Monte Arcosu, assalto da 300 ettari di pannelli – (30-07-23)
Hanno una
fretta dannata, come se dovessero portar via il proscenio dell’Oasi del Cervo
prima che qualcuno se ne accorga. Dai prossimi giorni, però, nonostante il
generale Ferragosto incomba anche sulle campagne, non sarà facile passare
inosservati. Migliaia di pilastri d’acciaio sono già conficcati alle pendici
del Parco di Gutturu Mannu, anello di congiunzione tra la città metropolitana
di Cagliari e il Sulcis. Monte Arcosu, che su quelle terre si staglia come un
gigante verde, non è semplicemente un’oasi protetta.
Oasi primato
Gli annali
non sfuggono al primato: in quella riserva c’è la più vasta estensione di
macchia-foresta e foresta mediterranea d'Europa. Niente, però, ha impedito ai
forestieri del “pannello” di smantellare di punto in bianco una distesa di
terra agricola, che solo per ingordigia industriale era stata perimetrata
all’interno di una zona di Macchiareddu. Il bestiame che vagava in quelle terre
è rinchiuso in un cantuccio, all’interno di un ovile di botto trasf0ormatosi in
“maneggio” per galline. Da queste parti, su quei campi che costeggiano il primo
rettilineo pianeggiante della Pedemontana, l’arteria viaria che costeggia Monte
Arcosu sino al Castello di Acqua Fredda a Siliqua e Gioiosa Guardia a
Villamassargia, non si danno pace. Ci passi di venerdì sera e li trovi
armeggiando. Ci ritorni di sabato e stanno conficcando pilastri d’acciaio sul
terreno. Non si risparmiano nemmeno la domenica, come se un pannello solare in
più valesse una messa. Non hanno tempo da perdere, del resto sono venuti da
lontano, e non hanno intenzione di soggiornare a lungo in terra sarda…
JP Morgan (Usa) si compra il sole di Monte Arcosu – (01-08-23)
I filari di
eucalipto e cipressi fiaccano lo sguardo, tanto sono infiniti. Il fusto quasi
secolare di ogni pianta “straniera” si erge impetuoso sullo skyline del grande
monte. Le avevano impiantate con certosina perizia quando la riforma agraria
era agli albori. L’obiettivo era meteorologico, alleggerire l’incedere del
vento sulle colture agricole dell’immensa piana ai piedi dell’Oasi del Cervo,
tra Assemini e Uta, nel cuore di Monte Arcosu. I terreni sono uno scacchiere
disegnato con il tacheometro di precisione, rettangoli perfetti, non meno di
venti, trenta ettari per ciascuno. Dovevano essere aziende agricole modello,
per far decollare l’economia del territorio. Non hanno fatto in tempo a
spendere i soldi, pubblici, per allestire questi quadranti agricoli che la
smania ingorda dell’industria a tutti i costi ha requisito tutto, comprese le
aziende già insediate. Tutto ricomprato, sempre con altri soldi pubblici.
Giravolta
para-industriale
Investimenti,
li chiamavano. L’obiettivo era quello di utilizzare quelle aree agricole per
insediare nuove attività industriali. I teorici di allora, para-economisti
della ciminiera, sostenevano che occorresse massimizzare l’investimento
pubblico, incrementando l’occupazione e lo sviluppo economico, attraverso
l’industria. Secondo le tesi degli anni ’70, l’agricoltura e la pastorizia non
avrebbero dato quello che poteva dare l’industria. “Sequestrarono” tutto a
colpi di “bigliettoni” pubblici, pur di portare sotto l’egida dell’allora
Consorzio industriale di Cagliari, ora Cacip, quelle migliaia di ettari
agricoli da trasformare con una matita in aree industriali. Attraversare quelle
Avenue e Street tracciate dalle fasce frangivento, tra Macchiareddu e la
Pedemontana, è come entrare in un’apocalisse solo annunciata, dove tutto è
rimasto intatto, dove tutti, però, sono scappati, lasciando cancelli
arrugginiti ancora chiusi, senza nessuna recinzione che proteggesse il podere.
