La Spagna, un paese incantato che esiste solo in Italia. Da Viva Zapatero!al «bel gesto»
sull’#Aquarius
Ancora una
volta la Spagna riempie le prime pagine italiane. La mozione di sfiducia al
conservatore Rajoy ha fatto diventare premier il socialista Pedro Sánchez e così per Left«la Spagna vede rosso», mentre per Il manifesto è semplicemente «Cambio».
Scompare la
questione catalana, già passata di moda, e si torna alla visione idilliaca
della Spagna pre-crisi del 2008. Dai mille feriti del referendum dell’1 ottobre ci
separa meno di un anno, e sembra che tutto si sia già risolto con un nuovo
governo. È chiaramente una narrazione distorta, che nega la complessità dei
processi politici, istituzionali e di movimento.
Quest’idea
della «Spagna felice» ha cominciato a formarsi una quindicina di anni fa.
Fino ai
primissimi anni del nuovo secolo la Spagna era vista come un paese economico
per andarci in vacanza, leggermente esotico. Se ne sapeva poco e, al di là di
un interesse politico per il conflitto basco, solo pochi specialisti ne
parlavano. Era la terra del flamenco, delle spiagge, delle belle vacanze.
Ma nel 2002
esce un film, intitolato L’appartamento spagnolo.
Parla di studenti Erasmus, di una vita di amori e viaggi, della ricerca di una
realtà aperta in una Barcellona aperta, soleggiata, gioiosa. In Italia sono gli
anni dell’editto bulgaro di Berlusconi, della legge Biagi, del dibattito sul
conflitto d’interessi. C’è appena stato il G8 du Genova e si respira
repressione, mentre la sinistra istituzionale comincia ad annaspare.
Proprio
l’editto di Sofia è uno dei presupposti del documentario Viva Zapatero! di Sabina
Guzzanti, del 2004. Vi si parla ancora dell’Italia e della Spagna,
comparandole, con una visione bianco vs. nero. José Luis
Rodríguez Zapatero, il leader socialista spagnolo, diventa l’esempio
a seguire. Lui, capace di trasformare un paese, affermando una reale libertà
d’espressione nelle televisioni nazionali, è l’antitesi di Berlusconi. Si
ritorna a guardare alla Spagna, ma la visione ora è cambiata: è una terra di
democrazia e libertà.
Inseriamo
questi nuovi elementi nel tradizionale immaginario collettivo italiano sulla
Spagna: un paese dove si mangia la paella, c’è il sole, il mare, sesso facile,
divertimento a prezzi modici.
Un
immaginario in parte costruito durante il franchismo per dar vita a una
industria turistica, ma che ha svolto anche una seconda funzione: imporre
l’immagine di una nazione unica e omogenea. La Spagna non si è mai sentita
così, neppure negli anni neri della dittatura.
In quel
momento si forma in Italia un’idea: quella della fuga. Fuga «dei cervelli», o per cercare un posto migliore
dove vivere. Anche dove vivere a sinistra, cosa che
in Italia sembra sempre meno possibile. Detto fatto. Inizia la migrazione verso
la Spagna.
Nel giro di
pochi anni, quella italiana diventa la prima comunità di stranieri a Barcellona, e il
flusso migratorio è costante, sostenuto anche dai media italiani: Il Fatto Quotidianoapre addirittura una sezione in cui si raccolgono
le testimonianze dei «cervelli» che hanno deciso di emigrare, principalmente
nella penisola iberica. La narrazione è abbastanza semplice e ripetitiva: un
giovane italiano, formato e preparato, non riesce a vivere nel Belpaese, quindi
decide di andare all’estero e la sua vita diventa un successo.
[Aggiungiamo che nel 2006 MTV Italia manda in onda Italo… Spagnolo, programma in ben 27 puntate presentato da Fabio Volo in un appartamento molto fico sulla Ramba di Barcellona, N.d.R.]
[Aggiungiamo che nel 2006 MTV Italia manda in onda Italo… Spagnolo, programma in ben 27 puntate presentato da Fabio Volo in un appartamento molto fico sulla Ramba di Barcellona, N.d.R.]
Con tutto questo background culturale, è quasi ovvio che si veda in modo distorto questo nuovo governo spagnolo, negandone tutte le criticità.
Sánchez
diventa un nuovo condottiero delle sinistre abituate alla sconfitta: batte
Rajoy e le destre, annulla la corruzione, è progressista, porta il sole
dell’avvenire. Un insieme di elementi perfetto e impossibile.
Governo Sánchez: un reale cambiamento?
