mercoledì 13 giugno 2018

Razan al-Njjar, uccisa da un cecchino israeliano, è stata colpita alla schiena





(da Electronic Intifada)
Una fotografia scattata il 1^ aprile mostra la paramedica palestinese Razan al-Njjar mentre sta curando dei feriti in una tenda del pronto soccorso durante le proteste a Gaza vicino al confine con Israele. Il 1^ giugno Al-Najjar è stata colpita a morte da un cecchino israeliano mentre prestava soccorso a dimostranti feriti vicino a Khan Younis.
Nel corso dei loro continui attacchi indiscriminati contro i palestinesi che partecipavano alle proteste della ‘Grande Marcia del Ritorno’ a Gaza, svoltesi per 10 venerdì consecutivi, le forze di occupazione israeliane hanno colpito a morte un medico volontario e ferito decine di persone.
Venerdì sera, quando è stata colpita a morte, Razan Ashraf Abdul Qadir al-Najjar, di 21 anni, stava aiutando a curare ed evacuare dimostranti feriti ad est di Khan Younis.
L’associazione per i diritti umani “Al Mezan” ha affermato, citando testimoni oculari e proprie indagini, che, nel momento in cui è stata colpita, lei si trovava a circa 100 metri di distanza dalla barriera di confine con Israele ed indossava un giubbotto che la identificava chiaramente come paramedico. “Al Mezan” ha affermato che Al-Najjar è stata colpita alla schiena.
Al-Najjar era diventata famosa per il suo coraggio e perseveranza nel condurre la sua opera di soccorso nonostante l’evidente pericolo.
In precedenza era stata colpita dagli effetti dell’inalazione di gas lacrimogeni e il 13 aprile si è rotta un polso mentre correva per soccorrere un ferito. Ma Al-Najjar quel giorno si è rifiutata di andare in ospedale ed ha continuato a lavorare sul campo.
“È mio dovere e mia responsabilità essere là ed aiutare i feriti”, ha detto ad Al Jazeera.
Ha anche reso testimonianza sugli ultimi momenti di vita di coloro che erano stati feriti a morte prima di lei.
“Mi spezza il cuore il fatto che alcuni dei giovani feriti o uccisi abbiano espresso le loro ultime volontà di fronte a me”, ha detto ad Al Jazeera. “Alcuni mi hanno addirittura consegnato i loro effetti personali (come dono) prima di morire.”
Al-Najjar ha parlato del suo lavoro in una recente intervista televisiva che è stata ampiamente diffusa sui social media dopo la notizia della sua morte.
Molti utenti di Twitter, soprattutto di Gaza, hanno reso omaggio a al-Najjar.
I media palestinesi hanno diffuso immagini dei suoi familiari e colleghi che piangevano la sua morte.
Il dottor Ashraf al-Qedra, portavoce del ministero della sanità di Gaza, ha reso omaggio ad al-Najjar definendola una volontaria umanitaria impegnata, che non ha abbandonato il suo posto fino al punto di “offrirsi come martire”.
Mani alzate
-La foto qui sotto riprende Razan pochi istanti prima di essere uccisa-

Il camice bianco che al-Najjar indossava, mostrato da sua madre, presenta un foro nella parte posteriore.
In una dichiarazione rilasciata sabato, il ministero della Sanità di Gaza ha affermato che al-Najjar faceva parte di un’equipe medica che “andava ad evacuare i feriti con entrambe le mani alzate, a dimostrazione del fatto di non costituire alcun pericolo per le forze di occupazione pesantemente armate.”
“Le forze di occupazione israeliane hanno sparato proiettili veri direttamente al petto di Razan ed hanno ferito parecchi altri paramedici”, ha aggiunto il ministero della Sanità.
Dalla dichiarazione del ministero della Sanità non risulta chiaro quante volte al-Najjar sia stata colpita o in quale esatto punto della parte superiore del corpo. Il ministero ha anche pubblicato un video che mostra al-Najjar e i suoi colleghi che camminavano verso la barriera di confine con le mani alzate poco prima che al-Najjar venisse colpita.
Sabato il rappresentante speciale ONU per il processo di pace in Medio Oriente, Nickolay Mladenov, ha twittato che “gli operatori sanitari non sono un bersaglio. I miei pensieri e le mie preghiere vanno alla famiglia di Razan al-Najjar.”
