Una fotografia scattata il 1^ aprile mostra la paramedica
palestinese Razan al-Njjar mentre sta curando dei feriti in una tenda del
pronto soccorso durante le proteste a Gaza vicino al confine con Israele. Il 1^
giugno Al-Najjar è stata colpita a morte da un cecchino israeliano mentre
prestava soccorso a dimostranti feriti vicino a Khan Younis.
Nel corso dei loro continui attacchi indiscriminati contro i palestinesi
che partecipavano alle proteste della ‘Grande Marcia del Ritorno’ a Gaza,
svoltesi per 10 venerdì consecutivi, le forze di occupazione israeliane hanno
colpito a morte un medico volontario e ferito decine di persone.
Venerdì sera, quando è stata colpita a morte, Razan Ashraf Abdul
Qadir al-Najjar, di 21 anni, stava aiutando a curare ed evacuare dimostranti
feriti ad est di Khan Younis.
L’associazione per i diritti umani “Al Mezan” ha affermato,
citando testimoni oculari e proprie indagini, che, nel momento in cui è stata
colpita, lei si trovava a circa 100 metri di distanza dalla barriera di confine
con Israele ed indossava un giubbotto che la identificava chiaramente come
paramedico. “Al Mezan” ha affermato che Al-Najjar è stata colpita alla schiena.
Al-Najjar era diventata famosa per il suo coraggio e
perseveranza nel condurre la sua opera di soccorso nonostante l’evidente
pericolo.
In precedenza era stata colpita dagli effetti dell’inalazione di
gas lacrimogeni e il 13 aprile si è rotta un polso mentre correva per
soccorrere un ferito. Ma Al-Najjar quel giorno si è rifiutata di andare in
ospedale ed ha continuato a lavorare sul campo.
“È mio dovere e mia responsabilità essere là ed aiutare i feriti”,
ha detto ad Al Jazeera.
Ha anche reso testimonianza sugli ultimi momenti di vita di
coloro che erano stati feriti a morte prima di lei.
“Mi spezza il cuore il fatto che alcuni dei giovani feriti o
uccisi abbiano espresso le loro ultime volontà di fronte a me”, ha detto ad Al
Jazeera. “Alcuni mi hanno addirittura consegnato i loro effetti personali (come
dono) prima di morire.”
Al-Najjar ha parlato del suo lavoro in una recente intervista televisiva
che è stata ampiamente diffusa sui social media dopo la notizia della sua
morte.
Molti utenti di Twitter, soprattutto di Gaza, hanno reso omaggio
a al-Najjar.
I media palestinesi hanno diffuso immagini dei suoi familiari e
colleghi che piangevano la sua morte.
Il dottor Ashraf al-Qedra, portavoce del ministero della sanità di
Gaza, ha reso omaggio ad al-Najjar definendola una volontaria umanitaria
impegnata, che non ha abbandonato il suo posto fino al punto di “offrirsi come
martire”.
Mani alzate
-La foto qui sotto riprende Razan pochi istanti prima di essere
uccisa-
Il camice bianco che al-Najjar indossava, mostrato da sua madre, presenta un foro nella parte posteriore.
In una dichiarazione rilasciata sabato, il ministero della Sanità
di Gaza ha affermato che al-Najjar faceva parte di un’equipe medica che “andava
ad evacuare i feriti con entrambe le mani alzate, a dimostrazione del fatto di
non costituire alcun pericolo per le forze di occupazione pesantemente armate.”
“Le forze di occupazione israeliane hanno sparato proiettili veri
direttamente al petto di Razan ed hanno ferito parecchi altri paramedici”, ha
aggiunto il ministero della Sanità.
Dalla dichiarazione del ministero della Sanità non risulta chiaro
quante volte al-Najjar sia stata colpita o in quale esatto punto della parte
superiore del corpo. Il ministero ha anche pubblicato un video che mostra
al-Najjar e i suoi colleghi che camminavano verso la barriera di confine con le
mani alzate poco prima che al-Najjar venisse colpita.
Sabato il rappresentante speciale ONU per il processo di pace in
Medio Oriente, Nickolay Mladenov, ha twittato che “gli operatori sanitari non
sono un bersaglio. I miei pensieri e le mie preghiere vanno alla famiglia di
Razan al-Najjar.”
Tuttavia Mladenov ha omesso di condannare le azioni di Israele,
invitandolo invece a “calibrare il suo uso della forza.”
