliardi di euro; questo farà aumentare il prezzo delle sue azioni. Secondo i report di Rheinmetall e secondo i dati a disposizione di Bloomberg, l’enorme società finanziaria americana JP Morgan Chase è stata fino a poco tempo fa uno dei più grandi investitori di Rheinmetall.
La sede di Rheinmetall AG è in Germania, ma Rheinmetall controlla la società italiana che ha creato i componenti delle bombe. Dopo dei moderati profitti nel 2013 e nel 2014, Bloomberg prevede che la società tornerà nel 2015 a un profitto di 130 milioni di euro, un aumento del 642 per cento. Rheinmetall opera in due settori: la difesa e il settore automobilistico. L’annuale rapporto del 2014 della società mostra 2,2 miliardi di euro di vendite legate alla difesa, circa la metà delle vendite totali di quell’anno. Il settore della difesa ha rappresentato nel 2014 il 71 per cento del volume di mercato di Rheinmetall. Secondo le analisi di JP Morgan, Rheinmetall ha anche accumulato degli ordini da evadere che valgono circa 6,5 miliardi di euro; questo farà aumentare il prezzo delle sue azioni. Secondo i report di Rheinmetall e secondo i dati a disposizione di Bloomberg, l’enorme società finanziaria americana JP Morgan Chase è stata fino a poco tempo fa uno dei più grandi investitori di Rheinmetall.
I report dalla conferenza annuale di Rheinmetall che si è
tenuta a maggio erano meno favorevoli. Si è parlato soprattutto di una
richiesta di risarcimento di 120 milioni di euro fatta
da Rheinmetall al governo tedesco dopo aver perso un contratto con la Russia a
seguito dell’embargo imposto proprio alla Russia a causa delle guerra in Ucraina.
Gli attivisti contro gli armamenti hanno criticato il fatto che la
compagnia stia spostando la produzione in paesi come il Sudafrica,
l’Indonesia e l’Arabia Saudita, dove le attività di Rheinmetall sono per loro
sempre più difficili da controllare. Nel dicembre 2014 Rheinmetall è stata
multata per 37 milioni di euro per tangenti pagate da una sua società sussidiaria durante un accordo sugli armamenti in Grecia.
Oltre che con l’Arabia Saudita, Rheinmetall è collegata in
modo controverso anche al governo del Bahrein, dove i diritti civili sono
spesso in pericolo e dove le leggi internazionali spesso non rispettate. Grazie
a degli attivisti locali, a John Horne e al gruppo Bahrain Watch si è potuto documentare un uso ripetuto di bombole di gas
lacrimogeni e granate stordenti senza contrassegni, che sarebbero state
prodotte da Rheinmetall Denel, una società sussidiaria dell’azienda originale
con sede in Sudafrica. Alcune prove documentate da Storyful hanno mostrato che
durante il conflitto in Bahrain c’è stato un ripetuto e illegale uso di gas
lacrimogeni da parte delle forze di sicurezza del Bahrain. Rheinmetall ha detto
al Deutsche Welle che non ha mai offerto né fornito rifornimenti di gas lacrimogeni al
governo del Bahrain.
Stai guadagnando soldi grazie alla guerra in Yemen?
JP Morgan non è l’unica società ad aver finanziato Rheinmetall negli ultimi anni. Allianz, Hartford, BlackRock, Dimensional Fund Advisors LP e HSBC sono alcuni degli oltre 200 fondi d’investimento e istituzioni finanziarie che quest’anno hanno investito in Rheinmetall. Questi investimenti diventano poi parte di pacchetti di fondi e bond – tra cui fondi pensionistici – che sono resi disponibili da questi istituti finanziari. Anche un fondo sovrano – il fondo pensionistico norvegese – ha investito in Rheinmetall: nel 2014 possedeva l’1,87 per cento della società e il valore del loro investimento era pari a 27 milioni d euro. Ha investito in Rheinmetall anche CollegeAmerica, che gestisce fondi e assicurazioni negli Stati Uniti e ha asset per 45 miliardi di euro. E così ha fatto anche il fondo pensionistico dello stato di New York, a cui sono iscritte più di un milione di persone, tra cui anche dipendenti del governo statale e locale.