Tuttavia Mladenov ha omesso di condannare le azioni di Israele, invitandolo invece a “calibrare il suo uso della forza.”
Sabato in migliaia hanno seguito il funerale di al-Najjar, mentre i colleghi portavano il suo corpo coperto dalla bandiera palestinese e dal camice macchiato di sangue che indossava quando è stata uccisa.
Attacchi ai medici
Al-Najjar è il secondo soccorritore ucciso dalle forze israeliane dall’inizio delle proteste della ‘Grande Marcia per il Ritorno’, il 30 marzo. Secondo il ministero della Sanità di Gaza, più di altri 200 sono stati feriti e 37 ambulanze sono state danneggiate.
Due settimane fa i cecchini israeliani hanno ucciso il paramedico Mousa Jaber Abu Hassanein.
Circa un’ora prima che venisse ucciso, Abu Hassanein aveva aiutato a soccorrere uno dei suoi colleghi, il medico canadese Tarek Loubani, che era stato ferito da un proiettile israeliano.
In seguito Loubani ha raccontato al podcast di The Electronic Intifada di essere stato colpito a una gamba mentre intorno a lui tutto era tranquillo: “Nessun pneumatico in fiamme, niente fumo, niente gas lacrimogeni, nessuno che si aggirasse davanti alla zona cuscinetto. C’era solo una squadra medica chiaramente identificabile, ben lontana da chiunque altro.”
Chirurghi di guerra
Secondo “Al Mezan” questo venerdì, come tutti i venerdì, le forze israeliane hanno sparato proiettili veri, proiettili ricoperti di gomma e candelotti lacrimogeni contro i palestinesi lungo il confine est di Gaza, ferendo circa 100 persone, 30 delle quali con proiettili veri.
“I dimostranti non costituivano pericolo o minaccia alla sicurezza dei soldati, il che conferma che le violazioni commesse da queste forze sono gravi e sistematiche e si configurano come crimini di guerra”, ha affermato l’associazione per i diritti umani.
Secondo “Al Mezan”, dalla fine di marzo le forze israeliane hanno ucciso 129 persone a Gaza, compresi 15 minori, 98 delle quali durante le proteste.
Mentre Israele venerdì continuava ad aumentare il tragico bilancio, il sistema sanitario di Gaza si trovava già senza la possibilità di far fronte all’affluenza di persone ferite dall’uso evidente di proiettili a frammentazione, che provocano ferite terribili che richiedono trattamenti intensivi e complessi e lasciano spesso le vittime con disabilità permanenti.
Più di 13.000 persone sono state ferite da quando sono cominciate le proteste, comprese quelle che hanno inalato gas lacrimogeni. Delle oltre 7.000 persone che hanno subito danni diversi dai gas lacrimogeni, più della metà sono state colpite da proiettili veri.
Giovedì il Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) ha comunicato che avrebbe fornito a Gaza due squadre di chirurghi di guerra e attrezzature mediche, per sostenere un sistema sanitario che ha affermato essere “sull’orlo del collasso”.
L’ICRC ha detto che la priorità per la sua missione di sei mesi sarebbe stata la cura delle vittime di ferite da arma da fuoco, tra cui circa 1.350 pazienti che avrebbero avuto bisogno da tre a cinque operazioni ciascuno.
“Un simile carico di lavoro potrebbe travolgere qualunque sistema sanitario”, ha affermato l’ICRC. “A Gaza la situazione viene peggiorata dalla cronica carenza di medicinali, attrezzature ed elettricità.”
“Baraccopoli infetta”
Le continue proteste a Gaza hanno lo scopo di rivendicare il diritto dei rifugiati palestinesi a ritornare nelle loro case e terre che sono ora in Israele e di chiedere la fine dell’assedio israeliano del territorio, che dura da oltre un decennio.
I due milioni di abitanti di Gaza sono “imprigionati dalla culla alla tomba in una baraccopoli infetta”, ha detto venerdì il responsabile dei diritti umani dell’ONU Zeid Ra’ad al-Hussein in una sessione speciale del Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani.
Zeid ha anche detto al Consiglio che ci sono “ poche tracce” del fatto che Israele stia facendo qualcosa per ridurre il numero delle vittime.