Sabato in migliaia hanno seguito il funerale di al-Najjar,
mentre i colleghi portavano il suo corpo coperto dalla bandiera palestinese e
dal camice macchiato di sangue che indossava quando è stata uccisa.
Attacchi ai medici
Al-Najjar è il secondo soccorritore ucciso dalle forze israeliane
dall’inizio delle proteste della ‘Grande Marcia per il Ritorno’, il 30 marzo.
Secondo il ministero della Sanità di Gaza, più di altri 200 sono stati feriti e
37 ambulanze sono state danneggiate.
Due settimane fa i cecchini israeliani hanno ucciso il
paramedico Mousa Jaber Abu Hassanein.
Circa un’ora prima che venisse ucciso, Abu Hassanein aveva
aiutato a soccorrere uno dei suoi colleghi, il medico canadese Tarek Loubani,
che era stato ferito da un proiettile israeliano.
In seguito Loubani ha raccontato al podcast di The Electronic
Intifada di essere stato colpito a una gamba mentre intorno a lui tutto
era tranquillo: “Nessun pneumatico in fiamme, niente fumo, niente gas
lacrimogeni, nessuno che si aggirasse davanti alla zona cuscinetto. C’era solo
una squadra medica chiaramente identificabile, ben lontana da chiunque altro.”
Chirurghi di guerra
Secondo “Al Mezan” questo venerdì, come tutti i venerdì, le forze
israeliane hanno sparato proiettili veri, proiettili ricoperti di gomma e
candelotti lacrimogeni contro i palestinesi lungo il confine est di Gaza,
ferendo circa 100 persone, 30 delle quali con proiettili veri.
“I dimostranti non costituivano pericolo o minaccia alla sicurezza
dei soldati, il che conferma che le violazioni commesse da queste forze sono
gravi e sistematiche e si configurano come crimini di guerra”, ha affermato
l’associazione per i diritti umani.
Secondo “Al Mezan”, dalla fine di marzo le forze israeliane hanno
ucciso 129 persone a Gaza, compresi 15 minori, 98 delle quali durante le
proteste.
Mentre Israele venerdì continuava ad aumentare il tragico
bilancio, il sistema sanitario di Gaza si trovava già senza la possibilità di
far fronte all’affluenza di persone ferite dall’uso evidente di proiettili a
frammentazione, che provocano ferite terribili che richiedono trattamenti
intensivi e complessi e lasciano spesso le vittime con disabilità permanenti.
Più di 13.000 persone sono state ferite da quando sono
cominciate le proteste, comprese quelle che hanno inalato gas lacrimogeni.
Delle oltre 7.000 persone che hanno subito danni diversi dai gas lacrimogeni,
più della metà sono state colpite da proiettili veri.
Giovedì il Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) ha
comunicato che avrebbe fornito a Gaza due squadre di chirurghi di guerra e
attrezzature mediche, per sostenere un sistema sanitario che ha affermato
essere “sull’orlo del collasso”.
L’ICRC ha detto che la priorità per la sua missione di sei mesi
sarebbe stata la cura delle vittime di ferite da arma da fuoco, tra cui circa
1.350 pazienti che avrebbero avuto bisogno da tre a cinque operazioni ciascuno.
“Un simile carico di lavoro potrebbe travolgere qualunque sistema
sanitario”, ha affermato l’ICRC. “A Gaza la situazione viene peggiorata dalla
cronica carenza di medicinali, attrezzature ed elettricità.”
“Baraccopoli infetta”
Le continue proteste a Gaza hanno lo scopo di rivendicare il
diritto dei rifugiati palestinesi a ritornare nelle loro case e terre che sono
ora in Israele e di chiedere la fine dell’assedio israeliano del territorio,
che dura da oltre un decennio.
I due milioni di abitanti di Gaza sono “imprigionati dalla culla
alla tomba in una baraccopoli infetta”, ha detto venerdì il responsabile dei
diritti umani dell’ONU Zeid Ra’ad al-Hussein in una sessione speciale del
Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani.
Zeid ha anche detto al Consiglio che ci sono “ poche tracce” del
fatto che Israele stia facendo qualcosa per ridurre il numero delle vittime.
Ha confermato che “le azioni dei dimostranti di per sé stesse non
sembrano costituire una minaccia immediata di morte o di ferite mortali tale
che possa giustificare l’uso di forza letale.”
