Privatizzazione
Poste Italiane. A l'AntiDiplomatico diamo la parola ai lavoratori - Giulia Bertotto
La proposta di privatizzazione di Poste Italiane sta riempiendo - e a ragione vista la portata storica, economica e anche democratica che comporta - le prime pagine dei giornali. Poste Italiane venne fondata nel 1862 nell’Italia post-unitaria, originariamente col nome di Ente Poste Italiane (EPI), convertita in società per azioni nel 1998. Nel 2022 presentava un fatturato di 11,8 miliardi di euro.
Il decreto della presidenza del Consiglio dei ministri per la
privatizzazione di Poste Italiane è stato inviato alla Camera per l’esame delle
Commissioni competenti. Alla proprietà pubblica resterà una quota minima del
35%. Attualmente Poste Italiane è controllata per il 29,26% dal Ministero
dell’Economia e delle Finanze, per il 35% da Cassa Depositi e Prestiti (una SpA
controllata dal Ministero dell'Economia e delle Finanze) e il restante da
investitori istituzionali e retail (vendita al dettaglio).
Abbiamo intervistato due dipendenti romani, un portalettere e una addetta
ai lavori interni, i quali preferiscono tutelarsi restando anonimi.
La parola a loro. Ai lavoratori.
Perché volete evitare la privatizzazione di Poste Italiane?
La nostra lotta contro la privatizzazione dei Poste Italiane come cittadini
italiani e come lavoratori. Fin dalla sua Fondazione PI è stato un ente che ha
avuto un ruolo nell’Unità d’Italia, è quindi un’istituzione storica che ha
contribuito anche alla rinascita degli italiani dopo le Guerre, rappresentando
un punto di rilancio e forza del nostro paese. Poste Italiane è un baluardo
solido per i risparmi della cittadinanza. Inoltre i suoi uffici sono così
capillarmente diffusi sul territorio nazionale, che questa privatizzazione
significherebbe mettere fisicamente la penisola nelle mani di un privato. In
ogni piccolo paese c’è una chiesa, una farmacia, un bar e sicuramente un
ufficio postale. Buoni fruttiferi, libretti, conti correnti, PI è una realtà
concreta nella nostra vita. Affidare tutto questa ricchezza -o anche una parte
di essa- a un privato, è pericoloso, sconcertante. Come lavoratori ipotizziamo
che il privato si libererà presto di settori aziendali meno remunerativi (a
differenza del ramo finanziario) e che non fanno alti profitti come il recapito.
Di conseguenza ipotizziamo minore tutela del lavoratore che comporterà un
taglio dei posti e un ulteriore aumento della mole di lavoro. Quindi un futuro
“alla Amazon”, con turni disumani, tutele irrisorie, assenza di permessi (il
vecchio contratto prevede PIR, mentre gli assunti dal 2019 beneficiano solo di
malattia e ferie ma non di permesso retribuito e sono cedibili con il ramo
d'azienda). Ricordiamo che il postino che deve uscire in tutte le condizioni
comprese pioggia e neve sui motomezzi e che durante il lockdown non ha smesso
nemmeno per un giorno di recapitare beni di prima necessita e non a chi era
costretto in casa.
Ci saranno svantaggi anche per i cittadini che usufruiscono dei servizi
offerti?
Certamente, purtroppo. Poste Italiane oggi è una società che possiede
grandissimi utili, il Governo nel 2023 ha preso utili per 600 milioni di euro.
Perché PI venderebbe a 3,8 miliardi circa, almeno il 29% delle quote azionarie
se ad esempio in sette anni il guadagno sarebbe superiore a quello attuale? La
domanda dovrebbe allarmare non solo i lavoratori ma tutti i cittadini. Stanno
vendendo un pezzetto di Stato italiano e il rischio è quello di andare oltre
perché Cassa Depositi e Prestiti che detiene al momento il 35% delle restanti
quote (se vendessero solo quel 29%) è già un tassello di privatizzazione. Cassa
Depositi e Prestiti è la banca da cui lo stato attinge per effettuare tutte le
sue operazioni, e svendendo PI si svenderà una quota di essa ai privati. Dentro
questa percentuale figura anche la Goldman Sachs. Attori privati potranno
gestire il denaro pubblico delle nostre tasse e anche dei nostri risparmi.
Il privato accetta il rischio d’impresa, osa, il pubblico ha la priorità e
il dovere di tutelare i cittadini, dove finiranno queste garanzie sociali?
La ricaduta sui lavoratori e quindi sulle loro famiglie sarà spietata. Chi
ha un vecchio contratto di lavoro forse è più al sicuro ma i nuovi lavoratori
assunti con i nuovi contratti non lo sono affatto. Loro sono come dei codici a
barre, nel loro contratto c’è scritto che possono essere ceduti a terzi in caso
di necessità. PI potrebbe venire divisa in due come è successo ad Alitalia. I
report relativi a studi bancari, ad esempio quello di Medio Banca parlano di
una vendita già realizzata e di tagli del 25% del personale. Questi sono tutti
utili per gli investitori e rendono appetibili le quote. Ma questo non conviene
certo ai cittadini che perderanno personale agli sportelli.
Ci sarà ancora il servizio pubblico? Questa è una di quelle domande che
dobbiamo porci anche in riferimento al servizio sanitario del nostro paese. Il
processo di privatizzazione è un metodo di esproprio alla cittadinanza dalle
braccia lunghe...
Sì, coloro che ci governano da sinistra a destra svendono a terzi ciò che a
loro neppure appartiene, ma che appartiene alla collettività che paga le tasse.
Il servizio pubblico è invece fondamentale dal punto di vista politico perché
bilancia i poteri, ma anche sul piano sociale, gli uffici sono una istituzione
nella comunità.
Del resto lo slogan PI non è “Il cambiamento siamo noi"?
Lo chiamano “futuro” ma si deve intendere “profitto”. Attribuire ai privati
il taglio del personale li solleva agli occhi dell’opinione pubblica che non è
informata dei fatti o che non ha compreso l’operazione in corso, dalla
responsabilità di una strage sociale.
Come si esprimono i sindacati sulla situazione?
La CGIL, la UIL e i COBAS, si stanno mobilitando attraverso inizi di
protesta, rimane fuori la CISL. PI ha 120 mila lavoratori, più della metà sono
iscritti alla CISL, sindacato che detiene quindi la maggioranza delle deleghe e
dunque costituisce questa grossa fetta di rappresentanza quando va a trattare
con gli AD. Vuol dire che se la CISL rimane fuori da questa
contrattualizzazione, siamo davanti a un problema. Probabilmente questo
sindacato non entrerà in lotta contro la privatizzazione perché nelle prossime
elezioni politiche ci sarà un candidato europarlamentare legato all’esecutivo
Meloni, quindi andrebbero contro iniziative governative. Questo il quadro
fantapolitico intricato e fatale. Il nostro intento è attivare i lavoratori al
di là di ogni sigla e dei colori politici. I lavoratori possono fare moltissimo
se riescono ad andare oltre le ideologie e ad organizzare un movimento a prescindere
dalle bandiere.
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