Ha confermato che “le azioni dei dimostranti di per sé stesse non sembrano costituire una minaccia immediata di morte o di ferite mortali tale che possa giustificare l’uso di forza letale.”
Zeid ha parlato al Consiglio quando esso stava prendendo in considerazione una bozza di risoluzione per avviare un’inchiesta internazionale per crimini di guerra a Gaza.
La settimana scorsa il Consiglio per i Diritti Umani ha deciso con 29 voti contro 2 di avviare un’inchiesta indipendente sulle violenze a Gaza.
Solo gli Stati Uniti e l’Australia hanno votato contro l’inchiesta, ma diversi governi dell’Unione Europea, inclusi Regno Unito e Germania, erano tra i 14 astenuti.
‘Medical Aid for Palestinians’, un’organizzazione benefica che ha fornito assistenza di emergenza in mezzo al crescente disastro, e una dozzina di altre organizzazioni, hanno criticato il rifiuto del governo britannico di appoggiare un’inchiesta “per accertare violazioni del diritto internazionale nel contesto delle proteste civili di massa a Gaza.”
Ma i tentativi di rendere Israele responsabile continuano, tra l’opposizione intransigente dei suoi sostenitori.
Venerdì sera il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha votato su una bozza di risoluzione proposta dal Kuwait, che deplora “l’uso eccessivo, sproporzionato e indiscriminato della forza da parte delle forze israeliane” e chiede “misure per garantire la sicurezza e la protezione” dei civili palestinesi.
Ha anche chiesto la fine del blocco di Gaza e deplorato “il lancio di razzi dalla Striscia di Gaza contro zone civili israeliane.”
Dieci Paesi, inclusi i membri permanenti Russia e Francia, hanno votato a favore. Quattro, compresa la Gran Bretagna, contro.
Nonostante avesse i voti sufficienti per essere approvata, la risoluzione è stata resa vana dall’ambasciatrice USA Nikki Haley, che – come aveva promesso di fare – ha posto il veto del suo Paese.
Poi Haley ha proposto la sua bozza di risoluzione, che assolve Israele da ogni responsabilità per la violenza a Gaza e attribuisce tutta la responsabilità della situazione ad Hamas.
L’unico Paese che ha votato a favore sono stati gli Stati Uniti.
(Traduzione di Cristiana Cavagna)


Lungo il confine di Gaza, sparano (anche) ai medici, o no? – Amira Hass

Un’ambulanza al minuto, 1.300 persone colpite in un giorno: l’ospedale Shifa di Gaza affronta un’emergenza che travolgerebbe i migliori ospedali del mondo.
Dati clinici internazionali dicono che qualunque sistema sanitario occidentale collasserebbe se dovesse curare tante ferite da arma da fuoco ogni giorno quante ve ne sono state nella Striscia di Gaza il 14 maggio. Eppure il sistema sanitario di Gaza, che per anni è stato sull’orlo del collasso in seguito all’assedio israeliano ed alle lotte intestine palestinesi, ha sorprendentemente dimostrato di essere all’altezza della sfida. In Israele gli avvenimenti del 14 maggio sono già storia. Nella Striscia, le loro sanguinose conseguenze segneranno la vita di migliaia di famiglie negli anni a venire.
La cosa più scioccante, più dell’alto numero dei morti, è il numero delle persone ferite da armi da fuoco: circa metà delle oltre 2.770 persone che hanno ricevuto cure di emergenza avevano ferite da colpi di arma da fuoco. “Era chiaro che i soldati sparavano soprattutto per ferire e mutilare i dimostranti.” Questa è la conclusione che ho ascoltato dai miei interlocutori, alcuni dei quali con molta esperienza di sanguinosi conflitti internazionali. Lo scopo era di ferire, piuttosto che uccidere, il maggior numero di giovani per renderli per sempre disabili
I preparativi nelle 10 postazioni di smistamento e di traumatologia sono stati impressionanti. Ognuna delle postazioni allestite accanto ai luoghi delle proteste è stata dotata di infermieri e studenti di medicina volontari. Nell’arco di sei minuti in media riuscivano ad esaminare ogni paziente, stabilire il tipo di ferita, stabilizzare il paziente e decidere chi dovesse essere curato in un ospedale. A partire da mezzogiorno circa, è arrivata all’ospedale Shifa di Gaza un’ambulanza ogni minuto. Le sirene non smettevano di suonare. Ogni ambulanza trasportava quattro o cinque feriti.
