Il 15
giugno era festa grande a Gaza, come in tutti i paesi a prevalenza musulmana.
Una festa che non si ignora neanche laddove cadono senza sosta bombe
devastatrici di vite e di intere comunità. Era il primo giorno dell’Eid fitr,
quello che segue la fine del Ramadan e che ha ancor più importanza di quanto ne
abbia il Natale nei paesi a prevalenza cristiana.
L’Eid
fitr è la festa in cui i bambini hanno gli abiti nuovi e girano felici
per le strade e le famiglie si fanno visita l’un l’altra. Anche nelle case dei
recenti martiri si festeggia l’Eid ed è un’occasione per onorare il
martire e ricordare che la sua morte è benedetta sebbene dolorosa.
Molti
gazawi hanno deciso di passare questi giorni negli accampamenti della grande
marcia lungo il confine. Israele, che non cessa mai di far sentire la sua
presenza con il ronzio ossessivo dei droni-spia, ha partecipato all’Eid non
solo con l’onnipresenza dei droni ma anche con alcuni missili lanciati su uno
degli accampamenti in cui i ragazzi preparavano i temibili aquiloni diventati
simbolo della grande marcia. Per fortuna niente vittime e l’Eid fitr continua
per altri due giorni come previsto dal rito coranico.
Nei giorni
precedenti l’Eid, cioè durante il Ramadan, è normale essere invitati
all’iftar, cioè alla cena che interrompe il digiuno dopo il calar del
sole. Queste cene sono un’immersione totale nello spirito del luogo. Uno
spaccato sociologico che toglie ogni dubbio su quanto ci sia di falso negli
stereotipi forniti dai media i quali, a parte pochissime eccezioni, si
gingillano in cosiddette analisi di situazioni che non conoscono neanche per un
affaccio veloce alla finestra.
Essere
invitati all’iftar, in quanto stranieri, è una forma di rispetto e di
affetto in tutta la Palestina. Essere invitati all’iftar nella
Striscia di Gaza è anche qualcosa di più: è un ringraziamento per esserci,
perché in una prigione come Gaza, in cui per gli stranieri è molto difficile
entrare e per i gazawi è quasi impossibile uscire, anche se feriti o malati,
esserci significa vedere e testimoniare. Testimoniare dal vivo e
raccontare il vero, sempre che si abbia l’onestà intellettuale per farlo e non
si dipenda dal libro paga di chi stabilisce cosa sia opportuno scrivere.
Quindi,
stante la condizione di assoluta libertà di espressione, ecco una cronaca
da Gaza arricchita dalle tante interviste informali raccolte durante questi
incontri conviviali.
Due o tre
sono le cose particolarmente rilevanti emerse in queste conversazioni ed una di
queste è che, nonostante il taglio dell’elettricità da parte di Israele,
ogni casa visitata è illuminata da luce elettrica e non da candele. Come
mai? Forse che Israele, detentore dell’assedio e anche dell’elettricità, ha
concesso più ore di luce? No. Il motivo è che i gazawi, in questi 11 anni
di illegale assedio, hanno sviluppato su vari fronti la loro
creatività. Mentre gli ospedali o le grandi strutture usano i generatori
e, chi può, usa i pannelli solari, le singole abitazioni – spesso appartamenti
arrampicati l’uno sull’altro in uno degli 8 campi profughi, o piccole case
ricostruite alla meglio dopo l’ultimo terribile massacro del 2014 – non hanno
la possibilità di usare un generatore, sia per il costo dello stesso, sia per
il costo del carburante, e allora qualcuno si è inventato l’uso
alternativo della batteria dell’automobile. Qualche piccola modifica per
poterla alimentare nelle due o tre ore in cui Israele fa passare l’elettricità,
cioè verso mezzanotte quando normalmente la famiglia ormai dorme, e qualche
altra modifica per alimentare gli impianti domestici con l’energia accumulata
nella batteriaet voila, il gioco è fatto: Israele vuole lasciare al buio
Gaza e Gaza si attrezza sviluppando sistemi alternativi.
