venerdì 4 maggio 2018

Ero in prigione… e non avete permesso a me di visitarti - Leonardo Boff




Vangelo di Matteo. Scena altamente drammatica. “Giudizio finale”. È la pubblicazione del destino definitivo di ogni essere umano. Il Giudice supremo non domanderà a quale religione, a quale chiesa appartenevi, se ne hai accettato i dogmi, con che frequenza andavi a messa la domenica.
Questo giudice, rivolgendosi ai buoni, dirà: venite benedetti da mio padre, entrate, prendete possesso del regno pronto per voi da quando il mondo è stato creato; perché avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, pellegrino e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e siete venuti a vedermi, ero in prigione e siete venuti a trovarmi…Tutte le volte che avrete confortato uno di questi miei fratelli e sorelle più piccoli… l’avrete fatto a me… e quando avrete lasciato di farlo a uno di questi piccoli, sarà stato a me che l’avrete negato (Mt 25,35-45).
In questo momento supremo, sono i comportamenti e non le prediche ai sofferenti di questo mondo che avranno valore. Se saremo andati incontro alle loro necessità, allora udiremo quelle parole benedette.
Questa esperienza è stata vissuta dal Premio Nobel per la pace (1980), l’argentino Adolfo Perez Esquivel (1931), architetto e scultore rinomato, grande attivista dei diritti umani e della cultura della Pace, oltre ad essere profondamente religioso. Per me ha sollecitato le autorità giudiziarie brasiliane per ottenermi il permesso di visitare in carcere l’ex Presidente, amico da molti anni.
Dall’Argentina Esquivel mi ha telefonato e nel Twitter era stata riassunta la conversazione in una specie di Yotube. Saremmo andati insieme, visto che io avevo ricevuto il cosiddetto Nobel Alternativo della pace nel 2001 (Award the right livelihood) del parlamento Svedese. Ma io li avvisai che la mia visita era per adempiere al precetto Evangelico, quello di “visitare chi sta in carcere” oltre che abbracciare Lula amico da 30 anni. Volevo rafforzare la tranquillità dell’anima, che sempre aveva mantenuto. Mi confessò, poco prima di essere arrestato: la mia anima è serena, perché non mi accusa di niente e mi sento portatore della verità che possiede una forza propria e che si manifesterà quando verrà il suo tempo.
Arriviamo a Curitiba, Esquivel e io in orari differenti il giorno 18 aprile. Andiamo direttamente al grande Auditorum dell’Università federale del Paranà, pieno di gente, per un dibattito sulla democrazia, diritti umani e crisi Brasiliana al suo punto più alto nella condanna e carcerazione di Lula. Presenti le autorità universitarie, l’ex-ministro degli Esteri Celso Amorim, rappresentanti dell’Argentina, del Chile, del Paraguay, della Svezia e di altri paesi. Cantano bellissime canzoni Latino-Americane, con la voce sonora dell’ attrice e cantante Letìcia Sabatella. Squadre di Afro discendenti, alternandosi, danzano e cantano con i loro tradizionali costumi colorati. Vengono fatti pronunciamenti vari. Lo scoraggiamento generale come attraverso un tocco di magia, crea un’atmosfera di amicizia e di speranza che il golpe di Stato parlamentare, giuridico mediatico non potrebbe tracciare nessun futuro per il Brasile. Anzi, si aprirebbe un ciclo di dominazione delle élites del ritardo per aprire un sentiero alla democrazia venuta dal basso, partecipativa e sostenibile.
Già prima della sessione ci fu comunicato che la Ministra della Giustizia, Caterina Moura Lebbos, braccio diretto del giudice Sergio Moro, aveva proibito la visita che volevamo fare all’ex presidente Lula.