Dodici sale operatorie hanno lavorato senza sosta. Le prime ad essere curate sono state le persone con ferite ai vasi sanguigni. Centinaia di persone con ferite meno gravi hanno atteso il proprio turno nei corridoi dell’ospedale, tra lamenti e capogiri. Gli unici analgesici disponibili erano destinati per lo più ai gravi mal di testa, non alle ferite da sparo. Anche se l’anno scorso il ministero della Sanità dell’Autorità Nazionale Palestinese in Cisgiordania non avesse ridotto le forniture di medicine alla Striscia di Gaza, in seguito alle direttive dei vertici politici palestinesi, c’è da dubitare che l’ospedale avrebbe avuto gli analgesici e gli anestetici necessari per curare i circa 1.300 pazienti con ferite da arma da fuoco ed eseguire le centinaia di operazioni svoltesi il 14 maggio.
Nessun ospedale al mondo dispone di chirurghi vascolari ed ortopedici sufficienti per operare centinaia di vittime di spari in un solo giorno. Sono stati reclutati chirurghi con altre specializzazioni per operare sotto la guida degli specialisti. Nessun ospedale ha sufficienti equipe mediche per curare così tanti pazienti. Dopo le 13,30, quando i familiari dei feriti hanno iniziato ad affluire nel già sovraffollato ospedale, la situazione ha incominciato ad andare fuori controllo. Una squadra di sicurezza armata del ministero dell’Interno controllato da Hamas è stata chiamata per ristabilire l’ordine ed è rimasta là fino alle 20,30. Nella notte, 70 dimostranti feriti stavano ancora attendendo di essere curati ed altri 40 hanno atteso fino al mattino seguente. Una settimana dopo, è arrivato il momento della chirurgia ortopedica e delle terapie di riabilitazione, ma nella Striscia non vi sono abbastanza fisioterapisti, chirurgi ortopedici e attrezzature mediche.
Secondo un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità diffuso il 22 maggio, dal 30 marzo al 22 maggio durante le dimostrazioni lungo il confine con Israele sono state ferite in totale 13.190 persone, compresi 1.136 minori. Di queste, 3.360 sono state ferite da proiettili veri sparati dai nostri eroici e ben protetti soldati; 332 di loro versano ancora in condizioni critiche (due persone sono morte per le ferite nel fine settimana). Sono state eseguite cinque amputazioni degli arti superiori e 27 degli arti inferiori. Soltanto nella settimana dal 13 al 20 maggio i soldati israeliani hanno ferito 3.414 gazawi, 2.013 dei quali sono stati curati in ospedali e cliniche gestiti da organizzazioni non governative, compresi 271 minori e 127 donne; 1.366 avevano ferite da arma da fuoco.
I nostri valorosi soldati hanno sparato anche alle squadre mediche che si avvicinavano alla barriera per soccorrere le vittime. Gli ordini sono ordini, anche quando ciò significa sparare agli infermieri. Di conseguenza i medici lavorano in gruppi di sei: se uno viene ferito, altri due lo portano via per curarlo e i tre rimanenti continuano il lavoro, pregando di non rimanere anche loro feriti.
Il 14 maggio un infermiere della Difesa Civile Palestinese è stato ucciso, colpito mentre andava a soccorrere un dimostrante ferito. Per circa 20 minuti i suoi colleghi hanno cercato di raggiungerlo senza riuscirci, impediti dalla pesante sparatoria. L’infermiere è morto per collasso polmonare. Nella settimana dal 13 al 20 maggio altri 24 operatori sanitari sono stati feriti – otto da proiettili veri, sei da schegge di proiettili, uno da un candelotto lacrimogeno e nove per inalazione di gas lacrimogeni. Dodici ambulanze sono state danneggiate. Tra il 30 marzo e il 20 maggio in totale sono stati feriti 238 operatori medici e danneggiate 38 ambulanze.
