Confesso che su una cosa sono d’accordo con
Salvini: la rotta libica va chiusa. Basta tragedie in mare, basta dare soldi
alle mafie libiche del contrabbando. Sogno anch’io un Mediterraneo a sbarchi
zero. Il problema però è capire come ci si arriva. E su questo, avendo alle
spalle dieci anni di inchieste sul tema, mi permetto di dare un consiglio al
ministro perché mi pare che stia ripetendo gli stessi errori dei suoi
predecessori.
Blocco navale, respingimenti in mare, centri
di detenzione in Libia. La ricetta è la stessa da almeno quindici anni. Pisanu,
Amato, Maroni, Cancellieri, Alfano, Minniti. Ci hanno provato tutti. E ogni
volta è stato un fallimento: miliardi di euro persi e migliaia di morti in
mare.
Questa volta non sarà diverso. Per il semplice
fatto che alla base di tutto ci sono due leggi di mercato che invece continuano
ad essere ignorate. La prima è che la domanda genera l’offerta. La seconda è
che il proibizionismo sostiene le mafie.
In altre parole, finché qualcuno sarà disposto
a pagare per viaggiare dall’Africa all’Europa, qualcuno gli offrirà la
possibilità di farlo. E se non saranno le compagnie aeree a farlo, lo farà il
contrabbando.
Viviamo in un mondo globalizzato, dove i
lavoratori si spostano da un paese all’altro in cerca di un salario migliore.
L’Europa, che da decenni importa manodopera a basso costo in grande quantità,
in questi anni ha firmato accordi di libera circolazione con decine di paesi
extraeuropei. Che poi sono i paesi da dove provengono la maggior parte dei
nostri lavoratori emigrati: Romania, Albania, Ucraina, Polonia, i Balcani,
tutto il Sud America. La stessa Europa però, continua a proibire ai lavoratori
africani la possibilità di emigrare legalmente sul suo territorio. In altre
parole, le ambasciate europee in Africa hanno smesso di rilasciare visti o
hanno reso quasi impossibile ottenerne uno.
Siamo arrivati al punto che l’ultima e unica
via praticabile per l’emigrazione dall’Africa all’Europa è quella del
contrabbando libico. Le mafie libiche hanno ormai il monopolio della mobilità
sud-nord del Mediterraneo centrale. Riescono a spostare fino a centomila
passeggeri ogni anno con un fatturato di centinaia di milioni di dollari ma
anche con migliaia di morti.
Eppure non è sempre stato così. Davvero ci
siamo dimenticati che gli sbarchi non esistevano prima degli anni Novanta? Vi
siete mai chiesti perché? E vi siete mai chiesti perché nel 2018 anziché
comprarsi un biglietto aereo una famiglia debba pagare il prezzo della propria
morte su una barca sfasciata in mezzo al mare? Il motivo è molto semplice: fino
agli anni Novanta era relativamente semplice ottenere un visto nelle ambasciate
europee in Africa. In seguito, man mano che l’Europa ha smesso di rilasciare
visti, le mafie del contrabbando hanno preso il sopravvento.
Allora, se davvero Salvini vuole porre fine,
come dice, al business delle mafie libiche del contrabbando, riformi i
regolamenti dei visti anziché percorrere la strada del suo predecessore. Non
invii i nostri servizi segreti in Libia con le valigette di contante per pagare
le mafie del contrabbando affinché cambino mestiere e ci facciano da cane da
guardia. Non costruisca altre prigioni oltremare con i soldi dei contribuenti
italiani. Perché sono i nostri soldi e non vogliamo darli né alle mafie né alle
polizie di paesi come la Libia o la Turchia.
Noi quelle tasse le abbiamo pagate per veder
finanziato il welfare! Per aprire gli asili nido che non ci sono. Per costruire
le case popolari che non ci sono. Per finanziare la scuola e la sanità che
stanno smantellando. Per creare lavoro. E allora sì smetteremo di farci la
guerra fra poveri. E allora sì avremo un obiettivo comune per il quale lottare.
Perché anche quella è una balla. Che non ci sono soldi per i servizi. I soldi
ci sono, ma come vengono spesi? Quanti miliardi abbiamo pagato sottobanco alle
milizie libiche colluse con le mafie del contrabbando negli anni passati?
Quanti asili nido ci potevamo aprire con quegli stessi denari?