JP Morgan non è l’unica società ad aver finanziato Rheinmetall negli ultimi anni. Allianz, Hartford, BlackRock, Dimensional Fund Advisors LP e HSBC sono alcuni degli oltre 200 fondi d’investimento e istituzioni finanziarie che quest’anno hanno investito in Rheinmetall. Questi investimenti diventano poi parte di pacchetti di fondi e bond – tra cui fondi pensionistici – che sono resi disponibili da questi istituti finanziari. Anche un fondo sovrano – il fondo pensionistico norvegese – ha investito in Rheinmetall: nel 2014 possedeva l’1,87 per cento della società e il valore del loro investimento era pari a 27 milioni d euro. Ha investito in Rheinmetall anche CollegeAmerica, che gestisce fondi e assicurazioni negli Stati Uniti e ha asset per 45 miliardi di euro. E così ha fatto anche il fondo pensionistico dello stato di New York, a cui sono iscritte più di un milione di persone, tra cui anche dipendenti del governo statale e locale.
Fino a poco fa JP Morgan era uno dei principali investitori
di Rheinmetall: nelle ultime settimane, però, ha notevolmente ridotto i suoi
investimenti, come ha spiegato un comunicato del 16 giugno. I gruppi attivisti
tedeschi stanno promuovendo una campagna per chiedere anche ad altri
investitori di fare lo stesso e per chiedere al governo tedesco di ritirare le
licenze concesse per le esportazioni verso l’Arabia Saudita, il Qatar e
l’Indonesia. Sono state organizzate proteste e manifestazioni all’incontro annuale della società – a
Dusseldorf, in Germania – e nella sua sede di Berlino.
Oltre i documenti
I documenti in possesso di Reported.ly sono stati ottenuti da un gruppo che si fa chiamare Yemen Cyber Army, che dice di aver violato i server del ministero degli Esteri a maggio. Il gruppo sostiene i ribelli houthi dello Yemen, contro cui combatte la coalizione saudita. Il ministero ha confermato in un comunicato stampa che lo scorso 22 maggio c’è stato un “limitato attacco informatico”. Gli hackers hanno pubblicato alcuni documenti per provare la loro azione e hanno detto che altri “documenti e email segrete” saranno pubblicati gradualmente. Il gruppo ha detto di aver hackerato anche i computer dei ministeri dell’Interno e della Difesa dell’Arabia Saudita e che diffonderà altre informazioni nel “prossimo futuro”. Ha spiegato così la sua azione: “In questo modo [l’Arabia Saudita] potrà riuscire a capire cosa si prova quando le nostre donne e i nostri innocenti bambini cercano rifugio piangendo e cercando i loro cari nel buio”.
I documenti in possesso di Reported.ly sono stati ottenuti da un gruppo che si fa chiamare Yemen Cyber Army, che dice di aver violato i server del ministero degli Esteri a maggio. Il gruppo sostiene i ribelli houthi dello Yemen, contro cui combatte la coalizione saudita. Il ministero ha confermato in un comunicato stampa che lo scorso 22 maggio c’è stato un “limitato attacco informatico”. Gli hackers hanno pubblicato alcuni documenti per provare la loro azione e hanno detto che altri “documenti e email segrete” saranno pubblicati gradualmente. Il gruppo ha detto di aver hackerato anche i computer dei ministeri dell’Interno e della Difesa dell’Arabia Saudita e che diffonderà altre informazioni nel “prossimo futuro”. Ha spiegato così la sua azione: “In questo modo [l’Arabia Saudita] potrà riuscire a capire cosa si prova quando le nostre donne e i nostri innocenti bambini cercano rifugio piangendo e cercando i loro cari nel buio”.
Wikileaks ha da poco pubblicato
dei documenti sottratti al ministero
degli Esteri dell’Arabia Saudita:Reported.ly ritiene che arrivino dallo Yemen Cyber Army. Non sembra per
il momento che i documenti relativi alle spedizioni analizzati in questo
articolo facciano parte dei documenti resi disponibili da Wikileaks. Lo Yemen
Cyber Army ha scritto il 28 maggio che i documenti sono stati passati a Wikileaks per “backup”, per assicurare che non andassero persi; Wikileaks non ha rivelato la fonte dei suoi documenti. Alcuni dei documenti visti da Reported.ly sono gli stessi
pubblicati da Wikileaks, cosa che fa
pensare che provengano dalla stessa fonte.
I commenti delle società interessate
Rheinmetall, JP Morgan Chase, Credit Suisse, The Hartford, Capital Group e Dimensional non hanno voluto commentare le cose scoperte daReported.ly. Reported.ly ha anche provato a contattare via mail e via telefono Burkan Munition Systems, senza mai ottenere una risposta.
Rheinmetall, JP Morgan Chase, Credit Suisse, The Hartford, Capital Group e Dimensional non hanno voluto commentare le cose scoperte daReported.ly. Reported.ly ha anche provato a contattare via mail e via telefono Burkan Munition Systems, senza mai ottenere una risposta.