Il 23 maggio, dopo aver visitato un ospedale ed un centro di riabilitazione a Gaza, il Commissario Generale dell’UNRWA Pierre Krahenbuhl ha evidenziato le ripercussioni dei recenti avvenimenti: “Sinceramente credo che gran parte del mondo sottovaluti del tutto la portata del disastro in termini umanitari che si è compiuto nella Striscia di Gaza dall’inizio delle marce il 30 marzo…In sette giorni di proteste sono state ferite altrettante persone, o addirittura un po’ di più, di quante lo furono durante l’intero conflitto del 2014. Ciò è veramente sconvolgente. Durante le mie visite, sono anche stato colpito non solo dal numero di feriti, ma anche dal tipo di ferite… La ricorrenza di piccole ferite in entrata e grandi ferite in uscita indica che i proiettili usati hanno provocato gravi danni agli organi interni, ai tessuti muscolari e alle ossa. Gli staff sia degli ospedali del ministero della Sanità di Gaza, sia delle cliniche delle ONG e dell’UNRWA stanno lottando per occuparsi di ferite e di cure estremamente complesse.”
(Traduzione di Cristiana Cavagna)
da qui



La seconda morte di Razan al Najjar - Catherine Cornet

Razan al Najjar aveva le mani alzate e stava cercando di avvicinarsi a un ferito steso a terra quando è stata colpita da un cecchino israeliano durante le proteste di venerdì 1 giugno nella Striscia di Gaza, al confine con Israele. Insieme a lei sono stati uccisi altri tre palestinesi. Al Najjar aveva 21 anni. Ora il governo israeliano sostiene che fosse uno scudo umano.
Il portavoce del premier israeliano Benjamin Netanyahu per i mezzi d’informazione in arabo ha scritto sul suo account Twitter: ““Ecco #RazanNajjar, che è venuta alla frontiera di Gaza la settimana scorsa ‘per fare l’infermiera’ e sfortunatamente ha perso la vita. Ma da quando le infermiere partecipano alle sommosse e dicono di essere scudi umani per i terroristi? Hamas l’ha usata come scudo umano per permettere ai suoi terroristi di dare l’assalto alla frontiera”.
Il video è tagliato in modo grossolano. Nel resto dell’intervista alla tv satellitare araba Al Mayadeen la giovane infermiera diceva: “Sono uno scudo umano per proteggere i feriti”.
Il tentativo di disumanizzare l’avversario fa parte del gioco di un esercito come quello israeliano. Ma quando un giornale come il New York Times ha ripubblicato il video tagliato scrivendo che la “situazione potrebbe essere più complessa di quello che sembra” in un articolo intitolato “Video israeliano ritrae infermiera uccisa a Gaza come uno strumento di Hamas”, sia le organizzazioni per i diritti umani israeliane sia quelle palestinesi hanno espresso il loro orrore: è stato come uccidere Razan al Najjar per la seconda volta e spogliarla di qualsiasi umanità o competenza.
L’accusa di essere uno scudo umano è vecchia quanto il diritto internazionale umanitario e le convenzioni di Ginevra, che nacquero per provare a dare delle regole alle guerre, condannano l’uccisione di civili. Lo scopo della Croce rossa, creata nel 1863 dallo svizzero Henry Dunant, era proprio quello di proteggere il personale medico sui campi di battaglia. Quando Dunant attraversò il campo di battaglia a Solferino, si chiese come si poteva proteggere il personale medico con un segno distintivo: una croce rossa, a cui nel 1929 si è aggiunta la mezzaluna rossa, per rispondere alle obiezioni avanzate dall’Impero ottomano. Sparare al personale medico che porta i segni distintivi del primo soccorso – nel caso di Razan al Najjar, un giubbetto bianco e i guanti di lattice – è inammissibile.
Il crimine è cosi plateale che, per la prima volta dall’inizio delle proteste della Marcia del ritorno, cominciate alla fine di marzo, e dopo l’uccisione di 129 palestinesi, l’esercito israeliano ha aperto un’indagine.
La principessa del ritorno
Una vignetta di Al Quds mostra Razan al Najjar in paradiso. Ad attenderla c’è un comitato d’accoglienza. “L’occupazione israeliana ha inviato bambini, giornalisti, infermieri e ora un’infermiera in paradiso”, spiega la didascalia.
Dopo il giovane giornalista – che indossava un giubbotto con la scritta “stampa” – e il disabile sulla sedia a rotelle, la giovane infermiera di 21 anni è diventata un simbolo dell’ingiustizia all’interno della perenne ingiustizia inflitta ai palestinesi: Razan al Najjar è ora stata soprannominata “la principessa del ritorno” o ancora “l’angelo della misericordia”.
