Pensare con idee ricevute. E’ davvero stupefacente leggere o ascoltare intellettuali e studiosi democratici e di sinistra, talora di sinistra avanzata o radicale ( cioé di sinistra, ma il termine è stato infamato dal cosiddetto centro-sinistra) che ancora oggi, dopo due anni di guerra in Ucraina, dopo tutte le rivelazioni di fonti americane, le ricostruzioni storiche dei precedenti che hanno preparato quel conflitto, continuano a ripetere lo slogan << la brutale invasione russa>> , <<l’occupazione violenta della Crimea>>,ecc. Gli stessi stereotipi e retoriche si ripetano per il massacro in corso nella martoriata Gaza. I combattenti di Hamas sono terroristi perché hanno ucciso civili israeliani con il pogrom del 7 ottobre (cosa, ahimé, terribilmente vera e ovviamente da condannare, ma non bisognerebbe mai dimenticare la storia che la precede e predispone) mentre i soldati di Israele che di civili palestinesi, e soprattutto di bambini, ne hanno ucciso e ne vanno ammazzando un numero spaventosamente superiore, restano soldati. Intendiamoci, la guerra è sempre un errore, è l’ingresso al più grande degli orrori. Quindi condanniamo quella scelta di Putin. Ma chi non riconosce che la Russia è stata trascinata in quel massacro è persona non informata dei fatti.
Svolgo
le considerazioni che seguono non solo per il dispiacere che provo a sentire
anche tanti amici e studiosi di valore ripetere queste espressioni che sono il
calco della vulgata occidentale, ma perché ovviamente tale subalternità
interpretativa all’informazione corrente indebolisce gravemente l’opposizione
politica all’atlantismo, che ci chiama alla guerra, all’involuzione antidemocratica
dell’UE, frena l’azione a favore delle trattative e della pace. Le svolgo anche
perché mi vado convincendo di un fenomeno culturale che meriterebbe di essere
approfondito e che qui accenno appena. Le sempre più spinte specializzazioni
scientifiche del nostro tempo – per cui chi si occupa di sociologia
finisce col sapere tanto del suo specifico campo sociologico, ma poco del
resto, e così chi si occupa di fisica, di
diritto, economia, ecc.– espone la mente di tanti studiosi a
dipendere, per la propria visione della situazione politica mondiale, dalla
idee circolanti e inverificate elaborate dai media dominanti. Media, come
sappiamo, che orchestrano campagne di persuasione sistematiche e di vasta
portata ormai da decenni. Se non si conoscono in maniera circostanziata le
questioni, la comodità di avere, con poco sforzo e a portata di mano, una
spiegazione semplice e rassicurante fa perdere la libertà di un giudizio
indipendente. Credo di poter parlare anche a nome personale. Chi conosce un po’
la mia biografia intellettuale sa che non mi sono mai rinchiuso nella mia
specializzazione di storico. Eppure, anche io ero convinto di tante verità che
erano idee ricevute accettate passivamente, spesso purissime menzogne. Superate
solo dopo aver studiato su libri e documenti come sono andate realmente le
cose. Purtroppo bisogna constatare che non si possono capire anche i gravi
fatti del nostro tempo se ciascuno non compie uno sforzo supplementare di
studio e di analisi, fuori dal proprio specialismo e non confidando nel
giornalismo corrente. Troppo potenti e ben confezionate sono le falsificazioni
che si respirano nell’aria per restare indenni. Quante prove ulteriori noi
italiani dobbiamo avere, per come è stata raccontata la guerra in
Ucraina, per riconoscere che i nostri media sono una fabbrica di contraffazioni
della realtà? Senza, dunque, uno sforzo di documentazione supplementare si
resta vittime di una versione costruita da interessi potenti. Perché forse mai,
come oggi, le élites dominanti sono in grado di sovrapporre alla realtà
effettiva la loro manipolata narrazione, puntello fondativo del loro dominio,
imponendola come un qualunque seducente prodotto di consumo.