Per rendere
epico il racconto bisogna parlare di una grande vittoria. Che in realtà non c’è
stata. Infatti Sánchez è riuscito a vincere la mozione di sfiducia unendo
partiti molto diversi tra loro: i socialisti e Podemos sono fortemente
unionisti, ma a permettere loro di ottenere la maggioranza dei voti sono stati
gli indipendentisti baschi e catalani. Non c’è una vittoria alle urne, né una
maggioranza nelle due camere, ma una convergenza su un solo punto e molto
fragile, che renderà difficile legiferare.
Inoltre, per
poter ottenere il sostegno del Partito Nazionalista Basco (PNV), Sánchez
ha dovuto accettare di non toccare la legge finanziaria appena approvata dal governo
Rajoy, soprattutto nella parte inerente al finanziamento a Euskadi.
Si fanno
paragoni tra il governo del Partido Popular, conservatore e corrotto, e il
nuovo governo di Sanchez, che ne esce come progressista e “pulito”. Ma proviamo
a vedere chi sono i ministri.
Teresa Ribera, ministra dell’energia e dell’ambiente, avallò il disastroso Progetto Castor, grande deposito
di gas nel golfo di Valencia, a 1750 metri di profondità. Nel 2009 fu
denunciata per «prevaricazione ambientale».
Josep Borrell, ministro degli esteri, venne indagato per il falso in bilancio dell’impresa Abegoa.
Non venne processato, perché la magistratura imputò soltanto il presidente
della compagnia, archiviando una querela all’intero consiglio
d’amministrazione. Riferendosi alla situazione catalana Borrell ha utilizzato
espressioni non molto tranquillizzanti. Una su tutte: «Ci sono ferite nella
società catalana e, sì, bisogna cucire le ferite, ma prima bisogna
disinfettare». Ha partecipato anche alla famosa manifestazione contro
l’indipendenza del 29 ottobre, manifestazione in cui socialisti, popolari e il
partito neoliberista Ciudadanos hanno marciato insieme senza grossi
problemi. [Per la cronaca, quel giorno si è registrata un’aggressione a un giornalista e a un tassista
Sikh da parte di alcuni partecipanti al corteo.]
Maria José Montero, ministra delle finanze, dal 2004 al 2013 è stata
assessora alla sanità in Andalusia, regione amministrata dai socialisti fin dal
1980. Il suo mandato corrisponde agli anni in cui nel governo locale si
sviluppò, secondo le indagini del Tribunale di Siviglia, una complessa trama di
corruzione basata su prepensionamenti fraudolenti, sovvenzioni false e mazzette
a consulenti esterni. Lo scandalo è noto come «caso ERE». Si parla di una truffa alle casse della
regione per almeno 160 milioni di euro. Le indagini sono ancora in corso.
Isabel Celaá, ministra dell’istruzione e della formazione, impose
un sistema «trilingue» nelle scuole basche per ridurre l’uso della lingua
basca. Una lingua già perseguitata durante la dittatura, che si sta cercando di
difendere come elemento culturale di chi vive in Euskal Herria.
Il ministro
più emblematico è Fernando Grande-Marlaska. Viene
descritto come un magistrato-simbolo nella lotta contro la corruzione, ma non
si specifica in che tribunale operava: era giudice dell’Audiencia Nacional, il
tribunale d’eccezione dello stato spagnolo, erede diretto del Tribunale
dell’Ordine Pubblico franchista.
È il
tribunale che di recente ha condannato diversi rapper per «apologia del
terrorismo» e «ingiurie alla corona». [In loro solidarietà un vero e proprio
battaglione di artisti ha inciso la canzone Los Borbones sonos unos
ladrones, che proponiamo qui sotto con sottotitoli in italiano,
N.d.R.]
–
È il tribunale che ha condannato una studentessa colpevole di aver twittato una battuta su Luis Carrero Blanco, braccio destro del dittatore Franco ucciso da un commando di ETA nel 1973.
È il tribunale che ha condannato una studentessa colpevole di aver twittato una battuta su Luis Carrero Blanco, braccio destro del dittatore Franco ucciso da un commando di ETA nel 1973.
È il
tribunale che ha avviato i processi contro gli indipendentisti catalani e si è
occupato per anni di giudicare ETA e i suoi militanti. Grande-Marlaska entrò
all’Audiencia Nacional mentre cambiava la dottrina giuridica e si imponeva la
parola d’ordine «Todo es ETA». Con «todo» si intendono organizzazioni
politiche, partiti, giornali di sinistra e indipendentisti baschi. Il nuovo
giudice imparò in fretta la lezione e nascose molti casi di tortura: dei 9 casi per cui il
Tribunale Europeo dei Diritti Umani ha condannato la Spagna, 6 erano di sua competenza.
