qualcosa
di veramente nuovo è comparso in questi mesi nella storia, per effetto
dell’onda migratoria: non tanto l’irrigidimento più o meno drastico di singole
politiche nazionali, quanto piuttosto l’emersione spontanea di una sintonia
straripante nei paesi dell’occidente, sia nelle politiche dei governi che negli
umori delle società; questa sintonia si esprime ufficialmente con una
fraseologia elementare, tal quale nei discorsi ufficiali dei leader come
nei ringhi triviali dei bar: noi non siamo razzisti (1), ma non li possiamo
accogliere tutti (2), possiamo accogliere solo quelli che non mettono a rischio
il nostro modo di vivere (3), ecc.;
tutte queste frasette, che sono vere
e proprie radiografie di una generale condizione psichica ridotta a twit,
devono essere analizzate parola per parola, frase per frase e salto per salto;
a livello sociale la visione delle cose si costituisce infatti non solo in
grazia dei significati, ma soprattutto in grazia dei salti di significato, su
cui l’opera di cucitura e di produzione di alone da parte dei leader politici
assume istante per istante un rilievo decisivo; è questo il vero denominatore
comune che dopo aver intossicato strati crescenti delle società dell’occidente
sta travolgendo le loro barcollanti democrazie, senza che le comunità nazionali
che ne sono interessate ne percepiscano minimamente la mutazione;
che una grande nazione si
autopercepisca come non razzista (1) è plausibile ed è approssimativamente
fondato; che sia persuasa di non poter accogliere tutti (2) la aiuta a
conservare una “virtuale” disponibilità ad accogliere qualcuno; che essa ponga
la condizione che non si metta a rischio il suo modo di vivere di prima (3)
giustifica poi “in realtà” ogni esclusione; l’esclusione deve però diventare
rabbiosa per poter essere autogiustificata, e di conseguenza l’oscuro senso di
colpa che l’accompagna viene miscelato nei suoi elementi costitutivi e ribaltato
come colpa dell’intruso, del migrante, del mendicante, del povero, come di
chiunque porti in giro la visibilità di una propria condizione di malasorte;
l’incapacità di farsi minimamente
carico della malasorte del prossimo, l’ostinazione al rifiuto di comprenderne
le ragioni, e la comodità di far pesare questa propria impotenza ancor più su
di lui facendone il colpevole primario, è la vera novità antropologica di
queste società oggi: ma la diffusività del fenomeno migratorio, pur imponente,
è solo la maschera di questa impotenza; la realtà di questa impotenza inizia
invece entro le proprie mura, quando si scopre per esempio di non avere alcuna
motivazione a “onorare il padre e la madre” quando questi cominciano ad avere
bisogno di cura, di presenza e di affetto; quando si scarica sulla formazione
della personalità dei figli la voglia di affermazione o di rivalsa nella
competizione sempre in moto là fuori; quando si è spenta ogni capacità di
essere lealmente amici degli altri nonché di se stessi;
quando non resta più niente di tutto
questo, quando sei davvero solo un vestito senza uomo, il migrante, l’estraneo,
l’intruso, è per la tua psiche davvero un disturbo provvidenziale: il tuo
vestito senza uomo prende vita, poiché ha finalmente qualcuno con cui prendersela,
qualcuno da cacciare via, e mentre questa isteria monta a dimensione di massa
ecco l’empireo della politica nei twit, nei talk show e nei nauseanti ping pong
con gli empirei politici delle nazioni confinanti; laddove ogni leader vanta
persino il lusso di concedere ai disgraziati una misurata compassione,
blandendo con ciò la folla rabbiosa affinché plachi eccezionalmente la propria
fame: allora “quei parassiti” diventano per un istante “questi poverini”, noi
abbiamo il diritto di chiudere i porti ai taxi del mare ma salviamo con le
nostre navi tante persone che riporteremo ai campi in libia, o in messico, però
sane e salve, ecc.
e così nell’occhio del ciclone, il
ciclone che sta spazzando via non il buonismo o altre simili idiozie, ma la
reciprocità biologica tra esseri della stessa specie prima ancora che la
condivisione psichica della vita, nell’occhio del ciclone vengono gettati di
prepotenza i bambini; essi ora diventano, nel linguaggio soave da bravi papà,
di salvini, come di orban o erdogan o trump o macron, non semplicemente
“bambini”, ma soavemente “bimbi”; i bimbi in gabbia sottratti ai genitori, ma
anche ri-concessi ad essi per grazia presidenziale purché fra le sbarre; i
bimbi negretti cui bisogna precludere il mediterraneo e alle perse la scuola
materna; i bimbi rom che sarebbe bene sottrarre ai genitori per estinguere
quelle sozze comunità di vita ecc.;
i “bimbi” diventano così destinatari
non solo di una violenza diretta, quando è possibile col respingimento o la
gabbia; ma in alternativa anche destinatari di una violenza più ripugnante,
quando esibiti come esempio di governo compassionevole; questo uno-due, il
disprezzo proclamato e la finta compassione, la regola e l’eccezione, sono la
tecnica oscena di identificazione reciproca fra masse abbrutite, rese asociali
e infelici da condizioni vuote di lavoro e di vita, e capo politico vociante,
balzato alla guida di un ordinamento politico nato da guerre di resistenza per
restare tutto il contrario di ciò che oggi lo si è fatto diventare con i processi
di liberismo economico totalitario;
quando li si può ascoltare con la
loro voce reale, trump con la vocetta da mezzo soprano, macron con
l’espressione da borseggiatore, salvini con la severità di una palla di lardo,
è necessario aver chiara la direzione: ieri il parlamento ungherese ha
approvato, con la proporzione di dieci a uno, il pacchetto di norme che punisce
col carcere chi offre ospitalità o aiuto a un immigrato, e ha posto in
costituzione il principio di salvaguardia della composizione razziale della
popolazione ungherese;
è più facile di quanto si creda che
la cosiddetta volontà del popolo, quando le classi sociali che lo compongono
sono così sgretolate, incapaci di direzione e in balìa degli umori, possa
essere trascinata nel buio da una classe media avida e corrotta; fu così che,
sbalordendo lo stesso pilato, la folla chiese la liberazione di barabba al
prezzo di una vita innocente, preludendo alla catastrofe generale; è questo,
analogamente, il corto circuito della democrazia, se viene a mancare una
vigilanza irrinunciabile; ma quello là sul colle, che nel varo di questo
governo aveva fatto sfracelli sulle innocue pubblicazioni di un professore di
economia, impedendone la nomina a ministro, su tutto questo disastro ora tace;
e tu?
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