Un’altra
ragione di stupore è l’evidente pregiudizio antirusso che in Italia circola in
ogni canto di strada. E il fenomeno, quando vede protagonisti sinceri
democratici, è davvero incomprensibile o comprensibile assai bene, quale prova
della forza del punto di vista americano che è diventato anche il nostro. Ma
come facciamo a giudicare la Russia prescindendo completamente dal popolo
russo, dalla sua storia, dai sacrifici immani che credo nessun popolo ha dovuto
sostenere in età contemporanea? Come può accadere che c’è così poca empatia e
curiosità storica disinteressata per la sua storia? Nessuno trae ragione di
ammirazione da quel che questo popolo è stato in grado di fare per difendere il
proprio paese da forze sovrastanti? Chi si ricorda che i russi hanno
dovuto dare alle fiamme Mosca, la loro amata città, per poter resistere all’invasione
dell’esercito napoleonico? Qualcuno rammenta battaglia di
Stalingrado, la carneficina urbana durata quasi 6 mesi
che ha inflitto la più grave sconfitta strategica all’esercito di Hitler?
Quell’esercito che nessuna potenza europea aveva potuto fermare? Uno sforzo
bellico che costò alla Russia circa 20 milioni di morti. Oggi nell’immaginario
collettivo americanizzato sono stati gli USA a vincere la guerra, cancellando
la vittoria russa a Stalingrado, dimenticando che l’Armata Rossa è arrivata
Berlino, nel cuore dell’invincibile Reich, nell’ aprile del 1945, precedendo
addirittura gli eserciti alleati. Se la Russia fosse crollata Hitler avrebbe
molto probabilmente vinto la guerra e avrebbe imposto all’Europa il suo feroce
dominio. Chi ha liberato i lager dove si era consumato l’olocausto?
Eppure persino un comico geniale come Benigni ha messo le divise americane ai
soldati che entrano nei campi di concentramento ne La vita è bella.
La
rivoluzione d’Ottobre
Meno
stupore desta l’oblio o perfino la dannazione della rivoluzione d’Ottobre. Essa
viene fatta sparire sotto la facile demonizzazione dello stalinismo e dei suoi
crimini, sotto la burocratizzazione elefantiaca dello stato russo del
dopoguerra, sino alla sua finale dissoluzione nel 1991. Sappiamo quanto diffusa
sia l’opinione, soprattutto nel campo un tempo di sinistra, che quella vicenda
sia stata nient’altro che un unico e prolungato errore. Eppure non c’è giudizio
più superficiale ed erroneo di questo. La rivoluzione del 1917, la prima
rivoluzione proletaria della storia, a dispetto dei suoi errori e del sangue
fatto scorrere, ha cambiato il corso della storia contemporanea. Qui basti
ricordare, a parte l’eversione, spesso con prezzi umani drammatici, delle
strutture feudali della Russia, che essa fin da subito ha avuto effetti di
radicale trasformazione nella società del tempo spesso ignoti. Chi sa, ad es.,
che per effetto della rivoluzione, nell’Europa Centrale tra le due guerre,
vennero avviate ampie riforme agrarie con divisione e distribuzione dei
latifondi ai contadini per timore delle rivolte che avevano rovesciato
gli Zar? Quelle riforme che in Italia spezzarono il latifondo solo nel 1950? Ma
la rivoluzione, che già nel 1918 gli occidentali, compresi gli USA (situati al
di là dell’oceano), cercarono di soffocare sul nascere, ebbe effetti
sotterranei nelle campagne dell’Asia e mise in moto vari movimenti contadini da
cui prese slancio anche la Rivoluzione cinese.
Nel
dopoguerra
il
sostegno economico, militare, politico dell’ URSS rese possibile e comunque
facilitò enormemente la lotta anticoloniale dei Paesi del Sud del mondo, la
liberazione di numerosi popoli da una dominazione secolare. Un stato
burocratico e autoritario, che espresse anche dirigenti nefasti come Breznev,
tuttavia, anche quando si muoveva per interessi geopolitici di potenza,
svolgeva un ruolo prezioso per il processo di emancipazione dei paesi
poveri.
Ma non
si può tacere un altro esito che ci riguarda. La Rivoluzione d’ ottobre rese
possibile la nascita dei partiti comunisti dell’Occidente – fenomeno represso
sul nascere negli USA democratici – forze politiche moderne che non solo hanno
concorso alla lotta antifascista nel dopoguerra, ma hanno svolto un ruolo
decisivo nel processo di sviluppo sociale e di costruzione di stati democratici
moderni, dotati di un costituzione. Il caso del Partito comunista italiano
costituisce un capitolo esemplare di questa storia. Come si sarebbe
potuto affermare il welfare – teorizzato peraltro da capi di stato lungimiranti
come Roosevelt o da economisti come William Beveridge – senza il
concorso e le lotte dei partiti comunisti e socialisti, la grande forza
popolare e la mobilitazione dei sindacati? La storia non è una partita di
calcio in cui si vince o si perde, e nulla accade mai invano.