Zeid ha parlato al Consiglio quando esso stava prendendo in
considerazione una bozza di risoluzione per avviare un’inchiesta internazionale
per crimini di guerra a Gaza.
La settimana scorsa il Consiglio per i Diritti Umani ha deciso con
29 voti contro 2 di avviare un’inchiesta indipendente sulle violenze a Gaza.
Solo gli Stati Uniti e l’Australia hanno votato contro
l’inchiesta, ma diversi governi dell’Unione Europea, inclusi Regno Unito e
Germania, erano tra i 14 astenuti.
‘Medical Aid for Palestinians’, un’organizzazione benefica che ha
fornito assistenza di emergenza in mezzo al crescente disastro, e una dozzina
di altre organizzazioni, hanno criticato il rifiuto del governo britannico di
appoggiare un’inchiesta “per accertare violazioni del diritto internazionale
nel contesto delle proteste civili di massa a Gaza.”
Ma i tentativi di rendere Israele responsabile continuano, tra
l’opposizione intransigente dei suoi sostenitori.
Venerdì sera il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha
votato su una bozza di risoluzione proposta dal Kuwait, che deplora “l’uso
eccessivo, sproporzionato e indiscriminato della forza da parte delle forze
israeliane” e chiede “misure per garantire la sicurezza e la protezione” dei
civili palestinesi.
Ha anche chiesto la fine del blocco di Gaza e deplorato “il
lancio di razzi dalla Striscia di Gaza contro zone civili israeliane.”
Dieci Paesi, inclusi i membri permanenti Russia e Francia, hanno
votato a favore. Quattro, compresa la Gran Bretagna, contro.
Nonostante avesse i voti sufficienti per essere approvata, la
risoluzione è stata resa vana dall’ambasciatrice USA Nikki Haley, che – come
aveva promesso di fare – ha posto il veto del suo Paese.
Poi Haley ha proposto la sua bozza di risoluzione, che assolve
Israele da ogni responsabilità per la violenza a Gaza e attribuisce tutta la
responsabilità della situazione ad Hamas.
L’unico Paese che ha votato a favore sono stati gli Stati Uniti.
(Traduzione di Cristiana Cavagna)
Lungo
il confine di Gaza, sparano (anche) ai medici, o no? – Amira Hass
Un’ambulanza
al minuto, 1.300 persone colpite in un giorno: l’ospedale Shifa di Gaza
affronta un’emergenza che travolgerebbe i migliori ospedali del mondo.
Dati
clinici internazionali dicono che qualunque sistema sanitario occidentale
collasserebbe se dovesse curare tante ferite da arma da fuoco ogni giorno
quante ve ne sono state nella Striscia di Gaza il 14 maggio. Eppure il sistema
sanitario di Gaza, che per anni è stato sull’orlo del collasso in seguito
all’assedio israeliano ed alle lotte intestine palestinesi, ha
sorprendentemente dimostrato di essere all’altezza della sfida. In Israele gli
avvenimenti del 14 maggio sono già storia. Nella Striscia, le loro sanguinose
conseguenze segneranno la vita di migliaia di famiglie negli anni a venire.
La
cosa più scioccante, più dell’alto numero dei morti, è il numero delle persone
ferite da armi da fuoco: circa metà delle oltre 2.770 persone che hanno
ricevuto cure di emergenza avevano ferite da colpi di arma da fuoco. “Era
chiaro che i soldati sparavano soprattutto per ferire e mutilare i
dimostranti.” Questa è la conclusione che ho ascoltato dai miei interlocutori,
alcuni dei quali con molta esperienza di sanguinosi conflitti internazionali.
Lo scopo era di ferire, piuttosto che uccidere, il maggior numero di giovani
per renderli per sempre disabili
I
preparativi nelle 10 postazioni di smistamento e di traumatologia sono stati
impressionanti. Ognuna delle postazioni allestite accanto ai luoghi delle
proteste è stata dotata di infermieri e studenti di medicina volontari.
Nell’arco di sei minuti in media riuscivano ad esaminare ogni paziente,
stabilire il tipo di ferita, stabilizzare il paziente e decidere chi dovesse
essere curato in un ospedale. A partire da mezzogiorno circa, è arrivata
all’ospedale Shifa di Gaza un’ambulanza ogni minuto. Le sirene non smettevano
di suonare. Ogni ambulanza trasportava quattro o cinque feriti.