Salvini non perda tempo. Faccia sbarcare i
seicento naufraghi della Acquarius e anziché prendersela con le ONG, chiami la
Farnesina e riscrivano insieme i regolamenti per il rilascio dei visti nei
paesi africani. Introduca il visto per ricerca di lavoro, il meccanismo dello
sponsor, il ricongiungimento familiare. E con l’occasione vada a negoziare in
Europa affinché siano visti validi per circolare in tutta la zona UE e cercarsi
un lavoro in tutta la UE anziché pesare su un sistema d’accoglienza che fa
acqua da tutte le parti.
Perché io continuo a non capire come mai un
ventenne di Lagos o Bamako, debba spendere cinquemila euro per passare il
deserto e il mare, essere arrestato in Libia, torturato, venduto, vedere morire
i compagni di viaggio e arrivare in Italia magari dopo un anno, traumatizzato e
senza più un soldo, quando con un visto sul passaporto avrebbe potuto comprarsi
un biglietto aereo da cinquecento euro e spendere il resto dei propri soldi per
affittarsi una stanza e cercarsi un lavoro. Esattamente come hanno fatto cinque
milioni di lavoratori immigrati in Italia, che guardate bene non sono passati
per gli sbarchi e tantomeno per l’accoglienza. Sono arrivati dalla Romania,
dall’Albania, dalla Cina, dal Marocco e si sono rimboccati le maniche.
Esattamente come hanno fatto cinque milioni di italiani, me compreso, emigrati
all’estero in questi decenni. Esattamente come vorrebbero fare i centomila
parcheggiati nel limbo dell’accoglienza.
Centomila persone costrette ad anni di attesa
per avere un permesso di soggiorno che già sappiamo non arriverà in almeno un
caso su due. Perché almeno in un caso su due abbiamo davanti dei lavoratori e
non dei profughi di guerra. Per loro non è previsto l’asilo politico. Ma non è
previsto nemmeno il rimpatrio, perché sono troppo numerosi e perché non c’è la
collaborazione dei loro paesi di origine. Significa che di qui a un anno almeno
cinquantamila persone andranno ad allungare le file dei senza documenti e del
mercato nero del lavoro.
Salvini dia a tutti loro un permesso di
soggiorno per motivi umanitari e un titolo di viaggio con cui possano uscire
dal limbo dell’accoglienza e andare a firmare un contratto di lavoro, che sia
in Italia o in Germania. E dare così un senso ai progetti che hanno seguito
finora. Perché l’integrazione la fa il lavoro. E se il lavoro è in Germania, in
Danimarca o in Norvegia, non ha senso costringere le persone dentro una mappa
per motivi burocratici. Altro che riforma Dublino, noi dobbiamo chiedere la
libera circolazione dentro l’Europa dei lavoratori immigrati. Perché non
possiamo permetterci di avere cittadini di serie a e di serie b. E guardate che
lo dobbiamo soprattutto a noi stessi.
Perché chiunque di noi abbia dei bambini, sa
che cresceranno in una società cosmopolita. Già adesso i loro migliori amici
all’asilo sono arabi, cinesi, africani. Sdoganare un discorso razzista è una
bomba a orologeria per la società del domani. Perché forse non ce ne siamo
accorti, ma siamo già un noi. Il noi e loro è un discorso antiquato. Un
discorso che forse suona ancora logico alle orecchie di qualche vecchio
nazionalista. Ma che i miei figli non capirebbero mai. Perché io non riuscirei
mai a spiegare ai miei bambini che ci sono dei bimbi come loro ripescati in
mare dalla nave di una ONG e da due giorni sono bloccati al largo perché
nessuno li vuole sbarcare a terra.
Chissà, forse dovremmo ripartire da lì. Da
quel noi e da quelle battaglie comuni. Dopotutto, siamo o non siamo una
generazione a cui il mercato ha rubato il futuro e la dignità? Siamo o non
siamo una generazione che ha ripreso a emigrare? E allora basta con le guerre
tra poveri. Basta con le politiche forti coi deboli e deboli coi forti.
Legalizzate l’emigrazione Africa –Europa,
rilasciate visti validi per la ricerca di lavoro in tutta l’Europa, togliete
alle mafie libiche il monopolio della mobilità sud-nord e facciamo tornare il
Mediterraneo ad essere un mare di pace anziché una fossa comune. O forse
trentamila morti non sono abbastanza?
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