Basterebbero
questi brevi cenni per far comprendere quanto diversamente siano andate
le cose rispetto alle convinzioni interessate e false che si sono affermate,
specie negli ultimi decenni in cui la Verità Neoliberista ha riscritto il
nostro passato. Del resto, una volta tanto, la storia offre la possibilità di
una verifica, per così dire controffattuale, per giudicare il valore della
Rivoluzione d’ottobre e di quel che ne è seguito. Che cosa è accaduto alle
società occidentali dopo il crollo dell’URSS, quando è venuto a mancare un
antagonista al capitalismo occidentale? Che cosa è accaduto al pensiero
politico, diventato pensiero unico? Che cosa al welfare, al
lavoro, ai sistemi politici, alla democrazia, agli equilibri mondiali? Chi di
noi avrebbe mai immaginato il ritorno in grande stile del lavoro schiavile
nelle campagne? Eppure, dalla California all’Italia, passando per il Regno
Unito e la Spagna, questa è diventata una gloria tangibile dell’Occidente. E’
stata dunque un’errore la Rivoluzione d’ottobre?
E’
questa falsa coscienza, radicata nelle menti, che non consente di ragionare,
che porta a guardare alla Russia come un ostacolo all’avanzare della democrazia
nel mondo, e a Putin come un mostro assetato di sangue. Cosi dobbiamo
sentire in TV, ormai Ministero della Verità, giornalisti anche intelligenti e
non faziosi, come ad esempio Corrado Augias, i quali si chiedono che cosa
accadrà agli altri territori contermini << se si cede
sull’Ucraina>>. Un’espressione che mostra l’assoluta ignoranza delle
ragioni di questa guerra, che in parte è una guerra civile, ma che riduce la
Russia attuale a una caricatura. Ma quali interessi dovrebbero spingere la
Russia ad espandersi ulteriormente ? Il suo territorio statale è <<la più
vasta entità territoriale del mondo>> (Treccani) e assomma a 17.075.400
km2, con una popolazione intorno ai 160 milioni di abitanti. L’Europa, tanto
per fare un raffronto eloquente, è estesa 4.950.000 km2 ed è popolata da circa
500 milioni di persone. Quale dissennato uomo di stato può spingere un tale
paese, letteralmente spopolato, a occupare nuovi territori portando a morire un
buona parte dei suoi scarsissimi giovani? Possibile che così pochi,
in Italia e in Europa, sono in grado di sospettare che la dirigenza Russa non
aveva nessuna convenienza a invadere l’Ucraina, con cui aveva convissuto per
decenni, se non fosse stata minacciata dalla Nato ai suoi confini, se gli USA non
si fossero mostrati indegni di qualunque fiducia, se la popolazione russofona
non fosse stata sottoposta a ripetute persecuzioni? Ma chi grida al pericolo di
un’espansione imperialistica ha una idea salottiera della guerra. Dimentica che
essa costa la vita di migliaia e migliaia di soldati. Quanta intelligenza c’è
nel pensare che anche un’autocrate come Putin può sacrificare, spensieratamente
e senza conseguenze, la propria gioventù (sottratta peraltro a un’economia che
ne necessita incessantamente) per astratti disegni di dominio?
Putin
come Hitler?
