«Il regime
totalitario è caratterizzato soprattutto dal tentativo di controllare
capillarmente la società in tutti gli ambiti di vita, imponendo l’assimilazione
di un’ideologia: il partito unico che controlla lo Stato non si limita cioè a
imporre delle direttive, ma vuole mutare radicalmente il modo di pensare e di
vivere della società stessa. […] Un ruolo fondamentale in tal senso è svolto
dalla scuola e dai mass media.»
«Avrò sempre
abbastanza soldi per vivere», «Riuscirò a comprare le cose che voglio»,
…, PER NIENTE, POCHISSIMO, POCO. ABBASTANZA, MOLTO, TOTALMENTE: Metti una
crocetta su un solo quadratino. No, non è uno scherzo ma una domanda
somministrata da INVALSI agli alunni/e di quinta elementare. È iniziato tutto
con la condivisione su un gruppo Whatsapp della foto di una domanda del
questionario studenti destinato agli allievi di quinta elementare. La
successiva condivisione su Facebook ha innescato una diffusione virale che si è
propagata anche a Twitter e infine ai maggiori quotidiani: la Stampa, Corriere
della Sera, Repubblica. Persino il Caffè di Gramellini. Che la base scientifica
dei test INVALSI sia fragile è qualcosa che può sfuggire al grande pubblico. Ma
quando vieni messo di fronte a queste domande, diventa chiaro l’asfittico
sfondo ideologico di questo ingombrante e costoso apparato valutativo.
Link per firmare
l’appello:“Fermiamo la trasformazione
della scuola in azienda”
·
Gruppo Facebook di Roars (10 maggio, 8:13): Scuole elementari: domanda del questionario personale
INVALSI.Che ci spieghino IL SENSO di queste domande a bambini dai 6 ai 10 anni.
·
Tweet di Redazione_ROARS (10 maggio, 9:46): https://twitter.com/Redazione_ROARS/status/994483824041046016
·
il Fatto Quotidianon(11 maggio): Test invalsi, polemiche per la domanda agli alunni delle
primarie: “Da grande avrai soldi e un buon lavoro?”
·
la Stampa (11 maggio): Invalsi, le domande che frenano la voglia di sognare
·
Il Corriere della Sera (11 maggio): «Troverai un buon lavoro?». Bufera sulla domanda
dell’Invalsi 2018
·
la Repubblica (11 maggio): Test Invalsi alle elementari: polemica sulla domanda
riguardo ai guadagni futuri
·
Il Caffè di Gramellini (12 maggio, Corriere della Sera): Il bambino azienda
1.
Domanda del Questionario
Studente somministrata
agli alunni di quinta elementare durante le prove INVALSI 2017/18.
2.
Estratto da “Piccoli imprenditori crescono: i modelli MIUR per le scuole
elementari e medie” di Rossella Latempa:
Nell’ottobre scorso, in
attuazione del decreto delegato della cosiddetta Buona
Scuola sulla valutazione e certificazione delle competenze, nella disattenzione
generale e mentre l’opinione pubblica si concentrava su questioni docimologiche
(“voto numerico” e “bocciatura si-bocciatura no”) sono stati emanati i modelli nazionali di certificazione delle
competenze per gli allievi che concluderanno le scuole elementari e medie a
partire dall’estate prossima.
Per i ragazzini delle
medie la scheda di certificazione conterrà una parte dedicata alle
competenze europee redatta dagli insegnanti ed una parte a cura dell’INVALSI,
che registrerà i risultati ottenuti ai test di Matematica, Italiano ed
Inglese, diventando di fatto fonte privilegiata di informazioni
pubbliche sui livelli di apprendimento del singolo allievo.
Per i bambini delle
elementari la scheda di certificazione è riferita alle otto competenze europee,
tra cui proprio quella denominata “spirito di iniziativa e imprenditorialità”,
che in Italia è diventata semplicemente “spirito di iniziativa”. La
dicitura internazionale compare per esteso, in inglese a carattere ridotto ed
in corsivo, in basso a sinistra (vedi Fig. 1). Il legislatore non se l’è
sentita, insomma, di associare la parola “imprenditorialità” alla formazione di
bambini di 6-10 anni. Resta il fatto che i consigli di classe delle varie
scuole del Paese dovranno adoperarsi per “testare” la capacità di “realizzare
progetti”, essere “proattivi” e capaci di “assumersi le proprie responsabilità”
fin da piccoli. A questo proposito sottolineiamo due aspetti.
Fig. 1 – Estratto dal modello di certificazione per la scuola primaria (DM
742/2017)
Primo: l’enfasi sull’attivismo
perenne finalizzato ad un obiettivo, a cui l’imprenditorialità
intuitivamente richiama. Fin da bambini infatti, “in una logica di
verticalità”, spiega la circolare ministeriale, è importante orientare gli
studenti ad “una forma mentis imprenditoriale”, all’ “assunzione del
rischio” e delle “proprie responsabilità”. Tutte cose utili non
solo per diventare imprenditori veri e propri – si chiarisce – ma in qualsiasi
contesto lavorativo e di cittadinanza attiva. Il futuro
cittadino-imprenditore globale, suggerisce la letteratura economico-educativa
internazionale, va costruito fin da piccolo. “Starting strong”, scrive
l’OCSE nella recente pubblicazione “Early Childhood
Education and Care”, dove parole nobili come “educazione”
e “cura”, non sono più diritti universali dell’infanzia di ciascuno, ma mezzi e
strategie finalizzate e re-interpretate in funzione di un obiettivo: “gettare
le fondamenta dello sviluppo di skills”. Il futuro cittadino
transnazionale è “cittadino” solo se “attivo”. Nei documenti scolastici la
parola cittadinanza non esiste più, se non in concomitanza del
termine “attiva”. La qualificazione è diventata da qualche tempo necessaria,
come se non potesse esistere un cittadino in-attivo, in-competente: un
cittadino contemplativo, che non produce nulla. Che gioca, legge,
colora, perde tempo. Almeno alle scuole elementari.
Secondo: l’approccio
alla realtà, competitiva e perennemente incerta. Il report tecnico
del modello Entrecomp (vedi prima parte di questo resoconto) si pone il
problema pedagogico – come insegnare l’imprenditorialità – in
un paragrafo specifico[1]: “la componente
conoscenza non rappresenta una sfida per l’educazione
imprenditoriale [dunque] metodi come letture o elaborazione
delle informazioni non sono appropriati”[2]. Continua: “elementi
di competitività vanno introdotti gradualmente dalla primaria alla
secondaria, per dare agli allievi l’opportunità di convalidare le loro idee
e l’ambiente imprenditoriale/di start up [in cui operano]”.
[2] Ivi, pag. 61.
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