Dodici
sale operatorie hanno lavorato senza sosta. Le prime ad essere curate sono
state le persone con ferite ai vasi sanguigni. Centinaia di persone con ferite
meno gravi hanno atteso il proprio turno nei corridoi dell’ospedale, tra
lamenti e capogiri. Gli unici analgesici disponibili erano destinati per lo più
ai gravi mal di testa, non alle ferite da sparo. Anche se l’anno scorso il ministero
della Sanità dell’Autorità Nazionale Palestinese in Cisgiordania non avesse
ridotto le forniture di medicine alla Striscia di Gaza, in seguito alle
direttive dei vertici politici palestinesi, c’è da dubitare che l’ospedale
avrebbe avuto gli analgesici e gli anestetici necessari per curare i circa
1.300 pazienti con ferite da arma da fuoco ed eseguire le centinaia di
operazioni svoltesi il 14 maggio.
Nessun
ospedale al mondo dispone di chirurghi vascolari ed ortopedici sufficienti per
operare centinaia di vittime di spari in un solo giorno. Sono stati reclutati
chirurghi con altre specializzazioni per operare sotto la guida degli
specialisti. Nessun ospedale ha sufficienti equipe mediche per curare così
tanti pazienti. Dopo le 13,30, quando i familiari dei feriti hanno iniziato ad
affluire nel già sovraffollato ospedale, la situazione ha incominciato ad
andare fuori controllo. Una squadra di sicurezza armata del ministero
dell’Interno controllato da Hamas è stata chiamata per ristabilire l’ordine ed
è rimasta là fino alle 20,30. Nella notte, 70 dimostranti feriti stavano ancora
attendendo di essere curati ed altri 40 hanno atteso fino al mattino seguente.
Una settimana dopo, è arrivato il momento della chirurgia ortopedica e delle
terapie di riabilitazione, ma nella Striscia non vi sono abbastanza
fisioterapisti, chirurgi ortopedici e attrezzature mediche.
Secondo
un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità diffuso il 22 maggio, dal
30 marzo al 22 maggio durante le dimostrazioni lungo il confine con Israele
sono state ferite in totale 13.190 persone, compresi 1.136 minori. Di queste,
3.360 sono state ferite da proiettili veri sparati dai nostri eroici e ben
protetti soldati; 332 di loro versano ancora in condizioni critiche (due
persone sono morte per le ferite nel fine settimana). Sono state eseguite
cinque amputazioni degli arti superiori e 27 degli arti inferiori. Soltanto
nella settimana dal 13 al 20 maggio i soldati israeliani hanno ferito 3.414
gazawi, 2.013 dei quali sono stati curati in ospedali e cliniche gestiti da
organizzazioni non governative, compresi 271 minori e 127 donne; 1.366 avevano
ferite da arma da fuoco.
I
nostri valorosi soldati hanno sparato anche alle squadre mediche che si
avvicinavano alla barriera per soccorrere le vittime. Gli ordini sono ordini,
anche quando ciò significa sparare agli infermieri. Di conseguenza i medici
lavorano in gruppi di sei: se uno viene ferito, altri due lo portano via per
curarlo e i tre rimanenti continuano il lavoro, pregando di non rimanere anche
loro feriti.
Il
14 maggio un infermiere della Difesa Civile Palestinese è stato ucciso, colpito
mentre andava a soccorrere un dimostrante ferito. Per circa 20 minuti i suoi
colleghi hanno cercato di raggiungerlo senza riuscirci, impediti dalla pesante
sparatoria. L’infermiere è morto per collasso polmonare. Nella settimana dal 13
al 20 maggio altri 24 operatori sanitari sono stati feriti – otto da proiettili
veri, sei da schegge di proiettili, uno da un candelotto lacrimogeno e nove per
inalazione di gas lacrimogeni. Dodici ambulanze sono state danneggiate. Tra il
30 marzo e il 20 maggio in totale sono stati feriti 238 operatori medici e
danneggiate 38 ambulanze.
Il
23 maggio, dopo aver visitato un ospedale ed un centro di riabilitazione a
Gaza, il Commissario Generale dell’UNRWA Pierre Krahenbuhl ha evidenziato le
ripercussioni dei recenti avvenimenti: “Sinceramente credo che gran parte del
mondo sottovaluti del tutto la portata del disastro in termini umanitari che si
è compiuto nella Striscia di Gaza dall’inizio delle marce il 30 marzo…In sette
giorni di proteste sono state ferite altrettante persone, o addirittura un po’
di più, di quante lo furono durante l’intero conflitto del 2014. Ciò è
veramente sconvolgente. Durante le mie visite, sono anche stato colpito non solo
dal numero di feriti, ma anche dal tipo di ferite… La ricorrenza di piccole
ferite in entrata e grandi ferite in uscita indica che i proiettili usati hanno
provocato gravi danni agli organi interni, ai tessuti muscolari e alle ossa.