Di lei ci sono molte interviste e foto, perché la ragazza era sempre in prima linea. Nella stessa intervista con Al Mayadeen spiegava: “La gente chiede a mio padre perché sono qua sul campo, e perché percepisco uno stipendio da infermiera. E lui risponde: ‘Sono fiero di mia figlia, che cura i giovani del nostro paese’. E poiché nella nostra società le donne vengono spesso giudicate, ora gli uomini saranno costretti ad accettarci. E se non vorranno farlo, li obbligheremo. Perché abbiamo più forza degli uomini. La forza che ho dimostrato nel primo soccorso nei primi giorni delle proteste… Sfido chiunque a fare di meglio”.
Quando le hanno sparato aveva le mani con i guanti bianchi alzate in aria e il giubbetto distintivo del personale medico, ed è chiaramente la più coraggiosa del gruppo. Avanza per prima verso un ferito:

“Credeva che il giubbetto l’avrebbe protetta”, spiega il padre in un’intervista con Osama al Khalout di Al Bayyan, che ha seguito il lutto della famiglia, dall’obitorio dell’Ospedale europeo di Gaza fino ai funerali, a cui hanno partecipato migliaia di persone. Razan al Najjar era la primogenita di una famiglia di sei figli e i suoi genitori sono ancora sotto shock, racconta Al Khalout. Al funerale la madre indossava il suo giubbetto: non potevano immaginare di perdere una figlia che portava questo segno che avrebbe dovuto proteggerla.
“Mentre la rappresentante di Washington alle Nazioni Unite, Nikki Hailey, preparava il suo veto contro la risoluzione presentata dal Kuwait che proponeva di provvedere ‘a una protezione internazionale del popolo palestinese’, Najjar cadeva a terra con una pallottola in petto”, conclude il quotidiano panarabo Al Hayat.
Da aprile le forze israeliane hanno ucciso 129 palestinesi. Non ci sono state vittime israeliane. Secondo il Comitato internazionale della Croce rossa più di 3.600 persone sono state ferite da proiettili reali.



L’uccisione di Razan al-Najjar - Amira Hass


Conosciamo il suo name: Razan al-Najjar. Ma quale è il suo? Qual è il nome del soldato che l’ha uccisa venerdì scorso col fuco diretto al torace? Non lo conosciamo e probabilmente non lo conosceremo mai.
Al contrario dei Palestinesi sospettati di uccidere gli Israeliani,  l’Israeliano che ha colpito a morte Najjar, è protetto dalle rivelazioni alle telecamere e dall dettagliata analisi della sua storia famigliare, compresa la partecipazione di suoi parenti ad attacchi regolari ai Palestinesi, come parte del loro servizio militare o della loro affiliazione politica.
Microfoni israeliani esigenti non saranno spinti sulla sua faccia con domande inquisitorie: Non hai visto che aveva un camice bianco da paramedico quando hai mirato al petto?
Non hai visto i suoi capelli coperti da un foulard? Le tue regole di ingaggio richiedono che tu spari ai paramedici, uomini e anche donne, a una distanza di circa 100 metri dalla barriera di confine? Le hai sparato alle gambe (perché?) e l’hai mancata perché sei incapace? Ti dispiace? Hai dormito bene la notte? Hai detto alla tua ragazza che sei stato tu che hai sparato a una giovane donna della sua stessa età? Najjar è stata la prima che hai ucciso?
L’anonimato dei nostri soldati che eliminano  i Palestinesi è una parte inseparabile della cultura della impunità israeliana. Siamo al di sopra di tutto. Immuni da ogni cosa. Permettere a un soldato anonimo di uccidere una giovane paramedica con una pallottola che l’ha colpita al torace, e che è uscita dalla schiena, e andare avanti con la nostra vita.
Ci sono tante foto di Najjar  su Internet: spiccava come una delle poche donne delle squadre di primo soccorso che lavoravano nei siti delle proteste per la “Marcia del Ritorno” fin dal 30 marzo.