Per
finire alcune considerazioni su Putin. Ho da poco ascoltato in TV Massimo
Giannini, un giornalista democratico e intelligente (a dispetto dei giornali
padronali per cui scrive) lanciare grida di dolore di fronte alla notizia
che Putin era stato riconfermato presidente con un’ affermazione plebiscitaria
di quasi il 90% dei votanti.<< Una grave sconfitta per l’Occidente
>> l’ha definita con tono angosciato. Espressione che costituisce un
involontario smascheramento dell’immagine caricaturale che i media, a partire
dai giornali per cui Giannini scrive, hanno deliberatamente costruito della
Russia e di Putin. Le nostre élites si rivoltolano negli errori e nelle
finzioni che essi stessi propagandano. Esse hanno infatti inventato l’immagine
di un dittatore sanguinario che estorce il consenso al suo popolo con il
terrore. A questo servono pagine e pagine dedicate alla morte di Alexej
Navalny, le decine e decine di trasmissioni televisive in cui si ricostruisce e
ripete fine all’ esaurimento lo stesso evento. Se avessero un approccio meno
propagandistico alla realtà potrebbero capire come stanno realmente le
cose. Ricordo che dagli elettori residenti all’estero Putin ha ricevuto
il 72, 1% dei voti. E costoro certamente non subivano nessuna pressione o
condizionamento. So che dispiace a tantissimi, ma quello del presidente russo è
un autentico consenso popolare, dipendente da ragioni molto solide, che il
giornalismo democratico dovrebbe avere l’onestà di ricostruire. Onestà di cui è
gravemente sguarnito. Putin, agli occhi del suo popolo, ha il grande merito di
aver sottratto il paese all’anarchia, alla spaventosa povertà di massa creata
dal decennio dei governi di Eltsin, rimettendolo sulla strada di uno sviluppo
sempre più ordinato e apportatore di benessere. Sviluppo capitalistico,
beninteso, in un’economia di libero mercato, con una forte presenza statale.
Quella che servirebbe tanto all’ Italia e all’ Europa. A lui riconosce il
merito di aver domato in gran parte lo strapotere degli oligarchi, di aver
limitato la corruzione dilagante, di aver soffocato il terrorismo ceceno che
faceva esplodere bombe nei locali pubblici delle città e persino a Mosca.
Repressione dolorosamente sanguinosa, certo, ma contro un nemico anch’esso
sanguinario che prendeva di mira i civili. A Putin il popolo russo è grato per
avergli restituito, dopo l’umiliazione del crollo dell‘URSS, l’orgoglio della
propria storia, della propria identità. Questo rinato patriottismo – certo, spesso
condito da Putin con improbabili e inopportuni richiami retorici alla Russia
degli zar – viene demonizzato in Occidente per poterlo trasformare in
imperialismo aggressivo. Eppure non si capisce perché il patriottismo sia
invece considerato lecito e benefico per la Francia di Macron, che vuole
inviare truppe europee contro la Russia, o per l ‘Italia del governo di guerra
della sovranista Meloni, che lo ha preventivamente ceduto agli USA per ragioni
di legittimazione politica. Ma il popolo russo ha rafforzato il suo consenso a
Putin negli ultimi anni perchè ancora una volta avverte i venti di
guerra che soffiano contro di lei. La Nato e l’intero Occidente
minacciano di “sconfiggerla” sul suo territorio, cioé ancora una volta di
invaderla, e noi ci stupiamo che il suo popolo
moltiplichi il proprio appoggio al leader che si è mostrato più capace di
difenderlo da questa minaccia mortale? Ma come pensano i nostri analisti?
Infine,
sempre dedicato agli intellettuali democratici e di sinistra, qualche considerazione
su Putin dittatore spietato, argomento impervio, ma che credo di poter
affrontare col dovuto equilibrio e freddezza. E’ un compito sgradevole che mi
assumo non certo per difendere Putin, ma perchè attraverso la sua
demonizzazione si fa strada la propaganda bellicista dell’esportazione della
democrazia e del regime change:il vero obiettivo per cui gli USA
hanno provocato la guerra in Ucraina. Confido perciò nell’intelligenza del
lettore. Comincio col dire che io immagino Putin come uomo di grande
intelligenza politica, ma sicuramente spietato. Lo credo anche capace di
ispirare l’eliminazione di qualche avversario politico. La sua provenienza e la
sua esperienza autorizzano questa visione. D’altra parte, è noto, come qualche
volta sosteneva Marx, che gli uomini fanno la storia, ma anche l’inverso, che
cioé è la storia a fare gli uomini. Del resto come avrebbe potuto rimettere in
piedi un moderno stato, in un paese sprofondato nel caos, senza un certo grado
di spietatezza? Nella patria di Machiavelli queste considerazioni non
dovrebbero destare stupore. Tuttavia quando gli si attribuiscono responsabilità
dirette nella morte di un oppositore come Navalny o nell’uccisione della
giornalista Anna Politkovskaja, ogni serio analista, che non può contare su
nessuna prova che non siano le opinioni dei nostri giornalisti, dovrebbe avere
l’intelligenza di porsi delle domande. Occorre sempre esaminare le
“convenienze” degli attori in campo per comprendere le dinamiche della
politica. E’ davvero giovata a Putin la morte del prigioniero Navalny? Abbiamo
poi saputo, del resto, che era destinato a uno scambio di detenuti. E Putin
temeva a tal punto la giornalista Anna Politkovskaja, da farla assassinare in
quel modo plateale, esponendosi alla condanna universale dei paesi occidentali?
