Se c’è un tema su cui oggi bisogna interrogarsi è proprio
quello di capire che posto occupa la cultura in società. Dalla comprensione del
grado di importanza che riveste la cultura per una società si può scorgere un
metro valutativo che permette di comprendere su quale direzione essa si
sviluppa e quali siano le inclinazioni verso cui si dirige.
Per condurre tale indagine bisogna capire in principio il
grado dell’istruzione del sistema sociale, dunque quali sono i campi del sapere
scientifico su cui si investe, quali sono i valori ai quali vengono esposti gli
individui una volta posti di fronte alla grande scelta della loro vita e quali
sono i profili professionali socialmente e razionalmente utili. Attraverso la
comprensione di questi fattori si può cominciare a delineare il profilo
strutturale di un sistema sociale.
Partendo dal fatto che una persona, non appena uscita dalla
scuola, subisce uno spaesamento come quello di un naufrago che in mezzo al mare
non può basarsi su nessun punto di riferimento, bisogna prendere in
considerazione che in conseguenza di ciò l’angoscia generata da una scelta drastica
porta l’individuo a farsi influenzare dai bombardamenti psicologici della
struttura sociale, che detta coercitivamente ciò che viene percepito come utile
e ideale. È proprio questo il momento in cui l’individuo
subisce la persuasione del sistema che lo invoglia ad abbracciare quei valori
basati sulle uniche (e generali) offerte di formazione che si conformano alle
logiche del sistema. Nell’attuazione di una divisione del sapere, facendo una scala di
importanza, non vi è spazio per scelte che vertono su campi di apprendimento
umanistico, poiché questi campi non sono conformi alla logica di mercato che si
identifica con quei valori che portano l’uomo unicamente verso la
cosiddetta prosperity, ovvero quella prosperità
economica che porta all’accumulo di denaro. Intorno agli
’70 del secolo passato, Ivan Illich, un intellettuale austriaco di fama mondiale,
scriveva un libro intitolato Descolarizzare la società (1971)
e alcune delle sue parole sono queste:
« La scuola
vende un corso di studi: vale a dire, un pacco di merci simili per struttura e
metodo di fabbricazione a qualunque altra mercanzia. La produzione di questi
corsi nasce nella maggior parte delle scuole da una ricerca cosiddetta
scientifica, partendo dalla quale i tecnici dell’istruzione prevedono, nei
limiti fissati dai bilanci e dai tabù, la futura richiesta di utensili umani
per la catena di montaggio... Si insegna agli allievi-consumatori a conformare
i propri desideri ai valori suscettibili di essere messi sul mercato. In tal
modo si ottiene che si sentano colpevoli se non si comportano secondo le
predizioni delle indagini di mercato procurandosi i voti e i diplomi che
permetteranno loro d’accedere a quella categoria professionale cui sono stati
indotti ad aspirare.»
L’autore scriveva in un periodo storico in cui già si
percepivano gli aloni del cambiamento strutturale della società. I tecnicismi
facevano il loro ingresso nella quotidianità dell’individuo, modellando la
mente di quest’ultimo secondo valori che si conformassero all’unica etica
basata sul consumo e su una polarizzazione della società attraverso scelte
professionali e profitto di quest’ultime. L’analisi di Illich parte dalla
scuola americana vista come uno dei poli che alimenta il sistema capitalistico.
Già a scuola l’individuo viene manipolato, attraverso subdole logiche che
portano il ragazzo-individuo a scegliere da sé ciò che è socialmente utile.