Gli staff sia degli ospedali del ministero della Sanità di Gaza, sia delle
cliniche delle ONG e dell’UNRWA stanno lottando per occuparsi di ferite e di
cure estremamente complesse.”
(Traduzione
di Cristiana Cavagna)
da qui
La seconda morte
di Razan al Najjar - Catherine Cornet
Razan al Najjar aveva le mani alzate e stava cercando di avvicinarsi a un
ferito steso a terra quando è stata colpita da un cecchino israeliano durante
le proteste di venerdì 1 giugno nella Striscia di Gaza, al confine con Israele.
Insieme a lei sono stati uccisi altri tre palestinesi. Al Najjar aveva 21 anni.
Ora il governo israeliano sostiene che fosse uno scudo umano.
Il portavoce del premier israeliano Benjamin Netanyahu per i mezzi
d’informazione in arabo ha scritto sul suo account Twitter: ““Ecco
#RazanNajjar, che è venuta alla frontiera di Gaza la settimana scorsa ‘per fare
l’infermiera’ e sfortunatamente ha perso la vita. Ma da quando le infermiere
partecipano alle sommosse e dicono di essere scudi umani per i terroristi? Hamas
l’ha usata come scudo umano per permettere ai suoi terroristi di dare l’assalto
alla frontiera”.
Il video è tagliato in modo grossolano. Nel resto dell’intervista alla tv satellitare araba Al Mayadeen la
giovane infermiera diceva: “Sono uno scudo umano per proteggere i feriti”.
Il tentativo di disumanizzare l’avversario fa parte del gioco di un
esercito come quello israeliano. Ma quando un giornale come il New York Times
ha ripubblicato il video tagliato scrivendo che la “situazione potrebbe essere
più complessa di quello che sembra” in un articolo intitolato
“Video israeliano ritrae infermiera uccisa a Gaza come uno strumento di Hamas”,
sia le organizzazioni per i diritti umani israeliane sia quelle palestinesi
hanno espresso il loro orrore: è stato come uccidere Razan al Najjar per la
seconda volta e spogliarla di qualsiasi umanità o competenza.
L’accusa di essere
uno scudo umano è vecchia quanto il diritto internazionale
umanitario e le convenzioni di Ginevra, che nacquero per provare a dare delle
regole alle guerre, condannano l’uccisione di civili. Lo scopo della Croce
rossa, creata nel 1863 dallo svizzero Henry Dunant, era proprio quello di
proteggere il personale medico sui campi di battaglia. Quando Dunant attraversò
il campo di
battaglia a Solferino, si chiese come si poteva proteggere il
personale medico con un segno distintivo: una croce rossa, a cui nel 1929 si è
aggiunta la mezzaluna rossa, per rispondere alle obiezioni avanzate dall’Impero
ottomano. Sparare al personale medico che porta i segni distintivi del primo
soccorso – nel caso di Razan al Najjar, un giubbetto bianco e i guanti di
lattice – è inammissibile.
Il crimine è cosi plateale che, per la prima volta dall’inizio delle
proteste della Marcia del
ritorno, cominciate alla fine di marzo, e dopo l’uccisione di 129
palestinesi, l’esercito israeliano ha aperto un’indagine.
La principessa del ritorno
Una vignetta di Al Quds mostra Razan al Najjar in paradiso. Ad attenderla c’è un comitato d’accoglienza. “L’occupazione israeliana ha inviato bambini, giornalisti, infermieri e ora un’infermiera in paradiso”, spiega la didascalia.
Una vignetta di Al Quds mostra Razan al Najjar in paradiso. Ad attenderla c’è un comitato d’accoglienza. “L’occupazione israeliana ha inviato bambini, giornalisti, infermieri e ora un’infermiera in paradiso”, spiega la didascalia.