È il
tribunale che colpì anche il movimento degli Indignados del 15M, processando gli attivisti che avevano accerchiato il parlamento per
non permettere ai politici della destra catalana di votare i tagli sociali.
Infine, una
nota di colore: il ministro della cultura, che è durato meno di una settimana.
Era Maxim Huerta, scrittore e giornalista, divenuto celebre
come opinionista in un talk show della tv spagnola. Ha definito «provinciale»
la richiesta dello statuto catalano e mandato «affanculo» gli indipendentisti.
Non solo: ha fatto tweet con tinte razziste sulla percentuale della popolazione nera in Francia. Ma
non sono state queste le ragioni del suo brevissimo mandato. A costringerlo a
dimettersi è stato un articolo del Confidencial in cui si
ricordava che tra il 2006 e il 2008 Huerta aveva evaso il fisco spagnolo per
più di duecentomila euro tramite una società a responsabilità limitata di cui
era l’unico azionista e amministratore. Una evasione sanzionata nel maggio 2017
dal Tribunale di Madrid, che ha condannato Huerta per frode fiscale, costringendolo
a pagare un’ammenda di 366.000 euro. Nella conferenza stampa in cui annunciava
le dimissioni Huerta si è dichiarato vittima di una «caccia alle streghe» e ha
detto di non aver fatto nulla di male, semplicemente è stato ingannato dai suoi
consulenti fiscali.
Insomma,
risulta difficile ritenere questo governo progressista e pulito. Ma basta poco
per costruire la narrazione in cui la Spagna è un paese che sta cambiando:
basta nascondere tutti gli elementi conservatori e legarsi stretti a un
concetto: socialista è di sinistra, a prescindere.
La cosa
risulta ancora più curiosa se si osserva il caso catalano. Fu il partito
socialista ad accettare e appoggiare con zelo l’applicazione dell’articolo 155,
ossia il commissariamento della regione Catalana, con sospensione della sua
autonomia, scioglimento del parlamento e indizione di nuove elezioni.
In questi
giorni, a Badalona (la quarta città più popolata della Catalogna), il partito
socialista è alleato del PP e del partito di destra Ciudadanos per cacciare un
governo di coalizione di sinistra. Parliamo di un governo che unisce aree
politiche tanto di Podemos quanto della sinistra anticapitalista della CUP, con
una forte direzione di cambiamento sociale nel comune.
Aquarius, i muri di Ceuta e Melilla e i CIE
L’idea del
«cambiamento targato Sanchez» viene rafforzata dalla vicenda dell’Aquarius, la
notizia con cui si è aperta la settimana informativa tanto in Italia come nello
stato spagnolo.
Lunedì 11
giugno arriva la notizia: una nave che ha soccorso più di 600 migranti nel
mediterraneo non trova un porto dove farli sbarcare e metterli al sicuro. Il
ministro degli interni italiano Salvini si oppone, rimbalza le responsabilità a
Malta, la quale se ne lava le mani. Aquarius resta in mezzo al mare, tra Italia
e Malta, in attesa di ricevere ordini dai centri di salvataggio marittimo.
I giornali
ne parlano, i social network si infiammano, fino a quando esce un comunicato
del governo spagnolo che sblocca la situzione: Aquarius potrà attraccare al
porto di Valencia.
La richiesta
viene principalmente da Ximo Puig,
socialista presidente della Generalitat Valenziana, sostenuta dai partiti di
sinistra come Compromis (una formazione valenciana legata a Podemos). La
notizia arriva poche ore dopo quella sul Partido Popolar Valenciano condannato
per finanziamento illecito. L’immagine del cambio.
Sembra una
situazione in cui tutti vincono: Salvini celebra la vittoria, il governo di
Malta pure, e la vicepresidente della Generalitat Valenciana Monica Oltra, la sindaca di Barcellona Ada Colau e i socialisti si fanno forti del bel
gesto. Tutti contenti insomma. Il governo Sanchez ha già mostrato un
cambiamento di direzione importante: accoglie i rifugiati e istantaneamente si
rafforza l’ideale della Spagna come paese fantastico che dà «lezioni di umanità», accoglie i migranti, è solidale.
Ancora una volta si guarda alla Spagna con ammirazione.
È il segnale
di un cambiamento nelle politiche dello stato spagnolo sull’immigrazione?