Però al di là della società americana che per essenza divide il popolo in base
al reddito, in un mondo ultra-capitalistico al livello globale come quello di
oggi, vediamo come le contraddizioni che evidenziava a suo tempo Illich abbiano
subito un ampliamento portato all’eccesso. Già a scuola la persona sa cosa
scegliere ai fini di una aderenza al tessuto sociale e alla domanda di
quest’ultimo, dunque attua una selezione dei vari campi di ricerca ai fini di
una perfetta e adeguata collocazione futura. Adeguata, certamente, alle logiche
di mercato, che mercificano l’apprendimento, rendendo gli individui umani
per la catena di montaggio. È alienante come si sia sviluppato con tanta
naturalezza un sistema sociale così settoriale e implicitamente autoritario,
come diceva Simone Weil: « la società è diventata una
macchina che comprime il cuore ». Non
vi è lo spazio per ascoltare il sordo richiamo delle pulsioni e delle proprie
inclinazioni, poiché nell’aridità dello spirito si strutturano griglie
concettuali e schemi sociali ben saldi e compatti che difficilmente si trova il
modo di mettere in discussione. La descolarizzazione della società ha portato la
cultura in un cunicolo buio rinchiuso dentro uno sgabuzzino che viene aperto
soltanto all’occorrenza, quando qualcuno decide di farlo. La cultura non è
visibile sull’orizzonte della realizzazione personale perché non è
mercificabile e non è in perfetta linea con la tipologia di intenzionalità
alimentata dalle istituzioni. Perciò soltanto se essa viene ricercata al di
fuori di schemi prestabiliti dai tecnici dell’istruzione, per continuare a
dirla con Illich, la si può abbracciare e utilizzare come risorsa. Ma
una società descolarizzata tende a far credere di essere un estraneo o un diverso
a chiunque voglia imboccare la via del pensare in contrasto con ciò che viene
convenzionalmente pensato come ideale.
Per comprende più a fondo questo sistema sociale che aliena
le pulsioni soggettive e rende estranee tutte le forme di alternativa a ciò che
viene proposto (e imposto), bisogna far luce su alcune analisi che Michel Foucault condusse
riguardo all’ordine del discorso e sul rapporto che intercorre tra sapere e
potere. Secondo l’intellettuale francese di Poitiers, la produzione dei discorsi
è veicolata e controllata attraverso una serie di processi che poi avranno a
loro volta potere e controllo sul sapere. Foucault parlava di un potere che
principalmente fosse una forza positiva che agendo dall’interno dell’individuo
crea un profilo antropologico assoggettato e che per definizione non resiste
all’imposizione, dunque un potere che produce e fabbrica individui.
Su quest’ottica che vede evidenziate le logiche di un
potere che normalizza una coscienza assoggettata, rapportando il problema dell’esistenza
di tale potere alle logiche precedentemente analizzate attraverso l’acume di
Illich, possiamo notare e comprendere il perché oggi vi siano discipline che
risultano non funzionali al sistema, che per l’appunto accetta e promuove
figure professionali tecniche che nell’ideale classico di un capitalismo visto
come accumulo di denaro risultano funzionali. Tutto questo a discapito di
quegli impieghi confacenti ad un ideale di società scolarizzata in cui la
cultura umanistica potrebbe trovare il suo modo di inserirsi nella formazione
di un individuo. Attraverso Foucault e il suo concetto di potere, dunque, mettiamo in
risalto come esso sia una potenza subdola e insidiosa, che dall’interno ancor
prima che agire dall’esterno, porta l’individuo ad essere assoggettato
all’unidimensionalità economica proposta dal sistema sociale. Tale potere che agisce sul
sapere porta a una settorializzazione del lavoro e nel particolarissimo periodo
storico attuale, privo di punti di riferimento intellettuali, vi è attuata una
separazione enorme tra lavoro pratico (e utile) e il lavoro intellettuale, dove
in questa separazione si può quasi scorgere l’eliminazione della seconda
tipologia di lavoro, poiché non rappresenta un impiego al servizio delle
logiche di mercato. Questa situazione non mina soltanto
l’individuo singolo che probabilmente si ritroverà a scegliere una formazione
professionale in base a ciò che risulta come convenzionalmente sociale, ma mina
anche l’istituzione primaria che rappresenta la formazione dell’individuo,
ovvero l’università.
Ritornando a Illich, vediamo come nel testo sopracitato,
viene affrontato anche il tema della decadenza delle Università, che
inizialmente rappresentavano i poli culturali in cui il dibattito tra individui
generava autocoscienza, pensiero, riflessione, in cui vi si costituiva
l’identità delle indagini scientifiche, in cui si ritrovavano luoghi di
propaganda culturale e che già al tempo dell’autore subirono un cambiamento
nella loro funzionalità. Illich fa un paragone di varie società con la
società americana, vedendo come in quest’ultima lo studente è visto come un
qualcosa che alimenta lo sviluppo del sistema e quindi in questa logica vede
l’individuo come capitale sociale per il sistema. Era più
funzionale puntare sulla quantità di studenti impiegati in determinati settori
più che sulla qualità che poteva fuoriuscire dalle decisioni soggettive secondo
particolari inclinazioni. Oggi, questo stato di cose non è cambiato, anzi ha
visto il suo sviluppo. Il discorso sull’istruzione universitaria e sull’impiego
ha generato un processo di esclusione di determinati settori, tale
processo ha generato quel discorso che a sua volta genera potere sul sapere.