Quel
che appare inaccettabile in queste ricostruzioni inverificate e spesso
infondate è la rappresentazione del presidente russo come un signorotto
feudale, che comanda a piacimento i propri sudditi, riducendo la Russia a un
villaggio rurale dell’‘800.Si dimentica che anche in quel paese
esiste una magistratura che gode di una relativa indipendenza, formata da
magistrati che vi accedono per concorsi. Si sopprime interamente la complessità
di quella società, al cui interno operano servizi segreti, anche stranieri,
criminalità organizzata, fazioni politiche in lotta reciproca, ecc. L’assassino
della Politkovskaja, è stato infatti individuato e condannato a 20 anni di
carcere. Come si fa a rappresentare Putin come un grande burattinaio se non per
legittimare un suo rovesciamento progettato negli studi degli strategici
americani? E infatti non si fanno campagne diffamatorie contro il turco Erdogan,
l’egiziano Abdel al Sisi, l’indiano Modi, il saudita Mohammed bin Salman,
com’è noto campioni di democrazia liberale.
La
democrazia e il popolo russo
In una
delle tante interviste rilasciate da Giulietto Chiesa prima di morire questo
grande esperto delle cose russe e amico di quel paese, pur riconoscendo a Putin
molti meriti, gli rimproverava di non aver fatto avanzare il processo di
democratizzazione e liberalizzazione di quella società. La giusta critica
che tutti gli rivolgeremmo se la propaganda USA non lo avesse trasformato nel
nemico numero uno dell’Occidente. E tuttavia una riflessione sulle difficoltà
di fare avanzare il processo di democratizzazione in Russia andrebbe fatto,
coinvolgendo il suo passato storico e l’antropologia del suo popolo. Certo, il
processo di espansione della Nato e la continuazione della guerra fredda da
parte degli USA, anche dopo il crollo dell’URSS, ha ostacolato i processi di
democratizzazione interni di quel paese.I dirigenti russi sanno bene quanto
danaro e forza organizzativa i servizi segreti USA sono in grado di impiegare
per dar vita a formazioni politiche eversive, organizzare rivolte e colpi di
stato. Non avevano bisogno di aspettare il rovesciamento del legittimo governo
di Kiev nel 2014. D’altra parte non bisogna dimenticare che dopo Eltsin la
Russia si è aperta a un’economia di mercato, capitalistica, in cui operano
liberi imprenditori, che godono più o meno delle stesse libertà che in
Occidente. Dunque l’evoluzione in senso democratico del sistema politico
sarebbe naturale, se le relazioni internazionali fossero meno minacciose e
agitate. E tuttavia l’inimicizia ricercata e orchestrata dagli USA e dalla Nato
per ragioni geopolitiche non basta a spiegare la lentezza dei processi di
democratizzazione, anche se appare sufficiente per giustificare la loro recente
involuzione.
La
democrazia non è un semplice costrutto giuridico, non si esaurisce nella sua
architettura istituzionale. E’ una forma di organizzazione della società frutto
di un lungo processo storico. Perciò la storia appare come la disciplina chiave
per avvicinarsi con meno superficialità ai fenomeni complessi che riguardano
questo sconosciuto paese.