In questo
periodo sembra che la scelta di rispondere in modo non violento alla negazione
dei propri diritti abbia scatenato, in questa comunità di prigionieri, una
grande fantasia creativa che ha preso il posto di frustrazione e
rabbia. Lo si è visto nelle manifestazioni della Grande marcia del ritorno
in cui ai micidiali lanci di tear gas un gruppo di
manifestanti aveva organizzato il “rilancio” nel campo nemico usando
racchettoni e racchette da tennis, o nel tentativo vagamente pitagorico di
utilizzare gli specchi per confondere i cecchini, o nell’incendio dei copertoni
il cui denso fumo nero impediva ai cecchini di prendere la mira, riducendo così
il numero delle vittime che, comunque, sono state circa 130 alle quali si
aggiungono oltre 13mila feriti. Ma l’idea principe è stata sicuramente
quella delle mini mongolfiere e degli aquiloni con la codina accesa da far
volare oltre la rete dell’assedio, spiegando così all’assediante che i gazawi
non si arrendono e pretendono il riconoscimento dei loro diritti. Seguitano
anche a spiegare, inascoltati dall’occidente, che dietro a queste decine di
migliaia di uomini donne e bambini che si radunano lungo il confine non c’è il
coordinamento di Hamas, né di altri partiti politici, bensì la riedizione di un
tentativo già sperimentato, ma fallito, nel 2011 e cioè un movimento di base
che scavalchi i partiti senza negarli, ma senza lasciarsi irretire dalle
rivalità tra i vertici, e che tende a richiamarsi al concetto di fronte unico
per ottenere i diritti affermati dall’ONU ma negati da Israele.
Questi i
discorsi generali che hanno accompagnato le belle cene dell’iftarnell’ultima
settimana del Ramadan. Ma a questi vanno aggiunti spunti e suggestioni che
offrono inquietanti motivi di riflessione.
In parte
per caso, in parte per scelta, nessuno degli incontri ha avuto come
interlocutori militanti o simpatizzanti di Hamas, il partito al potere, il
quale in passato ha scelto la lotta armata, compreso l’uso di kamikaze per
ottenere senza mai riuscirci – il rispetto dei diritti del popolo palestinese
da parte di Israele. Ormai Hamas ha preso un’altra via sebbene Israele
trovi molto comodo nella sua propaganda con l’occidente attribuirgli la
responsabilità di qualunque azione ostile, violenta o meno, ottenendo in tal
modo due risultati: uno verso l’esterno, quello di screditare ogni azione
legittima, quale la richiesta di applicare le Risoluzioni ONU, ammantandola di
un falso velo di terrorismo grazie ai buoni servigi dei tanti opinion
maker israelo-dipendenti. Verso l’interno, invece, quello di ottenere
l’accredito di Hamas come organizzazione capace di muovere le masse dei gazawi
anche se non sempre questo risponde al vero, restituendogli un carisma che ad
un’analisi orientativa sembrava essere in caduta ibera.
I due
argomenti più interessanti, oggetto delle interviste informali realizzate in
questi giorni, hanno riguardato: 1) il comportamento dell’Anp, che qui viene
regolarmente riportato al solo presidente Abu Mazen, considerato come
responsabile unico della punizione collettiva imposta ai palestinesi di Gaza
attraverso il taglio degli stipendi e 2) l’uccisione di bambini e teenager da
parte di Israele. Questo secondo argomento creerà sicuramente disappunto e
verrà attaccato brutalmente dalle organizzazioni sioniste, se questo articolo
verrà letto, come già successo per altri lavori che sono stati oggetto di
attacchi rabbiosi ma non destrutturanti di quanto affermato, visto che
scriviamo solo ciò che è dimostrabile e documentabile.
Per quanto
riguarda il taglio degli stipendi dei dipendenti pubblici di Gaza in carico al
governo di Ramallah, taglio dovuto al tentativo di fiaccare Hamas accrescendo a
dismisura la povertà nella Striscia, sperando in una qualche forma di
sollevazione pro Anp, l’effetto si è dimostrato un boomerang dal punto di
vista politico e un baratro dal punto di vista morale. A nessuno sfugge
l’altissimo livello di vita di Abu Mazen e dei suoi figli, ricchi imprenditori
probabilmente per loro proprio merito, ma tacciati di corruzione da tutti gli
intervistati. L’amaro senso di tradimento probabilmente porta a queste risposte
esasperate, ma queste sono comunque le risposte offerteci. Gaza è
assediata, Israele tra i tanti crimini passati sotto silenzio commette anche
quello di irrorare di glifosato le coltivazioni gazawe per impedirne il
raccolto, e l’Autorità palestinese invece di sostenere i propri figli li getta
in un’ancor più nera miseria! Questo non è percepito da nessuno dei miei
interlocutori come un errore politico, ma da tutti come un crimine commesso
contro i fratelli gazawi per un odio contro Hamas tanto cieco da favorire
Israele. Questo dicono i Gazawi.