Finora non
c’è stata nessuna dichiarazione ufficiale al riguardo. Le barriere di Ceuta e
Melilla restano li, a difendere le énclaves spagnole nel territorio marocchino,
per impedire l’arrivo dei migranti. Parliamo di barriere di 8 e 12 km
rispettivamente, composte da tre reti parallele, con filo spinato tagliente,
costruite durante il governo di Aznar. Inizialmente il progetto prevedeva una
rete di tre metri di altezza, ma con il tempo si è trasformata in una sorta di
«muro tecnologico». Sensori sotterrati nella vicinanza della rete captano il
movimento di chi si avvicina, camere di sorveglianza controllano il perimetro
24 ore su 24. Nel 2005, in pieno governo Zapatero, la rete passò da 3 a 12
metri di altezza.
Il fatto più
oscuro è la tragedia del Tarajal. Il 4 febbraio 2014 quindici migranti
annegarono mentre cercavano di aggirare la barriera via mare, nuotando verso la
spiaggia di Ceuta. Facevano parte di un gruppo di duecento-trecento persone che
cercava di raggiungere a nuoto la costa spagnola. Mentre nuotavano, 56 agenti
della Guardia civil cercarono di impedirne l’arrivo, scaricando sul gruppo 145
proiettili di gomma. Solo 23 arrivarono sulla spiaggia, ma per poco tempo. Vennero
catturati e riportati istantaneamente in territorio marocchino.
Di quel caso
hanno parlato i movimenti sociali, tramite il documentario Tarajal. Desmuntando la impunidad en la frontera sud,
che ha portato anche a un processo giudiziario per trovare tra i membri
della Guardia Civil i responsabili di quelle morti.
–
Non solo. Anche i CIE – Centri di Internamento per Stranieri – continuano a funzionare perfettamente. Curiosamente, quello della Zona Franca di Barcellona venne inaugurato un anno dopo l’uscita nelle sale del documentario di Sabina Guzzanti, da quel governo che tanto ammirava.
Non solo. Anche i CIE – Centri di Internamento per Stranieri – continuano a funzionare perfettamente. Curiosamente, quello della Zona Franca di Barcellona venne inaugurato un anno dopo l’uscita nelle sale del documentario di Sabina Guzzanti, da quel governo che tanto ammirava.
Proprio in
questo CIE, nel 2012, morì Idrissa Diallo, un giovane guineano che aveva
saltato la barriera di Melilla pochi mesi prima. Arrestato e portato a
Barcellona, morì per negligenza medica sotto custodia dello stato. Furono
sempre i movimenti sociali a scoprirlo e a raccontarlo, fino ad organizzarsi
per poter reimpatriare il corpo del giovane, che era stato sepolto in una tomba
anonima nel cimitero del Monjtuic.
Al giorno
d’oggi continuano le pratiche di detenzione e deportazione dei migranti non
regolari: recentemente è stato deportato in Marocco un giovane che
richiedeva asilo per la sua condizione di omosessuale.
Se non
rappresenta un reale cambiamento nelle politiche sull’immigrazione, quali sono
le ragioni del “bel gesto”?
Mentre si
parlava di Aquarius, nello stato spagnolo si svolgeva la prima seduta del
dibattito sulla legge finanziaria al Senato. Una finanziaria fatta dal PP, che
il PSOE di Sanchez ha deciso di approvare senza modificarla. Sembra
paradossale: i socialisti del cambiamento che vogliono approvare una
finanziaria fatta da un governo conservatore.
È una
questione strategica. Considerando i complessi e fragili equilibri su cui si
appoggia, il governo Sanchez non avrà la forza per fare una finanziaria nuova,
e difatti ha promesso al PNV di mantenere quella attuale. Si, perché in
questa legge il PP “regalava” un aumento del 30% del finanziamento statale al
governo basco, che è l’ago della bilancia, in cambio del suo appoggio. Appoggio
ora passato a Sanchez, che non può assolutamente farne a meno, se non vuole
cadere.
La
finanziaria potrebbe essere il primo grosso scoglio contro cui andrà a cozzare
il giovane governo di Sanchez. Per questo, per alcuni analisti politici
spagnoli – come Arturo Puente – la decisione
sull’Aquarius è un modo per capitalizzare consenso elettorale ed evitare i
probabili attacchi che arriveranno per l’incoerenza sulla finanziaria. Più che
una decisione politica, una mossa pubblicitaria.
Ecco perché
risulta difficile provare entusiasmo per un governo che probabilmente non è
così reazionario come quello del PP (ad esempio sulle tematiche legate
all’aborto), ma che su molti punti ne condivide la linea: su come risolvere la
questione nazionale aperta dagli indipendentismi, sulla libertà d’espressione,
sulle lotte sociali e forse sull’immigrazione.
* Victor
Serri è fotoreporter per Directa ed è membro di Barnaut, collettivo
di informazione in italiano da Barcellona. Su Twitter è @_ittos_
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