«Garantiamo una
vita serena a questi ragazzi in Africa e ai nostri figli in Italia». Così il
ministro della Repubblica Salvini, nell’atto di negare l’accesso ai porti
italiani a una nave di Sos Mediterranée con a bordo con 629 profughi (non tutti
«ragazzi»; ci sono anche 7 donne incinte, 11 bambini e 123 minori non
accompagnati). Ora ad accoglierli sarà la Spagna e non sarà facile, anzi. Ma
poi c’è in vista anche il blocco di una seconda nave, la Sea Watch, in attesa
di altri naufraghi salvati da navi mercantili e di decine di gommoni
stracarichi che non troveranno più navi delle Ong a raccoglierli, per le quali
si prospettano ulteriori e drammatiche strette.
La «vita serena in
Africa» che Salvini offre a quei ragazzi è il ritorno in Libia.
Con le donne
stuprate in modo seriale, gli uomini venduti come schiavi e tutti e tutte
torturate, affamati, ricattate, ammazzati come insetti. Quanto a quella
garantita ai «nostri figli», anche per loro c’è l’emigrazione; certo in
condizioni di maggiore sicurezza, ma per andare a fare i lavapiatti dopo una
laurea o un diploma.
Così si svuotano i paesi «periferici» – dell’Africa, con il politiche coloniali tutt’altro che finite; ma anche dell’Europa, con l’«austerità» – delle forze migliori; purché quelle peggiori continuino a governare.
Così si svuotano i paesi «periferici» – dell’Africa, con il politiche coloniali tutt’altro che finite; ma anche dell’Europa, con l’«austerità» – delle forze migliori; purché quelle peggiori continuino a governare.
«Tutta l’Europa si
fa gli affari suoi», aggiunge «vittorioso» Salvini. Ma in realtà è lui che fa
gli affari sporchi per conto di tutti coloro che sono al governo dei paesi
europei. Perché per difendersi dal «nemico» – che ormai sono i profughi, e solo
loro – la Fortezza Europa ha tracciato due distinti confini: uno alle frontiere
esterne dell’Unione: muri, reticolati, filo spinato, guardie, cani, hot spot,
eserciti, navi militari, leggi, regolamenti di polizia, accordi e laute mance
per i governi dei paesi di transito, truppe mascherate da consiglieri e
chilometri di costosissimi impianti di sorveglianza. L’altro alla frontiera
delle Alpi (e a Idumeni o a Lesbo), per impedire a chi è già arrivato in Europa
senza affogare di raggiungerne il cuore: i paesi dove ha parenti, amici,
compatrioti che lo aspettano e forse persino la possibilità di trovare lavoro.
Per questo le alternative,
per l’Italia e il suo governo, sono due: o rafforzare ulteriormente il primo di
questi confini o cercare di «sfondare» il secondo. Salvini, in perfetta
continuità con il predecessore Minniti, ha scelto la prima, aumentando la dose
con il blocco dei porti e rivendicando per sé una responsabilità che i suoi
colleghi europei non hanno il coraggio di assumersi: di far affogare, morire di
fame e di sete, respingere e rinchiudere nel lager libico i fuggiaschi che
l’Europa non vuole accogliere. Ma Salvini sostiene, con questa sua scelta, di
voler mettere alle strette il resto d’Europa: non rivendicando l’apertura dei
confini alle Alpi, la libera circolazione di profughi e richiedenti asilo, un
grande piano di investimenti – magari, per la rigenerazione ambientale
dell’Europa – che offrirebbe occasioni di impiego anche a tutti i nuovi
arrivati e ne favorirebbe l’accettazione da parte delle comunità locali
(preparando magari anche le condizioni per un ritorno volontario, dopo qualche
anno, nei paesi da cui sono scappati, per ricostruirlo). Senza un piano del
genere, infatti, anche l’accoglienza non ha futuro. Invece Salvini chiede un
maggior impegno europeo nel rafforzamento dei confini «esterni»: più soldi a
chi si impegna nei respingimenti, più navi a sbarrare le rotte marine, più
leggi e regolamenti liberticidi, più deroghe alle convenzioni internazionali,
più campi di concentramento fuori dei confini dell’Unione, ecc. Per questo, di
fronte a una timida proposta di riforma della convenzione Dublino 3 – che
impone ai profughi di rimanere nello stato di approdo – Salvini si è alleato
con i governi più ferocemente ostili ai migranti, quelli capeggiati
dall’ungherese Orbán, le cui politiche comportano di fatto un aggravamento
degli oneri che gravano sull’Italia. Salvini queste cose le sa, come sa che i
respingimenti su cui ha basato tutta la sua campagna elettorale sono
impossibili e si risolvono solo in più «clandestinità», lo «stato giuridico»
dei senza diritti istituito dalla legge Bossi-Fini. Centinaia di migliaia di
profughi e migranti senza permesso di soggiorno, o perché «denegati» per le
spicce, o perché rimasti senza lavoro; tutti messi per strada e costretti ad
arrangiarsi: a cader vittime della tratta, a raccogliere arance e pomodori o
mungere vacche nei tanti lager dispersi in tutte le campagne del paese, a
rischiare la vita nei cantieri illegali, ad elemosinare o a farsi reclutare
dalla malavita, ad accamparsi sotto i viadotti. È questa la situazione che
«crea allarme» nel paese e su cui Salvini e i partiti come il suo stanno
costruendo le proprie fortune elettorali – ma non solo – in tutta Europa; nel
doppio ruolo di vittime e di persecutori di un popolo di persone private di
tutto: nella speranza che nessuno possa o voglia più guardare negli occhi quegli
esseri umani senza diritti.
da qui
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