Agli occhi
di un occidentale che non conosce la cultura palestinese tutto questo sembra
confliggere col fatto che la Striscia sia piena di Università (nessuna
completamente gratuita) e che le università siano piene di studenti e
studentesse i quali vengono spessissimo da famiglie in cui si sopravvive grazie
ai sussidi dell’Unrwa. Studenti che solo in bassa percentuale hanno
partecipato alle manifestazioni al confine ma che plaudono alla grande marcia e
che mostrano l’icona dell’infermiera Razan Al Najjar, o dell’artista Mohammed
Abu Amr che scolpiva sulla sabbia, o del giornalista Yaser Murtaja, tutti resi
martiri da Israele. Studenti che pur non partecipando direttamente alla
grande marcia, plaudono alla geniale idea degli aquiloni che è stata
capace di mettere in crisi il potentissimo apparato bellico israeliano. Si
riconoscono in quelle figure di combattenti disarmati capaci di far vacillare
l’immagine di Israele come onnipotente e danno il loro sostegno ideale anche se
raramente hanno raggiunto i manifestanti al confine.
Uno dei
miei intervistati, padre di alcuni studenti e prima persona che mi ha mostrato
con un’espressione vagamente divertita l’apparato elettrico alternativo che
illumina la sua casa, lo stesso che mi ha fatto avere come regalo un paio di
quei bellissimi aquiloni, che difficilmente potrò riportare in Italia, è uno
dei tanti dipendenti legati a Fatah e rimasto senza stipendio per la
“lungimiranza” dell’Anp. Tra le tante cose dette, mi dice una frase che riporto
testualmente: “Hamas non brilla per creatività, sono i nostri giovani la
nostra forza e questo Israele lo sa e per questo li uccide”. E’ lapidaria e
terribile la sua affermazione, la contesto. Statistiche alla mano non ho difficoltà
a contestarla, non perché voglia difendere Israele, conosco bene la gravità dei
suoi crimini e l’ancora maggior gravità del fatto che questi restino
regolarmente impuniti, ma mi sembra un’affermazione impropria. Gli faccio
notare che per ragioni statistiche, essendo la popolazione gazawa mediamente
giovane dato l’alto numero di figli che arricchisce ogni famiglia, è normale
che vengano uccisi più ragazzi giovani che popolazione matura. Non è
così. Alla conversazione partecipa uno dei medici degli ospedali che hanno
fatto miracoli per provare a salvare vite e arti e mi chiede se ricordo che
durante la mia visita nel suo ospedale ben tre ragazzi erano stati colpiti ai
genitali e resi sterili oltre che invalidi. Mi dice che altri hanno avuto lo
stesso destino e che sono troppi perché il fatto possa essere considerato pura
coincidenza. Israele ha paura della crescita demografica del popolo
palestinese, questo lo sappiamo, ma questo non può significare lo sterminio
scientifico di una generazione. Sinceramente mi sembra troppo e insisto nella
mia posizione.
Ho davanti
a me un uomo che ha conosciuto (come il 90% degli uomini palestinesi) le galere
israeliane da quando aveva 16 anni. Arrestato mai per crimini, ma per la sua
militanza in Fatah, cosa che ora forse non succederebbe più. Un uomo che la
mentalità israeliana e il cinismo scientifico che l’accompagna li conosce bene.
Accanto a lui ho un medico ospedaliero che nei suoi tanti anni di professione
ha avuto non solo malati ma molti feriti dall’esercito detto il più morale del
mondo. Anche lui mi dice che c’è grande scientificità, perfettamente mirata,
nei crimini israeliani. Ho di fronte a me anche dei ragazzi che ancora non
hanno avuto modo, per fortuna, di conoscere le galere israeliane ma che mi
dicono di aver perso un gran numero di amici della loro età nei bombardamenti
del 2014. Mi viene ricordato un episodio avvenuto in Cisgiordania negli
anni “80 in cui vennero rese sterili circa duemila ragazze. Quattro conti e
viene fuori che in un colpo solo Israele ha ridotto la popolazione potenziale
di circa 16.000 persone che oggi, per effetto del moltiplicatore generazionale
ne avrebbero probabilmente fatte nascere già almeno altre 32.000.
