Uno scontro istituzionale senza
precedenti. Prese di posizione sempre più dure da una parte o dall’altra,
scambi di accuse durissime. Una campagna elettorale continua, ma che non discute di
contenuti, si riduce a un “con noi o contro di noi”,
da qualsiasi parte si stia e qualsiasi opinione si abbia. “Euro sì o no”; “Europa si o no”. Uno
scontro frontale che rende difficile, se non impossibile, elaborare un
ragionamento che parta dalle complessità per arrivare a proporre soluzioni
pragmatiche.
La preoccupazione oggi è per le
conseguenze che un tale scontro potrà avere sul futuro del Paese. Per
l’ennesima volta stiamo perdendo l’occasione di aprire uno spazio politico e di
discussione, di analizzare a fondo i contenuti in un mondo che non è bianco o
nero. Non siamo a una partita di calcio in cui deve vincere una delle due
squadre, parliamo di temi di grande complessità.
Non è questione di euro sì o euro no
È pensabile che le forze politiche vengano ancora divise in pro o contro
l’euro? Eppure pare che oggi
ci siano solamente due opzioni: essere dalla parte di quelli che dicono che
l’euro ci ha salvato, o da quella di chi sostiene che dobbiamo uscirne
immediatamente. Di qui o di là, scambiandosi reciproche accuse di complicità e
incapacità.
Il primo passo dovrebbe essere quello di
riconoscere che una cosa è dire che sono state sbagliate le modalità di costruzione e di ingresso
nell’euro, e una ben diversa – da un punto di vista logico
prima ancora che economico o monetario – affermare che uscirne sarebbe una
soluzione. Facciamo un esempio: se sono in macchina e mi accorgo di avere
sbagliato strada, fare inversione a U e tornare indietro contromano potrebbe
non essere la soluzione migliore. Forse farei meglio proseguire o cercare uno
svincolo. Eppure anche una banalità dal punto di vista logico come questa,
appare molto al di là dell’attuale livello del dibattito.
Figuriamoci pensare di esaminare nel
merito le ricadute che un’uscita dall’euro potrebbe avere, in positivo come in
negativo, per l’economia, le banche, il debito pubblico, i risparmi degli
italiani.
Alcuni studiosi dell’uscita dall’euro
propongono l’introduzione contestuale di controlli
sui movimenti di capitale. Se però uscissimo dall’euro per avere
una moneta meno forte e rilanciare l’economia tramite le esportazioni,
introdurre dei controlli sui capitali in entrata sarebbe poco plausibile. Quale Paese
accetterebbe un rapporto commerciale unidirezionale con l’Italia, in cui noi
esportiamo le nostre merci ma i suoi capitali non possono entrare?
Questo, appena accennato in maniera molto
semplificata e approssimativa, è unicamente uno dei molti e complessi temi da
discutere, senza arroccarsi ognuno sulle proprie posizioni.
Parliamo di movimenti di capitale
Il nodo centrale potrebbe non essere l’uscita o meno dall’euro, ma
proprio l’introduzione
di controlli sui movimenti di capitale. Se
c’è stata una globalizzazione, questa è stata dei capitali, liberi di spostarsi
in ogni momento e in tutto il mondo.
Perché l’Italia è succube dello spread e dei diktat dei mercati? Perché nel nostro Paese è impossibile parlare di
una patrimoniale? Perché i diritti del lavoro continuano a precipitare mentre
sempre più imprese delocalizzano? Perché i paradisi fiscali prosperano? Perché
assistiamo a un tale aumento delle diseguaglianze? Non sarà che alla radice della maggior parte dei
problemi c’è la completa libertà di movimento dei capitali?
Spazio alla speculazione
Forse se la
politica volesse recuperare un proprio controllo sulla finanza bisognerebbe
partire da qui. Ma anche questi accenni alla realtà concreta – complessi
ma non troppo – appaiono incompatibili con la pochezza del dibattito politico
attuale. Il problema non
è solo il desolante spettacolo in sé, ma il fatto che proprio in questa pochezza sguazza la
speculazione.
Chiariamo il concetto. Compro una casa
per 100, un anno dopo la rivendo a 101. Ho realizzato una speculazione
immobiliare. Il guadagno dell’1 per cento in un anno non è però allettante.
Molto meglio lanciarsi in tali operazioni se il mercato delle case è in preda a
forti oscillazioni. Compro la mia casa a 100 e dopo tre mesi se sono fortunato
vale 120. In altri termini, più le oscillazioni dei prezzi sono ampie, più sono ravvicinate, più
posso estrarre profitti dalla mia attività speculativa.
Instabilità e crisi
non sono un fastidioso effetto collaterale della speculazione finanziaria,
sono la base stessa del gioco. Gli
speculatori hanno bisogno della volatilità dei prezzi come dell’aria. In un
periodo di tassi bassi o negativi sui mercati, una bella crisi istituzionale e
la conseguente instabilità sono una vera e propria manna per gli scommettitori
della City e di Wall Street.
Ed è questo l’elemento più sconcertante
della situazione attuale. Se a parole tutti concordano sul fatto che la democrazia non debba essere
succube della finanza, è proprio un sistema politico debole,
dove la violenza dello scontro annulla la possibilità di dialogo, confronto ed
elaborazione, ad attrarre i giocatori del casinò finanziario. Mentre in Italia
i galli arruffano le penne e si beccano tra di loro, le volpi ringraziano, e
tranquille si servono il pasto.
(*) tratto da Comune-Info
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