Dopo due anni di tirocinio, ha scelto di lavorare come volontaria per la Società Medica Palestinese di Soccorso. Ha dato con gioia interviste al corrispondente del New York Times a Gaza, parlando della capacità delle donne di agire in condizioni difficili non meno degli uomini, e anche meglio di loro. Sapeva quanto fosse pericoloso il suo lavoro. Un paramedico era stato ucciso il 14 maggio dalla Forze di difesa israeliane, molti altri sono stati feriti e soffocati mentre correvano a soccorrere i feriti.
Najjar che aveva 21 anni quando è morta, era del villaggio di Khuza’a, a est di Khan Yunis. Nelle interviste non le hanno fatto domande sulle guerre e sugli attacchi militari israeliani durante la sua infanzia e in seguito. E’ difficile trovare    di queste sulla sua faccia gradevole vista sullo schermo. In ogni intervista, si vede che ha la testa avvolta in un foulard di colore diverso, e ogni volta è avvolto in maniera elegante, meticolosa, che dimostra un investimento di temo e di riflessione. Il colore rivela l’amore per la vita, malgrado tutto quello che aveva patito.
Non conosciamo il nome del soldato, ma sappiamo che c’è nella catena di comando che gli ordinato e che lo ha messo in grado di uccidere una paramedica di 21 anni: il capo del Commando Meridionale, Maggiore Generale Eyal Zamir. Il Capo di Stato Maggiore delle Forze di difesa Israeliane, Generale Gadi Eisenkot. L’Avvocato militare generale, Generale Sharon Afek e il Procuratore Generale Avichai Mendelblit, hanno entrambi  approvato la formulazione delle regole di ingaggio, come è stato detto ai giudici dell’Alta Corte prima che negassero delle petizioni contro le sparatorie contro i dimostranti lungo la barriera di confine.
Malgrado tutte le testimonianze circa le vittime civili e le ferite orripilanti, i giudici hanno scelto di credere a quello che è stato detto loro, a nome dei militari, da Avi Milikovsky, un legale dell’Ufficio del pubblico ministero: l’uso di forza potenzialmente letale si sceglie soltanto come ultima risorsa, in maniera proporzionata e nella minima misura richiesta.
Per favore, spiegateci in che modo questo è coerente con la morte di Najjar che stava curando un uomo ferito direttamente da una bomboletta di gas lacrimogeno. Un testimone oculare ha detto al New York Times che mentre il ferito veniva portato verso un’ambulanza, le colleghe di Najjar curavano lei che soffriva per gli effetti del gas lacrimogeno. Poi si sono sentiti degli spari e Najjar è caduta.
I giudici dell’Alta Corte Esther Hayut, Hanan Melcer e Neal Hendel hanno offerto su un piatto d’argento all’esercito  l’esenzione da un’indagine  l’esenzione dalle critiche.
Così facendo, si sono uniti alla catena di comando che ha ordinato al nostro soldato anonimo di sparare al petto di una paramedica e di ucciderla.



Dopo aver ucciso Razan al-Najjar, Israele assassina il suo personaggio - Gideon Levy


Quando non c’è più onestà, ciò che rimane non è altro che propaganda 

Poche parole – “Razan al-Najjar non è un angelo della misericordia” – riassumono la profondità della propaganda israeliana. Avichay Edraee, il portavoce in lingua araba dell’esercito israeliano, che parla anche in mio nome, è il rappresentante di un esercito della misericordia che ora si è autonominato giudice del livello di misericordia di una dottoressa che curava un ferito palestinese sul confine di Gaza con Israele e che i soldati dell’esercito israeliano hanno ucciso senza misericordia. Dopo averla uccisa, era anche necessario assassinare il suo personaggio.
La propaganda è uno strumento a disposizione di molti Paesi. Meno le loro politiche sono giuste, più incrementano i propri sforzi propagandistici. La Svezia non ha bisogno di propaganda. La Corea del Nord sì. In Israele viene chiamata ‘hasbara’ – diplomazia pubblica – in quanto: perché avrebbe bisogno di propaganda? Recentemente la sua propaganda è scesa a una bassezza talmente deprecabile che niente può dimostrare meglio di così che le sue giustificazioni sono esaurite, le sue scuse finite, che la verità è la nemica e che ciò che rimane sono menzogne e calunnie.