Eppure, sempre la mano pubblica, anzi la tasca dei cittadini, proprio qui sta
rimettendo mano alla regolazione idraulica del territorio, come se si
preparasse per un grande evento. I canali di guardia, a ridosso di Riu S’isca
de Arcosu, il corso d’acqua che si inietta dalla montagna direttamente sulla
pianura, sono cinturati d’arancione, come se il cantiere di manutenzione avesse
ripreso vigore proprio adesso…
Affare del secolo sulle pendici di Monte Arcosu – (02-08-23)
Miami, cuore
della Florida americana, 8.160 chilometri dall'Oasi del Cervo, nell'Isola di
Sardegna, alle pendici del Monte Arcosu. Quando sulla grande laguna di Santa
Gilla i fenicotteri hanno già dispiegato i riflessi rosa sullo specchio acqueo,
mezzogiorno è appena scoccato. Dall'altra parte dell'Oceano, invece, è buio
tosto. Axel Thiemann, amministratore delegato di Sonnedix, la propaggine solare
della JP Morgan, a quell'ora, però, già traguarda il sole di Sardegna. È lui
che da Miami ha dato l'ordine di firmare, e di pagare. Dall'altra parte, nel
cuore di Milano, a due passi dal Duomo, al numero sette di via Hoepli, c'è
Silvia Cazzola, general manager in pectore, che attende il via libera. È il 3
agosto di un anno fa. L'appuntamento è segreto, misterioso. L'ingresso è di
cristallo.
Parola in
codice
La parola in
codice per intrufolarsi nei meandri della city è un indizio: Sandalia, come
l'antica Sardegna. Il portale è circondato, a destra e sinistra c'è Unicredit,
sulla sponda opposta della strada dedicata all'editore svizzero fattosi
italiano, prevale l'effige di Fideuram, senza mai celare quella imponente di
Intesa San Paolo. Qui, in questo crocevia, si vende, si compra, si paga e si incassa.
L'appuntamento delle dodici è riservato.
Miracolati
autoconovocati
Si sono
autoconvocati tre “miracolati”, un benefattore e un notaio. Dario Restuccia,
timbro notarile della Milano che conta, è il padrone di casa. Gli atti sono già
redatti, non resta che leggere e vergare con ceralacca. Niente di quel che si
firma deve trapelare all'esterno. Il contenuto di quei contratti deve restare
blindato, segretato tra le bolle notarili, precluso ai ficcanaso degli affari
altrui. Se non fosse per quel richiamo alle terre di Sardegna, posate alle
pendici del grande Arcosu, sarebbe stato pure comprensibile. Peccato, però, che
in quelle cinque pagine si vende senza colpo ferire un pezzo di Sardegna, che
finisce, senza un sussulto, nelle mani voraci della più grande banca d'affari
americana, la potentissima JP Morgan.
L'ordine da
Miami
Quel via
libera da Miami è un ordine d'acquisto destinato a segnare per sempre il futuro
non solo dell'Isola, ma anche delle future generazioni. Il contenuto di quel
contratto, finito nelle nostre mani, è una “esplosione” finanziaria senza
precedenti, che svela uno dei più vertiginosi affari consumati sulla testa
della Sardegna e dei Sardi. Si tratta di cifre da capogiro, di guadagni che
fanno apparire i fortunati milionari dell'Enalotto dei miseri raccattatori di
fortuna. Quella che stiamo per raccontarvi è molto più di una storia d'affari,
si tratta, semmai, di una confessione “notarile” della ciclopica montagna di
soldi che ruota nel sottobosco di queste operazioni “solari” in terra sarda.
Colpo di
sole
Mai nessuno
avrebbe potuto pensare che quei terreni, venduti per quattro soldi, scippati
all'agricoltura e alla pastorizia, potessero diventare, grazie ad un “colpo di
sole”, delle vere e proprie miniere d'oro, un enclave affaristico solare dove è
possibile moltiplicare l'investimento per migliaia e migliaia di volte. Sì,
migliaia di volte, tutto scritto e documentato, supportato da atti certificati
che scegliamo di pubblicare per stralci vista l'imponenza del contenuto
finanziario.
L'operazione
misteriosa
Quando
davanti al notaio sfilano i “miracolati” c'è un assistente che scandisce i
numeri come se stesse scolpendo l'affare sulle dolomie delle Lepontine. Il
primo a sedersi al cospetto del certificatore è Iacopo Magrini, classe 1970, perugino
di Città di Castello. È l'amministratore unico della sconosciuta “IM
Consulting” la società titolare della bellezza del 15% del capitale sociale
della “Sandalia Green srl”, la compagine societaria che dichiara di possedere
il 100% di «tutti i diritti di sviluppo, i terreni e le autorizzazioni relative
a un progetto per la costruzione e l'esercizio di un impianto fotovoltaico a
terra in agro dei Comuni di Uta e Assemini di potenza pari a 69,52 megawatt»…
Assalto solare, espropri pubblici & affari privati – (06-12-23)
Bisogna
provare a capirli. Stando allo stato anagrafico, tra domicili e residenze
fiscali, non possono che essersi persi. Solo un disorientamento geografico può
aver prodotto atti e procedure tanto intricate da renderle un labirinto, dove
gli stessi attori protagonisti si dimenano tra le Lagune di Venezia e le Terre
di Bari. Del resto non deve essere stato facile sbarcare a ridosso di
Bruncuteula, tra lo “Stagno ‘e Forru” e Paringianu, nel profondo Sulcis.