Attraverso Foucault vediamo come in una società come la nostra il discorso
generi quel processo di esclusione che porta a riconoscere il carattere di
verità solo di determinati discorsi, che sarebbero quelli che vengono diffusi
dagli apparati istituzionali. Il discorso sull’istruzione è uno di quei
discorsi che tipicamente viene colpito dalle convenzioni sociali, dunque vi
saranno continuamente pareri discordanti sulle scelte acquisite di fronte a un
progetto di vita. Nello specifico vi è un conflitto tra facoltà universitarie.
Oggi,
principalmente, fai qualcosa per assicurarti l’accumulo di denaro futuro, non
corri il rischio del compromesso tra ciò che è più rassicurante e ciò che
rappresenta invece il tuo reale desiderio: una situazione che in alcuni casi
snatura anche della sua nobile essenza alcune scelte di vita, come fare il medico. L'attività medica, missione
di vita per eccellenza, non dovrebbe subire la privazione del suo reale
significato venendo limitata ad un lavoro e basta. Hannah Arendt, in Nel
deserto del pensiero (1950-1973) scriveva:
« Il lavoro
serve sempre ad assicurare il sostentamento. Se faccio il medico per
guadagnarmi da vivere, la Τέχνη della guarigione è degradata al rango di
lavoro. Il mondo moderno ha trasformato ogni attività in lavoro, ha spogliato
tutto della sua dignità. »
Parole che fanno luce sullo spirito che alberga nella
società attuale, che seleziona in base a un utile, che degrada la nobiltà delle
cose e priva di dignità l’uomo senza permettergli di scegliere. Una situazione
conflittuale che vede una maggioranza a sostegno dell’utilità immediata delle
scelte prese e una minoranza che invece difende le proprie posizioni fatte di
inclinazioni e pulsioni. Questa scissione tra individui mina la collettività
che rappresenta la conditio sine qua non per cui vi siano le
possibilità di non vivere angosciati nella paura di non imboccare la via
definita giusta. Kierkegaard prima, Sartre dopo, parlarono del concetto di
scelta che genera angoscia e paura di aver preso la giusta decisione secondo
gli schemi convenzionali. Kierkegaard parla di un’angoscia generata
dall’esperienza dell’ignoto e inconoscibile, Sartre parla della stessa cosa da
un punto di vista diverso, cioè l’uomo in assoluta libertà può scegliere
davanti alla vita e viene evidenziato proprio questo carattere di libertà senza
influenze che genera l’angoscia e lo spaesamento dell’uomo.
Da chiedersi è
dunque, che posto ha lo spirito soggettivo dell’uomo, in un mondo dove l’unica
ricerca è quella dell’utile, dove non vi è l’idea di sbracciarsi per giungere a
un obiettivo che ci si prefissa di raggiungere, un mondo dilaniato dall’idea
dell’arrivare subito e sicuramente, senza ostacoli, una realtà che non ammette
il pensiero razionale e che preferisce far “scegliere” nell’assoluta
irrazionalità l’uomo?
Quella compiuta è tutta un’analisi che si ricongiunge al
testamento che Ivan Illich ha lasciato all’umanità. Un testamento che si
identifica nel ripercorrere, in questo caso specifico, la struttura
dell’istruzione all’interno della società e il ruolo che hanno i propagatori
della cultura e della conoscenza. Gli insegnanti, gli intellettuali, gli studiosi, in
una società descolarizzata che tende a quantificare al posto di qualificare,
non è assolutamente vero che non hanno il loro posto, poiché rappresentano quel
progresso intellettuale che combatte contro un’irrazionalità totalizzante che
rema ai danni dello spirito, rappresentano quella fetta di progresso che ha il
potere e la posizione di combattere e resistere contro l’oggettivazione dei
futuri, rappresentano quel principio di speranza dal sapore blochiano,
rappresentano quella mano tesa al naufrago disperso nel mare.
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