C’era una volta un tema vecchio e già narrato a fondo in tutti i suoi
aspetti.
Quello del fascino che l’uomo forte al potere suscita nella
popolazione nostrana. Il che non vuol dire affatto che forte lo sia sul serio.
Ciò che conta è solo l’atteggiamento, nella scelta della postura come del tono
della voce, nello sguardo e soprattutto nelle parole.
Ad ammaliare gli abitanti di questo nostro stivale non è la forza in sé,
bensì l’idea di quest’ultima, messa in scena nel modo più convincente
possibile.
Ciò nonostante, nessun uomo forte – ovvero solo nella farsa – lo è tale per
tutte le stagioni e differenti generazioni.
Cominciamo dal primo per antonomasia nell’immaginario storico dei più: Benito
Mussolini, il primo capocomico di questo atavico spettacolo che funziona
sempre allo stesso modo. Ciò vuol dire che ottiene ogni volta l’identico
risultato negli occhi e nei cuori del popolo – o per meglio dire il gregge –
che guarda e ascolta: obbedienza, riverenza e paura.
Il Duce otteneva ciò con una singola espressione del volto, seria e corrucciata
e con l’ausilio di una mascella volitiva, il petto in fuori, le gambe
divaricate e le braccia che si agitavano con un’incoerente coerenza.
Dopo una successione di leader più o meno in grado di guadagnarsi tale
particolare tipologia di asservimento da parte della cittadinanza – più meno
che più – il secondo che mi viene in mente è Giulio Andreotti,
soprannominato il “Papa nero”, il “divo”, o anche “Belzebù”, l’uomo forte – o
sembiante tale – il quale ha dominato la scena politica italiana dalla fine
degli anni ‘50 agli ultimi degli Ottanta. Ma Andreotti si meritava lo scettro
in modo differente. Non aveva dalla sua il classico physique du rôle adatto
al personaggio, sia per quanto riguardi la figura che la voce, ma raggiungeva
comunque lo scopo sopra citato: ottenere e incutere obbedienza, riverenza e
paura.
Semplicemente aveva intuito che con la gente di questa penisola, stretta e
allungata in un mare che per secoli l’ha vista vulnerabile e preda di
aggressioni da ogni dove, non serviva neppure farlo vedere, l’uomo forte. Era
sufficiente evocarne gli aspetti più inquietanti e minacciosi tramite il “non
detto” e il sottinteso, come accade nei migliori film horror.
In ordine cronologico il terzo leader forte – perlomeno come scritto nel
copione – è stato ovviamente Bettino Craxi. Qual era la sua
specialità? Semplice quanto banale, se preferite: l’arte della politica nella
sua applicazione più elementare, che consiste nell’assicurarsi il potere e la
forza con cui tenere alleati ed elettori in mano tramite la ricchezza di amici
potenti e influenti. Ovvero, una delle tante lezioni impartite dall’America:
non serve pescare nel torbido per godere di sostenitori straordinari. È
sufficiente far emergere costoro dalla melma rendendoli rispettabili.
Il problema è che prima o poi tale inaspettato eccesso di visibilità alimenta
la vanità, e quest’ultima presenta prima o poi un caro prezzo, e l’unico modo
per non precipitare è salire in cima più rapidamente. Il dramma è che quando si
è quasi arrivati lassù non c’è mai posto per due sul trono.
Eccoci quindi, senza sorprese, a Silvio Berlusconi, l’uomo
forte del secondo Ventennio e anche di più. Si legga pure come colui che ha
capito che per meritarsi obbedienza, riverenza e paura bastava diversificare il
target, ostentando con gli uomini ricchezza e belle donne, preferibilmente
giovani, e propinando alle donne ore e ore di soap opere e televendite.
Caduto l’ennesimo leader capace di riuscire nella più prevedibile delle magie
si è creato un vuoto enorme difficile da colmare.
Tra banali funzionari a capo di governi tecnici e ridicoli comparse
imparagonabili al personaggio di cui sopra, ecco che l’uomo forte arriva del
web, anche se vi è entrato dalla tv: Beppe Grillo. C’è da dire che
però nel suo caso non si trattò propriamente di un’innovazione, bensì di un
aggiornamento. Perché su internet obbedienza, riverenza e paura te li guadagni
con il numero di follower e con la forza e la potenza che riesci a dimostrare
sui social, ma come fu per i suoi recenti predecessori, a fare tutta la
differenza del mondo sono sempre gli amici che forti e potenti lo sono sul
serio. Ecco perché quando se ne vanno, lo spettacolo finisce e il sipario
chiude.
Infine eccoci all’ultima versione, l’uomo forte che in realtà è una
donna. Giorgia Meloni non rappresenta una conquista del genere
femminile, ma è lì a dimostrare che alla fine della fiera per l’italiano che ha
un innato bisogno di mostrarsi arrendevole, ossequioso e timoroso di fronte al
leader di turno conta poco il sesso di quest’ultimo. È cosa ci guadagna lui che
vale ogni conseguenza della sua scelta. Sto parlando di ciò che molti nostri
concittadini, forse la maggioranza, ricercano come il più ambito dei doni da
quasi un secolo. Si chiama alibi ed è un qualcosa che è
stato instillato e alimentato come un valore prezioso
dall’esterno, sin dalla fine della seconda guerra mondiale.
Perché se c’è un uomo forte al potere, o donna che sia, l’italiano
ha fatto propria l’idea che se poi costui cade la colpa di tutto quel che ha
fatto di male al Paese è solo sua. E questo vale sia per chi l’ha votato
che i suoi più stretti collaboratori. È successo con Mussolini e con tutti
coloro che si sono succeduti. Accadrà anche con la Meloni, vedrete se non è
così. In questo modo tutto cambia per non cambiare nulla. Un solo
colpevole e tutti innocenti, un solo colpevole e tutti innocenti, e vai con
il prossimo, o la prossima, da mettere sul temporaneo piedistallo…
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