Puntuale
quasi come la manfrina della “minoranza” PD (che gioca al dissenso, ma poi -
dopo una melina ormai ridicola – puntualmente abbassa la testa, perdendo anche
quel barlume di credibilità che qualche inguaribile ottimista ancora le
accorda) arriva la prebenda con la quale il governo tenta di accaparrarsi (a
prezzo veramente irrisorio) le grazie dei destinatari di turno. Nella primavera
del 2014 furono i proverbiali 80 euro; oggi i 500 euro in busta paga riservati
ai docenti di ruolo; domani saranno le tasse sulla casa, con il twittato funerale
di Imu e Tasi.
Come la
storia ci ha e continuerà ad insegnarci, però tutto ha un costo. Che è per
altro sotto gli occhi di tutti: a cominciare dalle prestazioni mediche
tagliate, il nostro già vacillante welfare viene subordinato al tentativo di captatio
benevolentiae che
l'antidemocratica velocità renziana pretende di ottenere con soluzioni di
facile impatto. L’acquisto (in senso letterale) del consenso, del resto, è una
pratica che nel nostro Paese l’ha fatta e la fa da padrone. Il fatto che i 500
euro fossero previsti dalla legge non dimostra altro che – consapevole del
dissenso che ha anticipato e seguito la pubblicazione della 107 – Renzi ha
barattato – sulle spalle della collettività – un reale e democratico “ascolto”
con la sua versione di panem et circenses, tentando
di prevenire il continuare della protesta, pagando un obolo demagogico ed
offensivo e sperando di comprare tolleranza e remissività rispetto ai
provvedimenti imposti con violenza ed arbitrio inauditi.
Ora tocca
a noi dimostrare che non venderemo facilmente la pelle. Tocca a noi confermarci
nella nostra dignità e non cedere davanti a un'evidente elemosina, anche se con
i tempi che corrono, potrebbe alleviarci di spese che da anni affrontiamo in
totale solitudine.
I 500 euro
saranno infatti destinati alla formazione. Questa erogazione prevederebbe (e
vorrebbe dimostrare, dunque) un interesse e una forma di rispetto nei confronti
dei docenti. Ma – analizzando il testo di legge e ascoltando le dichiarazioni
del premier e dei suoi meritevolissimi lacchè (primo tra tutti l’impudico
Faraone) – ci si accorge che l’atteggiamento nei confronti dei docenti è
tutt’altro che rispettoso. Oltre agli insulti e al dileggio continuo portato
intenzionalmente avanti contro un’intera categoria, artatamente identificata
con il profilo del fannullone ozioso e immeritevole, strapagato e lavativo (per
non parlare degli insulti su squadrismo, fascismo, minoranza rumorosa, presi a
caso nel triste repertorio del renzismo), cosa c’è di rispettoso, infatti,
nella ratio intorno a cui ruota la 107, ossia la repressione del principio
della libertà dell’insegnamento, strumento di tutela non per i docenti, ma per
la democrazia del Paese; di una scuola realmente democratica e pluralista, in
cui ognuno abbia diritto di apprendere e di lavorare?
La libertà
di insegnamento non è un privilegio di categoria, ma la garanzia della libertà
dell'istruzione pubblica, perché ogni cittadino, senza distinzione di sesso, di
religione e così via (art. 3 della Costituzione), deve poter entrare senza
disagio in ogni scuola della Repubblica, che esiste ed opera in nome e con le
risorse di quest'ultima. Questo principio altissimo, su cui è stato fondato il
profilo della scuola statale italiana, è stato violato dal governo in misura
così pesante che moltissime ed autorevoli voci si stanno levando a sottolineare
la possibile incostituzionalità della sedicente Buona scuola.
Cosa c’è,
inoltre, di rispettoso nel blocco di 8 anni di un contratto che nulla aveva già
a che fare con i corrispettivi emolumenti degli omologhi colleghi europei,
nonostante le bugie propinate dalla propaganda di regime, che ci dipinge
privilegiati, vacanzieri, assenteisti? Solo una completa mancanza di
consapevolezza politica e professionale potrebbe portare a barattare
l’accettazione del bastone (la funzione del dirigente, di fatto ormai in molte
scuole solitario emanatore di direttive, in barba alle prerogative degli organi
collegiali, nonché valutatore-reclutatore altrettanto solitario; il rinnovo e
l’aumento dei privilegi per la scuola paritaria; il demansionamento dei nuovi
assunti e la precarizzazione di quelli vecchi) per una carota che si configura
come un umiliante donativo per tentare di imbavagliare il dissenso? La mancetta
che il Governo ci sta concedendo pretenderebbe una risposta precisa e coerente.
Ammesso che quelli che per il momento sono solo annunci della non sempre
attendibile Giannini (e cioè che nella busta paga di ottobre dovremmo trovare
l’obolo) dovessero realizzarsi, le proposte in merito sono le più diverse. In
assenza di un pronunciamento chiaro ed unitario dei sindacati, la creatività –
così come sul comitato di valutazione e sul Piano triennale dell’Offerta
Formativa – si sta sbizzarrendo. Le posizioni spaziano tra chi parla di rifiuto
e chi propone di convogliare la cifra sulla formazione in merito alla legge
107/15 di cui ci sarebbe davvero tanto bisogno, considerando anche il
disinteresse o l’inerzia con cui molti docenti, studenti e famiglie stanno
accogliendo le novità della riforma.
Al
pericolo della consueta captatio benevolentiae se ne aggiunge un altro, ben più
grave. Provino – i sindacati ed i lettori – a inserire su un qualsiasi motore
di ricerca “renzi" e "sindacati”. È un profluvio di insulti,
dileggio, disconoscimento, accuse a cui evidentemente ci siamo abituati, se non
ci pare inquietante un attacco così violento e demagogico ad un’organizzazione
sociale che rappresenta e tutela un diritto garantito dalla Costituzione. Le
manovre renziane sono infatti tutte volte a destituire il sindacato ed il
contratto di lavoro dalla sua funzione: se si pensa che al risparmio di 700
milioni dichiarato dal Miur si potrebbero aggiungere i 740 stanziati per il
bonus e i 200 del merito, si arriva a una somma che potrebbe consentire
l’apertura di un tavolo di trattative sul rinnovo contrattuale.
Invece no:
le regalie – che fanno tanto amare il munifico benefattore – si sostituiscono
all’adeguamento salariale dei diritti maturati. Si tratta di una strategia
piuttosto chiara. Ma, ripeto, pericolosa, alla quale occorrerebbe fornire una
risposta adeguata, che escluda ogni pelosa gratitudine e strumentale
riconoscenza, ma anche eviti snobistiche testimonianze individuali. Costruire
posizioni esplicite, condivise e collettive sui 500 euro in busta paga potrà
essere un modo per continuare la mobilitazione e ribadire al Governo che le sue
manovre demagogiche non corrompono la solidità di un'opposizione che rimane
intransigente.
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