Dopo il giovane
giornalista – che indossava un giubbotto con la scritta
“stampa” – e il disabile
sulla sedia a rotelle, la giovane infermiera di 21 anni è diventata
un simbolo dell’ingiustizia all’interno della perenne ingiustizia inflitta ai
palestinesi: Razan al Najjar è ora stata soprannominata “la principessa del
ritorno” o ancora “l’angelo della misericordia”.
Di lei ci sono molte interviste e foto, perché la ragazza era sempre in
prima linea. Nella stessa intervista con Al Mayadeen spiegava: “La gente chiede
a mio padre perché sono qua sul campo, e perché percepisco uno stipendio da
infermiera. E lui risponde: ‘Sono fiero di mia figlia, che cura i giovani del
nostro paese’. E poiché nella nostra società le donne vengono spesso giudicate,
ora gli uomini saranno costretti ad accettarci. E se non vorranno farlo, li
obbligheremo. Perché abbiamo più forza degli uomini. La forza che ho dimostrato
nel primo soccorso nei primi giorni delle proteste… Sfido chiunque a fare di
meglio”.
Quando le hanno sparato aveva le mani con i guanti bianchi alzate in aria e
il giubbetto distintivo del personale medico, ed è chiaramente la più
coraggiosa del gruppo. Avanza per prima verso un ferito:
“Credeva che il giubbetto l’avrebbe protetta”, spiega il padre in un’intervista
con Osama al Khalout di Al Bayyan, che ha seguito il lutto della
famiglia, dall’obitorio dell’Ospedale europeo di Gaza fino ai funerali, a cui
hanno partecipato migliaia di persone. Razan al Najjar era la primogenita di
una famiglia di sei figli e i suoi genitori sono ancora sotto shock, racconta
Al Khalout. Al funerale la madre indossava il suo giubbetto: non potevano
immaginare di perdere una figlia che portava questo segno che avrebbe dovuto
proteggerla.
“Mentre la rappresentante di Washington alle Nazioni Unite, Nikki Hailey,
preparava il suo veto contro la risoluzione presentata dal Kuwait che proponeva
di provvedere ‘a una protezione internazionale del popolo palestinese’, Najjar
cadeva a terra con una pallottola in petto”, conclude il quotidiano panarabo Al
Hayat.
Da aprile le forze israeliane hanno ucciso 129 palestinesi. Non ci sono
state vittime israeliane. Secondo il Comitato internazionale della Croce rossa
più di 3.600 persone sono state ferite da proiettili reali.
L’uccisione
di Razan al-Najjar - Amira
Hass
Conosciamo il suo name: Razan al-Najjar. Ma quale è il
suo? Qual è il nome del soldato che l’ha uccisa venerdì scorso col fuco diretto
al torace? Non lo conosciamo e probabilmente non lo conosceremo mai.
Al contrario dei Palestinesi sospettati di uccidere gli
Israeliani, l’Israeliano che ha colpito a morte Najjar, è protetto dalle
rivelazioni alle telecamere e dall dettagliata analisi della sua storia
famigliare, compresa la partecipazione di suoi parenti ad attacchi regolari ai
Palestinesi, come parte del loro servizio militare o della loro affiliazione
politica.
Microfoni israeliani esigenti non saranno spinti sulla
sua faccia con domande inquisitorie: Non hai visto che aveva un camice bianco
da paramedico quando hai mirato al petto?
Non hai visto i suoi capelli coperti da un foulard? Le
tue regole di ingaggio richiedono che tu spari ai paramedici, uomini e anche
donne, a una distanza di circa 100 metri dalla barriera di confine? Le hai
sparato alle gambe (perché?) e l’hai mancata perché sei incapace? Ti dispiace?
Hai dormito bene la notte? Hai detto alla tua ragazza che sei stato tu che hai
sparato a una giovane donna della sua stessa età? Najjar è stata la prima che
hai ucciso?
L’anonimato dei nostri soldati che eliminano i
Palestinesi è una parte inseparabile della cultura della impunità israeliana.
Siamo al di sopra di tutto. Immuni da ogni cosa. Permettere a un soldato
anonimo di uccidere una giovane paramedica con una pallottola che l’ha colpita
al torace, e che è uscita dalla schiena, e andare avanti con la nostra vita.
Ci sono tante foto di Najjar su Internet:
spiccava come una delle poche donne delle squadre di primo soccorso che
lavoravano nei siti delle proteste per la “Marcia del Ritorno” fin dal 30
marzo.