Norges Bank, che rappresenta il fondo sovrano norvegese, ha
detto: “l’investimento responsabile è parte integrate nella
gestione del nostro fondo”. In base alle linee guida del Government Pension
Fund Global, il fondo non può investire in società che producono da sé, o attraverso società controllate, armi che violino dei
principi umanitari fondamentali”. Norges Bank ha poi detto a Reported.ly di rivolgersi alla
sua commissione etica per domande relative alle sospette violazioni
di quelle linee guida. Allianz ha fornito una dettagliata risposta,
riportata in fondo all’articolo. BlackRock ha detto che “i titoli sono
gestiti in nome dei clienti e che la maggior parte di loro hanno fondi di
indice passivo le cui partecipazioni sono determinate dall’index provider che fissa l’indice e
riflettono i benchmark che i clienti
intendono tracciare”. Al New York State Comptroller’s Office, l’ufficio che
gestisce il fondo pensionistico nello stato di New York, non hanno risposto
alle domande diReported.ly.
Conclusioni
Per molti potrebbe essere strano che bombe fatte da una società tedesca siano spedite a forze armate in giro per il mondo: è così che funziona il mercato internazionale degli armamenti. Quello che è particolarmente interessante in questo caso è però la catena di distribuzione che porta gli armamenti dall’Europa ai paesi in guerra. Soprattutto per chi vive nell’Unione Europea, è importante capire l’entità del mercato europeo di armi. Per il resto del mondo la notizia è rilevante perché molte persone potrebbero aver investito in fondi o piani pensionistici che hanno Rheinmetall nel loro portfolio, e potrebbero – senza volerlo e saperlo – guadagnare dei soldi grazie al mercato degli armamenti.
Per molti potrebbe essere strano che bombe fatte da una società tedesca siano spedite a forze armate in giro per il mondo: è così che funziona il mercato internazionale degli armamenti. Quello che è particolarmente interessante in questo caso è però la catena di distribuzione che porta gli armamenti dall’Europa ai paesi in guerra. Soprattutto per chi vive nell’Unione Europea, è importante capire l’entità del mercato europeo di armi. Per il resto del mondo la notizia è rilevante perché molte persone potrebbero aver investito in fondi o piani pensionistici che hanno Rheinmetall nel loro portfolio, e potrebbero – senza volerlo e saperlo – guadagnare dei soldi grazie al mercato degli armamenti.
Per quanto riguarda l’Italia ci sono importanti domande –
ancora senza risposta – sulle licenze per l’export concesse a RWM Italia.
I parlamentari italiani dovrebbero porre la questione in parlamento e nelle
sedi appropriate: noi, con l’aiuto di Giorgio Beretta, intendiamo fare in modo
che ciò avvenga.
Reported.ly continuerà a
controllare Rheinmetall, il suo impatto sulla guerra in Yemen e le società da
cui riceve i soldi. Come già scritto,Wikileaks ha pubblicato alcuni documenti ottenuti dallo Yemen Cyber
Army; intendiamo analizzarli per ottenere ulteriori informazioni ed evidenziare
nuovi aspetti della storia. Pubblicheremo anche eventuali aggiornamenti sulle
dichiarazioni delle compagnie che investono in Rheinmetall.
I documenti dell’inchiesta
• La spedizione delle armi dall’Italia agli Emirati Arabi Uniti
• La spedizione delle armi dall’Italia agli Emirati Arabi Uniti
La risposta di Allianz
Il gruppo Allianz ha una policy di esclusione per
investimenti riguardanti le armi vietate. Tra queste armi ci sono – in accordo
alle convenzioni internazionali – le munizioni a grappoli, le mine anti-uomo,
le armi chimiche e biologiche. I presunti investimenti possono riguardare
clienti e terze parti. La possibilità di applicare questa policy di esclusione
varia nel caso di alcuni tipi di investimenti se le società sono quotate sui
principali mercati azionari e potrebbero quindi far parte di prodotti come
derivati e fondi indice. Allianz investe in fondi d’investimento esistenti (tra
cui gli investimentiunit-lined) quando gli investimenti sono condotti rispettando i
prospetti del fondo. Allianz usa temporaneamente asset proprietari per creare
fondi per terze parti e il fondo è creato in base alle richieste specifiche di
terze parti. Per migliorare e potenziare la nostra volontà di
correttezza per gli investimenti, stiamo dialogando con chi fornisce gli indici
per integrare nuove norme nei nostri fondi.
Questo fa parte di alcune policy ESG (Environmental, social
and governance) per aree sensibili come il petrolio, le infrastrutture e i
diritti umani. Sono state sviluppate nel 2012 e nel 2013 in collaborazione con
alcune organizzazioni non governative e sono state integrate nelle nostre
operazioni dal 2014. Maggiori informazioni sono disponibili a questo link.
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