Si rivolge soprattutto al consumo interno. Nel resto del mondo pochi abitanti di Gaza ci crederebbero in ogni caso. Ma come parte del disperato tentativo di continuare con la repressione e la negazione psicologiche, nell’incapacità di dirci la verità e nell’elusione di ogni responsabilità – tutto è accettabile quando si tratta di questi sforzi.
Una dottoressa con un camice da infermiera è stata uccisa con un colpo di fucile da cecchini dell’esercito israeliano – come hanno fatto con giornalisti con i giubbotti con la scritta “stampa” e con un invalido senza gambe su una sedia a rotelle. Se ci fidiamo dei cecchini dell’esercito israeliano per sapere cosa stanno facendo, contando su di loro per essere i più corretti al mondo, allora queste persone sono state uccise deliberatamente. Sicuramente se l’esercito credesse alla giustezza della campagna militare che sta combattendo a Gaza, si sarebbe preso la responsabilità di queste uccisioni, manifestando rincrescimento e offrendo un risarcimento.
Ma quando la terra scotta sotto i nostri piedi, quando sappiamo la verità e capiamo che sparare contro manifestanti e ucciderne più di 120 e rendere centinaia di altri disabili assomiglia di più a un massacro, non si può chiedere scusa e esprimere rincrescimento. E allora l’aggressiva, goffa, imbarazzante e vergognosa macchina della propaganda del portavoce dell’esercito entra in azione – una fragorosa voce dal ministero della Difesa che aggrava semplicemente quello che è stato fatto. Martedì il maggiore Edraee ha reso pubblico un video in cui si vede da dietro un’infermiera, forse Najjar, mentre lancia lontano un lacrimogeno che i soldati avevano sparato verso di lei. Lo stesso Edraee avrebbe fatto altrettanto, ma quando si tratta di una propaganda disperata, è una prova inconfutabile: Najjar è una terrorista. Ha anche detto di essere uno scudo umano. Sicuramente un medico è un difensore di esseri umani.
Un’inchiesta militare israeliana, basata ovviamente solo su testimonianze dei soldati, dimostra che non è stata colpita volontariamente. Chiaro. La macchina della propaganda è andata oltre ed ha suggerito che potrebbe essere stata uccisa da armi da fuoco palestinesi, che sono state usate molto di rado durante gli ultimi due mesi.
Forse si è sparata da sola? Tutto è possibile. E ci ricordiamo forse di una qualunque inchiesta dell’esercito israeliano che abbia dimostrato il contrario? L’ambasciatore israeliano a Londra, Mark Regev, che è un altro grande, raffinato propagandista, è stato veloce nel twittare in merito alla “dottoressa volontaria” tra virgolette, come se una palestinese non potesse essere una dottoressa volontaria. Invece, ha scritto, la sua morte è “un ulteriore dimostrazione della brutalità di Hamas.”
L’esercito israeliano uccide un medico in camice bianco, durante una vergognosa violazione delle leggi internazionali, che garantiscono protezione al personale medico in zone di conflitto. E ciò nonostante il fatto che il confine di Gaza non costituisca una zona di guerra. Ma è Hamas che è brutale.
Uccidimi, signor ambasciatore, ma chi potrebbe mai seguire questa logica contorta, malata? E chi può credere a questa propaganda a buon mercato se non qualche membro del Consiglio dei Deputati degli Ebrei Britannici – la più grande organizzazione rappresentativa dell’ebraismo britannico – insieme a Merav Ben Ari [del partito di centro Kulanu, all’opposizione, ndt.], la deputata della Knesset [il parlamento israeliano, ndt.] che ha subito approfittato dell’occasione e ha dichiarato: “Risulta che la dottoressa, proprio quella, non era solo un medico, come vedete.” Sì, quella. Come vedete.
Israele avrebbe dovuto essere scioccato dall’uccisione della dottoressa. Il volto innocente di Najjar avrebbe dovuto toccare ogni cuore israeliano. Organizzazioni di medici avrebbero dovuto esprimersi. Gli israeliani avrebbero dovuto nascondere la faccia per la vergogna. Ma sarebbe potuto succedere solo se Israele avesse creduto alla giustezza della propria causa. Quando non c’è più onestà, ciò che rimane non è altro che propaganda. E da questo punto di vista, forse questa caduta ancora più in basso annuncia novità positive.
(traduzione di Amedeo Rossi)





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