Eppure, ci sono arrivati. Per sbancare tutto a colpi di cingolati e ruspe, per
ridurre quel territorio, già sfregiato dal calvario industriale, in una lastra
infinita di centomila “specchi abbronzanti” capaci di produrre una montagna di
incentivi e silicio.
Niente di
sardo
Non sono
stati originali nemmeno nel nome della compagine, l’hanno registrata con un riferimento
geografico solo di facciata: “Mag Sardegna srl.”, l’ennesima società a
responsabilità limitata con diecimila euro di capitale per spianare 79 ettari
di terra tra Carbonia, Gonnesa e Portoscuso. In realtà di Sardegna questa “srl”
senza fissa dimora non ha proprio niente. Anzi. Gli atti notarili, omessi dalla
procedura autorizzativa, registrano un quadrilatero d’azione tutt’altro che
usuale, dalla Puglia a Verona, da Venezia a Carbonia. È il notaio di Monopoli,
quello di Bari, a registrare il trasloco. A presentarsi al cospetto della
ceralacca notarile, l’otto febbraio del 2023, è Giuseppe Lillo, un signore che
agisce in nome e per conto di Giuseppe Leonardo Marseglia, il titolare del 100%
delle quote della Mag Sardegna.
Da Venezia a
Bruncuteula
Il passaggio
registrato nelle sacre scritture eoliche è una perla: «il presidente espone
all’assemblea che si rende necessario trasferire la sede sociale da San Pietro
di Morubio» - un borgo di tremila abitanti vicino a Verona - «a Venezia, al
numero 753 dell’Isola della Giudecca», perché nel comune veronese «non vi sono
uffici idonei ad avere la detta funzione». Insomma, sembra uno scherzo, ma non
lo è. Sede amministrativa a Monopoli di Bari, residenza fiscale trasferita da
San Pietro di Morubio al Canale della Giudecca a Venezia, progettisti in via
della Magliana a Roma, terre da invadere a suon di pannelli fotovoltaici a due
passi da Bruncuteula, sulla costa tra Paringianu e Matzaccara, nel profondo sud
dell’Isola di Sardegna. Il castello societario è una piramide senza fine, con
una certezza che non ammette dubbi: i signori della Mag Sardegna non si sono
mai persi…
Monte Arcosu, dalle prugne ai «paradisi fiscali» - (28-12-23)
Terra di
nessuno. Come se quelle pendici a ridosso dell’Oasi del Cervo, dominate dal
Monte Arcosu, fossero diventate di colpo zona franca, dove tutto è consentito,
dove le leggi dello Stato e della Regione si sono fatte in un attimo carta
straccia. I Palazzi di Roma questa volta sono stati solerti come non mai,
pronti a chiudere occhi e ignorare vincoli e divieti. Un blitz, si potrebbe
dire. Questa storia, però, fatta di prugne annientate e paradisi fiscali che
incombono, è molto di più. È l’ultima prova di forza di uno Stato “padrone” che
non guarda in faccia a nessuno, che ignora la storia, calpesta le norme,
cancella senza colpo ferire le più elementari regole della “leale”
collaborazione tra Regione e Comuni, se ne infischia di natura, patrimonio
ambientale e paesaggio.
Carovona di
bulldozer
Più che un
colpo di mano, una carovana di bulldozer pronti a sradicare piante e pascoli,
radere al suolo ogni valore naturalistico, incuranti di pareri contrari e
pericoli incombenti. Sfogliare le carte del procedimento ministeriale di questo
ennesimo ciclopico assalto alle porte di Cagliari è come metter mano ad un
fascicolo processuale, con tanto di “ardite” affermazioni messe nero su bianco
dai novelli “pannellatori” seriali della Sardegna, tutte smentite da “sentenze”
circostanziate, dure e inappellabili, degli uffici regionali e comunali. Il
progetto di pannelli di silicio da piazzare su più di 200 campi di calcio, uno
a fianco all’altro, ha dimensioni senza precedenti, tali da renderlo il più
grande campo fotovoltaico mai “imposto” sul suolo nazionale. Quasi 200 ettari
di terre agricole da trasformare in una distesa di specchi, posizionati in aree
vietate e interdette da norme regionali e statali, in barba alle oasi
naturalistiche imposte dalle disposizioni europee.
