quando si
danno i numeri e le prove visive di una nuova emergenza sociale è buona regola
fermarsi a riflettere un poco, prima di dare fiato all’isteria indotta dalle
fibrillazioni comunicative di massa; dunque, posto che quando ero giovane ho
avuto sempre in odio il nonnismo nelle caserme, le cingomme nelle gettoniere
delle cabine telefoniche ed anche l’uso delle bombolette spray sui finestrini
dei treni, oggi ho messo a tacere per qualche minuto il mio odio e ho provato a
rifletterci un po’, mentre mi scorreva davanti la triste immagine di un
professore sopraffatto dalla paura in una scuola di lucca, nella quale andava
in scena la stomachevole esibizione di forza e di disprezzo di un gruppo di
alunni in azione contro di lui;
poiché
l’allarme in genere complica il problema, in primo luogo dobbiamo aver chiaro
se ci troviamo di fronte a una inedita situazione di emergenza oppure se si
tratta di un fenomeno fisiologico, per quanto aberrante, amplificato soltanto
dal gioco moltiplicativo dei cellulari, di facebook, e delle notizie di
agenzia; ci si dovrebbe anche chiedere, sommessamente, chi di noi non è mai
stato bullo una volta nella vita; aperta questa domanda, la rammemorazione di
cosacce fatte sui sedili degli autobus o degli scherzetti malvagi alle
supplenti dai tempi della nostra gioventù può cominciare a riempirsi di antiche
sconcezze;
tuttavia, se
non in termini quantitativi, una differenza in questi comportamenti
para-criminali oggi probabilmente c’è, e consiste nel praticarli sempre più a
viso aperto, in branco e con totale senso di impunità, tanto da ricercarli come
momento massimamente significante della propria giornata e come chiave pubblica
della stima di sé: in sintesi, un vero schifo o meglio un vero harakiri della
condotta, in quanto il massimo della viltà viene vissuto dai protagonisti come
il massimo del coraggio;
in questa
fenomenologia vi è insieme qualcosa di innato, poi qualcosa di ricorrente, e
infine qualcosa di inedito; è innata la pulsione aggressiva, è ricorrente la
sfida iniziatica ma è inedito il contesto relazionale; dunque bisogna
riflettere sul fattore nuovo rispetto al passato, cioè il contesto relazionale;
il bullo non
è tale tra sé e sé, esso piuttosto si trasfigura in bullo nella sua sua
immagine pubblica: quindi il bullismo presenta a suo modo un bisogno di
socialità e paradossalmente questo è un bene; ciò significa che non è il
soggetto bullesco ad essere primariamente malato, ma è il suo ambiente di vita
ad essere asfittico, gramo ed anaffettivo senza rimedio; il bullo non è altro
che un pupo lasciato solo e allo sbando nella sua interminabile emancipazione
dalla pupaggine; il bullo è il travestimento compensativo della gabbia pupesca;
questo
spiega il carattere dissociato della personalità, una personalità generalmente
ancora pupa per mamma e papà e violenta e tracotante per professori e autisti
di bus; e allora che fare?
io credo che
sia necessario tenere come bussola il recupero della soggettività residua:
rendere possibile al pupo-bullo la chance della riflessione o almeno la prova
di azioni scevre da miti di competizione, cosa che nel loro genere facevano una
volta le frequentazioni dei nonni, i lavoretti alla stalla di casa, i riti di
iniziazione e cose come i boy scout: tutte cose che oggi non esistono più e che
se esistono sono annichilite per l’invasione di ogni spazio psichico da parte
della comunicazione via smart;
procedere a
questo, il recupero della soggettività residua in un adolescente deprivato di
una misura di sé, esige la presenza di genitori capaci di dare pazientemente un
senso alle cose, la presenza di professori capaci di dedizione e di ironia e la
presenza di presidi della scuola che non siano dirigenti di una stanza
burocratica con lo stipendio più alto e la foto imbandierata del presidente
della repubblica, ma titolati al compito da un voto dei professori stessi;
insomma
voglio dire che tutta questa pappa della burocratizzazione della scuola e della
cosiddetta meritocrazia ha esasperato le deficienze del sistema scolastico, in
specie a fronte delle situazioni di collassamento della soggettività
adolescenziale: il sistema merita quindi certamente dei calci in culo, ma è un
vero peccato che i calci in culo li prenda un povero docente afflitto anche da
pavidità piuttosto che una cupola ministeriale tronfia ed idiota.
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