Dopo due anni di tirocinio, ha scelto di lavorare come
volontaria per la Società Medica Palestinese di Soccorso. Ha dato con gioia
interviste al corrispondente del New York Times a Gaza, parlando della capacità
delle donne di agire in condizioni difficili non meno degli uomini, e anche
meglio di loro. Sapeva quanto fosse pericoloso il suo lavoro. Un paramedico era
stato ucciso il 14 maggio dalla Forze di difesa israeliane, molti altri sono
stati feriti e soffocati mentre correvano a soccorrere i feriti.
Najjar che aveva 21 anni quando è morta, era del
villaggio di Khuza’a, a est di Khan Yunis. Nelle interviste non le hanno fatto
domande sulle guerre e sugli attacchi militari israeliani durante la sua
infanzia e in seguito. E’ difficile trovare di queste sulla
sua faccia gradevole vista sullo schermo. In ogni intervista, si vede che ha la
testa avvolta in un foulard di colore diverso, e ogni volta è avvolto in
maniera elegante, meticolosa, che dimostra un investimento di temo e di
riflessione. Il colore rivela l’amore per la vita, malgrado tutto quello che
aveva patito.
Non conosciamo il nome del soldato, ma sappiamo che
c’è nella catena di comando che gli ordinato e che lo ha messo in grado di
uccidere una paramedica di 21 anni: il capo del Commando Meridionale, Maggiore
Generale Eyal Zamir. Il Capo di Stato Maggiore delle Forze di difesa
Israeliane, Generale Gadi Eisenkot. L’Avvocato militare generale, Generale
Sharon Afek e il Procuratore Generale Avichai Mendelblit, hanno entrambi
approvato la formulazione delle regole di ingaggio, come è stato detto ai
giudici dell’Alta Corte prima che negassero delle petizioni contro le
sparatorie contro i dimostranti lungo la barriera di confine.
Malgrado tutte le testimonianze circa le vittime
civili e le ferite orripilanti, i giudici hanno scelto di credere a quello che
è stato detto loro, a nome dei militari, da Avi Milikovsky, un legale
dell’Ufficio del pubblico ministero: l’uso di forza potenzialmente letale si
sceglie soltanto come ultima risorsa, in maniera proporzionata e nella minima
misura richiesta.
Per favore, spiegateci in che modo questo è coerente
con la morte di Najjar che stava curando un uomo ferito direttamente da una
bomboletta di gas lacrimogeno. Un testimone oculare ha detto al New York Times
che mentre il ferito veniva portato verso un’ambulanza, le colleghe di Najjar
curavano lei che soffriva per gli effetti del gas lacrimogeno. Poi si sono
sentiti degli spari e Najjar è caduta.
I giudici dell’Alta Corte Esther Hayut, Hanan Melcer e
Neal Hendel hanno offerto su un piatto d’argento all’esercito l’esenzione
da un’indagine l’esenzione dalle critiche.
Così facendo, si sono uniti alla catena di comando che
ha ordinato al nostro soldato anonimo di sparare al petto di una paramedica e
di ucciderla.
Dopo aver ucciso Razan al-Najjar, Israele
assassina il suo personaggio - Gideon Levy
Quando
non c’è più onestà, ciò che rimane non è altro che propaganda
Poche parole – “Razan al-Najjar non è un angelo della
misericordia” – riassumono la profondità della propaganda israeliana. Avichay
Edraee, il portavoce in lingua araba dell’esercito israeliano, che parla anche
in mio nome, è il rappresentante di un esercito della misericordia che ora si è
autonominato giudice del livello di misericordia di una dottoressa che curava
un ferito palestinese sul confine di Gaza con Israele e che i soldati
dell’esercito israeliano hanno ucciso senza misericordia. Dopo averla uccisa,
era anche necessario assassinare il suo personaggio.
La propaganda è uno strumento a disposizione di molti Paesi. Meno
le loro politiche sono giuste, più incrementano i propri sforzi
propagandistici. La Svezia non ha bisogno di propaganda. La Corea del Nord sì. In
Israele viene chiamata ‘hasbara’ – diplomazia pubblica – in quanto: perché
avrebbe bisogno di propaganda? Recentemente la sua propaganda è scesa a una
bassezza talmente deprecabile che niente può dimostrare meglio di così che le
sue giustificazioni sono esaurite, le sue scuse finite, che la verità è la
nemica e che ciò che rimane sono menzogne e calunnie.