La fine
delle terre agricole
Quando il
progetto sbarca in Sardegna è il 31 agosto del 2021. A quel tempo la società
che lo presenta negli uffici di viale Trento ha un nome sconosciuto: «Leta srl»,
società a responsabilità limitata, dislocata niente meno che nella frazione di
Sambuceto, nel comune di San Giovanni Teatino, provincia di Chieti in Abruzzo.
Cosa c’entri la Sardegna, Macchiareddu, l’Oasi del Cervo, con San Giovanni
Teatino è mistero assoluto. Fatto sta, però, che gli uffici amministrativi
della Regione non ci stanno. Il rosario di divieti che sottopongono alla Giunta
regionale per rispedire al mittente quell’occupazione selvaggia di una distesa
infinita di terre agricole è un’enciclopedia di violazioni. La sequenza è un
fuoco incrociato: l'impianto determina una rilevante occupazione di suolo
agrario (circa 179 ha), già infrastrutturato anche per scopi irrigui, il sito
interessa, quasi esclusivamente, secondo il P.U.C. di Uta, aree a destinazione
d'uso agricola “E”, caratterizzate da produzione agricola tipica e
specializzata. Negli atti la Regione rileva “notizie infondate” quando nella
relazione agronomica allegata al progetto si afferma che l'intervento «si pone
l'obiettivo di riqualificare un'area ex agricola marginale, ubicata in
contiguità del polo industriale di Macchiareddu e in un'area fortemente
inquinata». Tutte affermazioni destituite di ogni fondamento. I proponenti,
infatti, scrive la Regione, non forniscono «alcun riscontro in merito
all'entità e alla natura dell'inquinamento». C’è di più nell’affermazione
campata per aria sul degrado della zona: «L'area, infatti, storicamente, - è
scritto nel verdetto della Regione - è sempre stata interessata da attività
agricole, e non risulta degradata da attività antropiche pregresse o in atto,
dunque non è riconducibile alla categoria di “aree da privilegiare per
l'insediamento di impianti di energia rinnovabili». Sarebbe bastato questo
rilievo per spedire tutti gli atti in uffici diversi da quelli amministrativi,
giusto per segnalare che negli atti progettuali, sottoscritti da tecnici di
fatto pubblici ufficiali, veniva rappresentata una realtà totalmente diversa da
quella effettivamente riscontrabile, senza troppi fronzoli, con un sopralluogo
su quell’area a ridosso delle pendici di Monte Arcosu. Che quel progetto fosse
un pugno in faccia a paesaggio e natura lo poteva capire anche un neofita di
pianificazione ambientale. Scrive la Regione: «La costruzione dell'impianto in
esame nell'area prevista, determinerebbe, di fatto, un'estensione della
medesima area industriale, alterando significativamente, il paesaggio agrario
che ancora caratterizza l'area vasta». Sarebbe bastato arrivare a ridosso di
quell’area per incrociare l’ingresso maestoso di quella che fu la “Agricola
Mediterranea”, un’intrapresa agraria che aveva tentato di far concorrenza,
senza riuscirci, ai grandi “prugneti” californiani. Una coltivazione intensiva
di prugne su scala industriale finita male non certo per la qualità dei
terreni, ma per l’azzardo colturale-commerciale…
Romeni, spagnoli e ucraini nei cantieri di JP Morgan – (15-03-24)
Sono andati
a prenderli dall’altra parte del mondo. Dal Sud America all’Ucraina, dalla
Romania alla Spagna. Da terra di nessuno a enclave straniera alle pendici di
Monte Arcosu. Dal promontorio di Santa Gilla è un attimo immergersi nella
sconfinata devastazione di silicio “solare” “spiaccicato” in migliaia di ettari
impunemente sottratti alla natura e alle terre agricole.
Checkpoint
Arcosu
Qui, ti può
capitare di tutto. Certamente non si passa inosservati. Se varchi quella sorta
di “Checkpoint Charlie”, tra il confine sardo e quello “di fatto”
americano, tra la zona industriale di Macchiareddu, mortificata da inquinanti
fallimenti della storia, e i poderi che gli Yankee, quelli della più potente
banca d’affari d’America, la JP Morgan, hanno conquistato a colpi di vagonate
di dollari, rischi in un attimo di trovarti circondato da guardie giurate
armate come se fossimo nei caveau di Fort Knox. Centinaia di telecamere,
direzionali e rotanti, piazzate in ogni angolo di questo surreale paesaggio,
stravolto in pochi mesi da migliaia di pannelli fotovoltaici impressionati sul
terreno come se non ci fosse un domani.