E anche
in questo caso guardare il corso delle cose dal lato del popolo è importante. Non
bisogna dimenticare che in Russia la servitù della gleba è stata
abolita, sul piano giuridico, solo nel 1861. Quindi mentre in Italia si avviava
il processo di unificazione del paese la Russia, ma solo sul piano meramente
formale, cominciava a uscire dal Medioevo. Era una società dominata da una
immobile burocrazia imperiale con alla base l’immenso popolo dei contadini, un
mondo ai margini della modernità, che noi conosciamo grazie a narratori
giganteschi, alla più grande letteratura dell’età contemporanea. La Rivoluzione
d’ottobre mandò in aria quel pachiderma e vide per qualche tempo il
protagonismo delle masse popolari sino a che la dittatura del proletariato non
si trasformò in dittatura tout court. Per oltre 40 anni il sistema di potere
dominato da Stalin tolse al popolo ma anche all’intelligentija ogni possibilità
di iniziativa e di creatività. Le cose non cambiarono di molto dopo la morte
del dittatore e l’esplosione della guerra fredda, la corsa agli armamenti, ecc
non aiutarono l’evoluzione liberale di quella società-apparato. Il tentativo di
Kruscev, com’è noto, venne risucchiato dagli elementi conservatori che
puntarono al rafforzamento della difesa e agli armamenti per fronteggiare gli
USA. Da qui ovviamente le tragedie delle repressioni, prima in Ungheria nel
1956, l’occupazione di Praga nel 1968. Dunque sin quasi all’avvento di
Gorbaciov alla dirigenza del paese, il controllo burocratico della popolazione
russa è stato sistematico, spesso soffocante. Come si fa a non comprendere la
passivizzazione civile della popolazione che ne è derivata, la sua scarsa
confidenza con la democrazia, la sua apatia partecipativa? Come si poteva
costruire la democrazia con tali precedenti storici se non attraverso un lungo
processo? Bruno Giancotti, un italiano che ha lavorato nello staff
giornalistico di Gorbaciov e vive in Russia da 40 anni, mi ha spiegato che tra
i russi domina una particolare attitudine a demandare il potere a chi sta più
in alto, si sentono rassicurati dalla protezione del “Nachalnik”, che vuol dire
il “tuo capo”.
Non è
un caso che il processo di democratizzazione della Perestrojka, avviato da
Gorbaciov forse con non piena consapevolezza della complessità del compito,
crollò in poco tempo, trascinando l’URSS nel collasso. Ma come era possibile
trasformare in una democrazia liberale, nel giro di mesi, un
società senza stato, surrogato da un partito burocratizzato e in parte
corrotto, priva di un vero parlamento, di partiti indipendenti, magistratura,
sindacati e corpi intermedi autonomi, senza una libera stampa, una tradizione
popolare di partecipazione alla vita politica? Perciò il decennio di Eltsin fu
una fase fra le più dolorose nella storia del popolo russo in tempo di pace.
Dunque, Putin – che, come è emerso nella recente intervista al giornalista
Dmitrij Kisilev , aveva rifiutato, in un primo tempo, di fronte alle
difficoltà immani del compito, di assumere la responsabilità della
presidenza, offertagli da Jeltsin, – dovette ricostruire uno stato che non
c’era e ricomporre un’organizzazione economica e sociale devastata
dall’improvvisa apertura al mercato, di una società che nelle sue strutture
amministrative e rappresentative non doveva essere molto più dinamica di
quella zarista. E dunque solo uno statista privo di senno poteva cercare di
rimettere in piedi una società interamente collassata – forse un caso unico per
dimensioni nell’età contemporanea – ripercorrendo la strada fallimentare di chi
l’aveva preceduto. E infatti lo avrebbero preteso, dai loro tranquilli studi,
le anime belle del giornalismo occidentale. Senza un elevato tasso di governo
autoritario dei processi di riorganizzazione, visto tra l’altro la forza eslege
che avevano guadagnato moltitudini di oligarchi, il terrorismo nelle regioni
del Caucaso (che si è tragicamente rifatto vivo il 22 marzo) e la corruzione
dilagante, il tentativo era destinato al fallimento.
E’
dunque questa, per brevissimi cenni, la storia, sono questi i processi che
spiegano Putin e la sua gestione autoritaria che i democratici dovrebbero
considerare. La sua demonizzazione non serve né a comprendere le cose, né a
favorire il processo di democratizzazione della società russa.
Giova all’atlantismo e all’imperialismo guerriero della dirigenza
USA, che ha un interesse supremo nel costruire un nemico impresentabile per
tenere unita la propria società lacerata un sistema politico esaurito. Quella
dirigenza che oggi mostra al mondo la sua feroce capacità di mentire, fingendo
di opporsi a Netanyahu, ma continuando a inviargli armi perché completi il
massacro a Gaza. Capire dunque un po’ meglio la storia giova alla causa
ragionevole della pace.
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