Questa Ministra non aveva capito un bel niente dell’alto significato di cui è portatore un premio Nobel per la pace. Lui ha il previlegio di andare in giro per il mondo, visitare i detenuti e luoghi di conflitto con l’obiettivo di promuovere il dialogo e la pace. Ci aggrappiamo al documento del Onu del 2015 che per convenzione si chiama “Regole di Mandela” e che tratta di prevenzione al crimine e di giustizia criminale. È lì che si abborda anche la parte della visita ai carcerati. Il Brasile era stato uno dei più attivi nella formulazione di queste regole anche se nel suo territorio non se ne tiene conto.
Ma, tutto inutile. La Ministra Lebbos semplicemente negò. Il giorno seguente 19 di aprile, arrivammo a un accampamento dove centinaia di persone fanno una veglia vicino al dipartimento della giustizia federale, dove Lula è detenuto. Gridano “Bongiorno, Lula” “Lula libero” e altre parole di incoraggiamento e speranza che lui nel suo carcere ha potuto ascoltare perfettamente.
Poliziotti dappertutto. Proviamo a parlare con il capo, per essere ricevuti dal responsabile della polizia federale.
Ma sempre veniva la stessa risposta: non è possibile, Ordini superiori. Dopo molte insistenze con scambi di telefonate, nei due sensi, Esquivel, ottenne un’udienza con il Sovrintendente dell’Istituto di pena. Spiegò il motivo della visita, umanitaria e fraterna a un vecchio e caro amico. Per quanto Perez Esquivel tentasse ragionamenti e facessi valere il suo titolo di premio Nobel per la pace, riconosciuto mondialmente e rispettato, udiva sempre lo stesso ritornello: non è possibile, ordini superiori.
E così a testa bassa ritornammo in mezzo al popolo. Io personalmente insistevo che la mia visita era puramente spirituale. Io portavo due libri Il signore è il mio pastore non manco di nulla, un commentario minuzioso che realmente alimenta la fiducia. L’altro libro è del nostro migliore esegeta, Carlos Mesters La missione di popolo che soffre che descrive lo scoraggiamento del popolo Ebreo in esilio a Babilonia, dove era confortato dai profeti Isaia e Geremia e come a partire da questo, rafforzò il senso della sua sofferenza e della sua speranza.
Nel dipartimento della polizia federale tutto era proibito. Nemmeno un piccolo biglietto da inviare all’ex-presidente.
In mezzo al popolo parlarono vari rappresentanti dei gruppi, specialmente una coppia svedese che sostiene la candidatura di Lula a premio Nobel per la pace. Parlammo io e Perez Esquivel rafforzando la speranza che finalmente quella energia pesante che sostiene quelli che lottano per la giustizia e per un altro tipo di democrazia. Lui annunciò che lanciava una campagna elettorale per Lula come candidato a Premio Nobel della pace. Già migliaia in tutto il mondo hanno sottoscritto. Lula ha tutti requisiti per questo, specialmente la politica sociale che ha tolto migliaia persone dalla fame e dalla miseria e il suo impegno per la giustizia sociale base della pace.
Molte furono le interviste sui mass media, nazionali e internazionali. alcuni foto dell’evento cominciarono girare il mondo e esprimevano solidarietà molti paesi e molti gruppi.
Qui abbiamo toccato con mano che viviamo sotto un regime di eccezione nella forma di un golpe soft che sequestra la libertà e nega diritti umani fondamentali.
La carenza di spirito dei nostri giudici della “lava Jato” e la negazione di un diritto assicurato da un premio Nobel della pace di visitare un suo amico incarcerato nello spirito di pura umanità e di calorosa solidarietà, fa vergognare il nostro paese. Purtroppo comprova che effettivamente siamo in una logica che nega la democrazia in un regime di eccezione.
Ma il Brasile è più grande della sua crisi. Purificati, usciremo migliori e orgogliosi della nostra resistenza e della nostra indignazione e del coraggio di riscattare a partire dalla strada attraverso elezioni uno stato di diritto. Non dimenticheremo mai le parole sacre: “io stavo in prigione e tu non hai permesso a nessuno di venirmi a trovare”.
Leonardo Boff è testimone oculare dei fatti qui narrati.

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