E’
spaventoso oltre che inquietante. Faccio ancora qualche obiezione ma poi mi
faccio qualche conto veloce. Prendo in esame solo i due massacri maggiori degli
ultimi dieci anni: Piombo fuso e Margine protettivo.
Non so quanti diciottenni o ventenni o venticinquenni siano stati ammazzati ma
so che sono stati la maggioranza dei circa 1450 morti di Piombo fuso e
dei 2260 di Margine protettivo. So però quanti bambini sono stati
ammazzati. Ben 318 nei soli 21 giorni del primo massacro e 570 più un migliaio
resi invalidi a vita nei 49 giorni del secondo.
A parere
dei miei intervistati tutto questo fa parte della lungimiranza strategica,
tanto intelligente quanto cinica, dei governanti israeliani. Non solo di
Netanyahu, ma di tutti i governanti israeliani e mi invitano a ricordare che
molti di loro erano stati feroci terroristi prima della nascita dello Stato di
Israele di cui poi sarebbero diventati onorevoli statisti.
Mi ripetono
che questo rientra nella mentalità israeliana e che nessuna uccisione di
palestinese in grado di procreare è casuale. “Sono i nostri giovani la nostra
forza e per questo Israele li uccide” ripete il mio ospite. Però, con uno
spirito assolutamente palestinese, aggiunge “ma non potrà ucciderli tutti e gli
interessi che sostengono Israele non saranno eterni. Assaggia la zuppa di
verdura che è speciale”. Si cambia registro così, qui a Gaza. Se non fosse così
fosse sarebbero stati assuefatti e addomesticati. Qualcuno la chiama
resilienza.
Mentre
scrivo queste riflessioni dalla mia finestra entrano tre cose: l’insopportabile
ronzio dei droni al quale non riuscirò mai ad abituarmi, un caldo che fino a
poco fa pare abbia toccato i 42 gradi all’ombra e che mi ha tenuta bloccata in
casa, e il rumore di clacson misto a tante voci che vengono dal porto. Tra un
po’, appena spirerà un po’ di brezza scenderò sulla spiaggia che ho
davanti al mio ufficio e che sarà piena di palestinesi in festa. La spiaggetta
in cui nel 2014 vennero fatti a pezzi 4 bambini mentre giocavano a pallone. Ho
sempre pensato si trattasse di crudeltà e sadismo, ma dopo le ultime interviste
ho cambiato idea: Israele non ha soltanto bisogno di uccidere, come già scritto
alcuni giorni fa, per una sindrome non superata dovuta all’olocausto, Israele
ha anche l’obiettivo di uccidere per fermare la crescita del popolo
palestinese. Lucidamente, scientemente, criminalmente.
Ripensando
ad alcuni articoli di Gideon Levy, una delle firme più prestigiose del
giornalismo israeliano progressista, mi rendo conto che Levy questo orrendo
obiettivo lo denuncia da tempo. Ma solo l’impatto vis à vis con chi è
direttamente colpito da questo progetto mi ha dato consapevolezza della sua
mostruosità. Se Israele si salverà da se stesso sarà anche perché quella
piccola minoranza di cui Gideon Levy fa parte e che rappresenta la parte sana
del paese, riuscirà ad ostacolare questa deriva razzista o peggio.
Per oggi è
tutto, la festa continua comunque, nonostante l’ombra minacciosa di Israele,
nonostante la cecità politica dell’Anp, nonostante il dolore per i tanti
martiri, che però non sono assenti, basta entrare nelle case per vedere che
anche loro partecipano all’Eid. Partecipano in forma di icona e di
ritratti che riempiono i muri.”
Per oggi è
tutto, la festa continua comunque, nonostante l’ombra minacciosa di Israele,
nonostante la cecità politica dell’Anp, nonostante il dolore per i tanti
martiri, che però non sono assenti, basta entrare nelle case per vedere che
anche loro partecipano all’Eid. Partecipano in forma di icona e di
ritratti che riempiono i muri.
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