Si rivolge soprattutto al consumo interno. Nel resto del mondo
pochi abitanti di Gaza ci crederebbero in ogni caso. Ma come parte del disperato
tentativo di continuare con la repressione e la negazione psicologiche,
nell’incapacità di dirci la verità e nell’elusione di ogni responsabilità –
tutto è accettabile quando si tratta di questi sforzi.
Una dottoressa con un camice da infermiera è stata uccisa con un
colpo di fucile da cecchini dell’esercito israeliano – come hanno fatto con
giornalisti con i giubbotti con la scritta “stampa” e con un invalido senza
gambe su una sedia a rotelle. Se ci fidiamo dei cecchini dell’esercito
israeliano per sapere cosa stanno facendo, contando su di loro per essere i più
corretti al mondo, allora queste persone sono state uccise deliberatamente.
Sicuramente se l’esercito credesse alla giustezza della campagna militare che
sta combattendo a Gaza, si sarebbe preso la responsabilità di queste uccisioni,
manifestando rincrescimento e offrendo un risarcimento.
Ma quando la terra scotta sotto i nostri piedi, quando sappiamo la
verità e capiamo che sparare contro manifestanti e ucciderne più di 120 e
rendere centinaia di altri disabili assomiglia di più a un massacro, non si può
chiedere scusa e esprimere rincrescimento. E allora l’aggressiva, goffa,
imbarazzante e vergognosa macchina della propaganda del portavoce dell’esercito
entra in azione – una fragorosa voce dal ministero della Difesa che aggrava
semplicemente quello che è stato fatto. Martedì il maggiore Edraee ha reso
pubblico un video in cui si vede da dietro un’infermiera, forse Najjar, mentre
lancia lontano un lacrimogeno che i soldati avevano sparato verso di lei. Lo
stesso Edraee avrebbe fatto altrettanto, ma quando si tratta di una propaganda
disperata, è una prova inconfutabile: Najjar è una terrorista. Ha anche detto
di essere uno scudo umano. Sicuramente un medico è un difensore di esseri
umani.
Un’inchiesta militare israeliana, basata ovviamente solo su
testimonianze dei soldati, dimostra che non è stata colpita volontariamente.
Chiaro. La macchina della propaganda è andata oltre ed ha suggerito che
potrebbe essere stata uccisa da armi da fuoco palestinesi, che sono state usate
molto di rado durante gli ultimi due mesi.
Forse si è sparata da sola? Tutto è possibile. E ci ricordiamo
forse di una qualunque inchiesta dell’esercito israeliano che abbia dimostrato
il contrario? L’ambasciatore israeliano a Londra, Mark Regev, che è un altro
grande, raffinato propagandista, è stato veloce nel twittare in merito alla
“dottoressa volontaria” tra virgolette, come se una palestinese non potesse
essere una dottoressa volontaria. Invece, ha scritto, la sua morte è “un ulteriore
dimostrazione della brutalità di Hamas.”
L’esercito israeliano uccide un medico in camice bianco, durante
una vergognosa violazione delle leggi internazionali, che garantiscono
protezione al personale medico in zone di conflitto. E ciò nonostante il fatto
che il confine di Gaza non costituisca una zona di guerra. Ma è Hamas che è
brutale.
Uccidimi, signor ambasciatore, ma chi potrebbe mai seguire questa
logica contorta, malata? E chi può credere a questa propaganda a buon mercato
se non qualche membro del Consiglio dei Deputati degli Ebrei Britannici – la
più grande organizzazione rappresentativa dell’ebraismo britannico – insieme a
Merav Ben Ari [del partito di centro Kulanu, all’opposizione, ndt.], la
deputata della Knesset [il parlamento israeliano, ndt.] che ha subito
approfittato dell’occasione e ha dichiarato: “Risulta che la dottoressa,
proprio quella, non era solo un medico, come vedete.” Sì, quella. Come vedete.
Israele avrebbe dovuto essere scioccato dall’uccisione della
dottoressa. Il volto innocente di Najjar avrebbe dovuto toccare ogni cuore
israeliano. Organizzazioni di medici avrebbero dovuto esprimersi. Gli
israeliani avrebbero dovuto nascondere la faccia per la vergogna. Ma sarebbe
potuto succedere solo se Israele avesse creduto alla giustezza della propria
causa. Quando non c’è più onestà, ciò che rimane non è altro che propaganda. E
da questo punto di vista, forse questa caduta ancora più in basso annuncia
novità positive.
(traduzione
di Amedeo Rossi)
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