Wall street
osserva
I martelli
perforanti avanzano come se non dovessero perdere nemmeno una battuta delle
quotazioni di Wall Street, la Borsa finanziaria nel cuore di New York. Ogni
giorno di luce solare in più, catturata da quella distesa infinita di specchi,
è una catena di slot machine che riempie lo sconfinato portafoglio dei potenti
finanzieri d’alto bordo sparsi in tutto il mondo. L’Oasi del Cervo,
nell’esclusiva riserva di Monte Arcosu, la più vasta estensione di
macchia-foresta e foresta mediterranea d'Europa, è stravolta per sempre.
Qualsiasi sia l’orientamento della vista non c’è un solo sguardo che non resti
abbagliato da un’operazione “coloniale” senza precedenti, con risvolti che
aprono scenari drammaticamente sprezzanti per la Sardegna e i sardi.
Scudieri di
guardia
I cantieri
sono numerati, cancelli e presidio attivo ovunque, con ronde auto-munite e
stanziali.Da proteggere c’è quel “ben di Dio” che finirà, tra vendita di
energia a caro prezzo e incentivi miliardari, solo ed esclusivamente nelle
casse della potentissima banca d’America. Addentrarsi in questa gigantesca
opera di “impermeabilizzazione” dei terreni agricoli, significa toccare con
mano il fiato sul collo di “scudieri” che con un monitor vigilano su centinaia
di lavoratori sparsi in uno scacchiere che solo la Sonnedix, capitale americano
in terra sarda, poteva mettere in campo. Centoventi campi di calcio, uno a
fianco all’altro. Progetto da capogiro, con una società da diecimila euro
venduta al braccio solare della JP Morgan per la bellezza di 33 milioni di
euro. Un’operazione finanziaria senza precedenti. Una giravolta di società che
nel cartello di cantiere si sintetizza con la «Sandalia Solar Farm», una srl da
diecimila euro, registrata in Corso Buenos Aires a Milano. L’ingresso di
“sardi” nel compendio straniero fa scattare immediatamente l’allarme. Via radio
parte l’allerta rivolta ai lavoratori sparsi qua e là: non parlate con nessuno.
Temono le telecamere, palesi e nascoste, come se avessero il timore di svelare
chissà quale segreto. Ne hanno ben donde. Nei piani d’azione, quelli depositati
al Ministero della “fantomatica” transizione ecologica, avevano impunemente
dichiarato ricadute miracolose per la Sardegna e i sardi, per i territori e per
i giovani “locali” affamati di lavoro. Parole al vento, fatte trasecolare come
neve al sole. Il Vhf delle ricetrasmittenti, però, non arriva
dappertutto. Il blitz giornalistico è articolato, in contemporanea su più
fronti, nei poli opposti di questo cantiere senza fine. Quando il primo
registratore video irrompe nel cantiere a sud, i lavoratori sono sparsi in un
lotto di non meno di 20 ettari. Per “beccare” il primo nucleo straniero bisogna
impolverarsi in una vecchia stradina di campagna trasformata in autostrada per
tir e bulldozer. Lo sguardo di tutti è sincronizzato verso il basso, nel
tentativo di eludere la presenza di forestieri venuti in avanscoperta in quella
terra ormai straniera. La casacca è esplicita: Matosca solar, sede fiscale a
Valenzia, Spagna autentica. Tutto fuorché impresa sarda.Sono loro i primi
lavoratori che svelano il mistero di Monte Arcosu: “aquí todos somos
españoles”, “qui, in questo cantiere, siamo tutti spagnoli”. Di italiano
non spiccicano nemmeno una parola, ma lo capiscono. Raccontano la vita sarda in
terra di pannelli fotovoltaici: in cantiere alle sette e trenta del mattino
sino alle diciassette. La vita è sparsa tra residenze improprie, tra Capoterra,
Uta, Assemini, ma non solo. I pulmini marchiati spagnolo con targhe straniere,
svolgono la funzione del “solar-bus”, caricano - scaricano, e ritorno, con
tante fermate. Altro nucleo, più ad est, verso la pedemontana, è nelle mani della
Solergy MontaJes, altri spagnoli. Questa volta residenza fiscale a
Villarrobledo, nella provincia di Albacete, nella comunità autonoma di
Castilla-La Mancha…
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