Da dicembre 2017 fino ad aprile 2018 la clinica mobile di Medici per i
Diritti Umani (MEDU) ha operato per il quinto anno consecutivo nella Piana di Gioia
Tauro prestando assistenza socio-sanitaria ai lavoratori migranti che anche
quest’anno si sono riversati nella zona durante la stagione agrumicola.
Almeno 3500 persone, distribuite tra i vari insediamenti informali sparsi
nella Piana, hanno fornito anche quest’anno manodopera flessibile e a basso
costo ai produttori locali di arance, clementine e kiwi.
Condizioni lavorative di sfruttamento o caratterizzate da pratiche illecite
e situazioni abitative di degrado e marginalizzazione continuano a rappresentare
i caratteri dominanti in un contesto dove poco è cambiato rispetto agli anni
passati.
La gran parte dei braccianti continua a concentrarsi nella zona industriale
di San Ferdinando, a pochi passi da Rosarno, in particolare nella vecchia
tendopoli (che accoglie almeno il 60% dei lavoratori migranti stagionali della
zona), in un capannone adiacente e nella vecchia fabbrica a poche centinaia di
metri di distanza.
Sono circa 3000 le persone che trovano alloggio qui, tra cumuli di
immondizia, bagni maleodoranti e fatiscenti, bombole a gas per riscaldare cibo
e acqua, pochi generatori a benzina, materassi a terra o posizionati su vecchie
reti e l’odore nauseabondo di plastica e rifiuti bruciati.
Le preoccupanti condizioni igienico-sanitarie, aggravate dalla mancanza di
acqua potabile, ed i frequenti roghi che hanno in più occasioni ridotto in
cenere le baracche ed i pochi averi e documenti degli abitanti (l’ultimo, il 27
gennaio scorso, ha registrato una vittima, Becky Moses, ed ha lasciato senza
casa circa 600 persone nella vecchia tendopoli) rendono la vita in questi
luoghi quanto mai precaria e a rischio.
Gli interventi istituzionali restano frammentari, parziali e inefficaci.
Nel mese di agosto dell’anno scorso è stata allestita un’ennesima
tendopoli, la terza in ordine di tempo, che non ha tuttavia fornito una
risposta adeguata – dal punto di vista numerico, logitico e dei servizi offerti
– ai bisogni alloggiativi dei lavoratori migranti: con 500 posti disponibili a
fronte delleoltre 3000 persone presenti, in assenza di assistenza medica,
sanitaria e socio-legale e di mediatori culturali, si tratta ancora una volta
di una soluzione di carattere puramente emergenziale, che confina le persone in
una zona isolata e lontana da qualsiasi possibilità di integrazione ed
inserimento sociale.
Un numero difficilmente quantificabile di persone si distribuisce anche tra
i numerosi casolari abbandonati che popolano le campagne della Piana e che
accolgono i lavoratori migranti tra mura umide e fredde, senza luce né bagni,
mentre l’acqua viene attinta da fontane nei dintorni e trasportata in
contenitori in bilico sulle biciclette.
Nei cinque mesi di attività la clinica mobile di MEDU ha prestato
assistenza a 484 persone,
realizzando in totale 662 visite.
Si tratta per lo più di giovani lavoratori, con un’età media di 29 anni,
provenienti dall’Africa sub-sahariana occidentale (soprattutto Mali, Senegal,
Gambia, Guinea Conakry e Costa d’Avorio). Non mancano le donne, circa 100
provenienti dalla Nigeria, quasi certamente vittime di tratta a scopo di
prostituzione.
Il 67% delle persone assistite è in Italia da meno di 3 anni, ma c’è anche
chi vive nel paese da più di 10 anni (4,4%) ed è finito nel ghetto di San
Ferdinando-Rosarno dopo aver perso il lavoro nelle fabbriche del nord Italia o
dopo aver perso il titolo di soggiorno (soprattutto di lavoro, per mancanza di
risorse economiche ritenute sufficienti al rinnovo).
Più della metà dei pazienti ha una conoscenza scarsa della lingua italiana,
a testimonianza delle gravi carenze del sistema di accoglienza, di cui la
maggior parte delle persone ha usufruito.
Dal punto di vista giuridico, oltre il 90% dei lavoratori incontrati è
regolarmente soggiornante (92,65%, con un aumento di 13 punti percentuali
rispetto alla scorsa stagione).
La maggior parte è in possesso di un permesso di soggiorno per motivi umanitari (45%) o per richiesta asilo (41,4%, di cui il 33% ricorrenti in primo o secondo grado avverso la decisione negativa della Commissione Territoriale). Oltre il 7% è titolare di un permesso per protezione interna- zionale (asilo o protezione sussidiaria).
La maggior parte è in possesso di un permesso di soggiorno per motivi umanitari (45%) o per richiesta asilo (41,4%, di cui il 33% ricorrenti in primo o secondo grado avverso la decisione negativa della Commissione Territoriale). Oltre il 7% è titolare di un permesso per protezione interna- zionale (asilo o protezione sussidiaria).
Nonostante la regolarità del soggiorno, meno di 3 persone su 10 lavorano
con contratto (27,82%), con un lieve, ma insufficiente, incremento rispetto
agli anni precedenti: erano il 21% nella stagione 2016-2017, l’11% nella
stagione 2014-2015).
Nella quasi totalità dei casi, tuttavia, il possesso della lettera di assunzione o di un contratto formale non si accompagna al rilascio della busta paga, alla denuncia corretta delle giornate lavorate ed al rispetto delle condizioni di lavoro così come stabilite dalla normativa nazionale o provinciale di settore e l’accesso alla disoccupazione agricola risulta precluso alla gran parte dei lavoratori.
Nella quasi totalità dei casi, tuttavia, il possesso della lettera di assunzione o di un contratto formale non si accompagna al rilascio della busta paga, alla denuncia corretta delle giornate lavorate ed al rispetto delle condizioni di lavoro così come stabilite dalla normativa nazionale o provinciale di settore e l’accesso alla disoccupazione agricola risulta precluso alla gran parte dei lavoratori.
Si tratta di dati particolarmente allarmanti, che denotano condizioni
lavorative di sfruttamento o caratterizzate dal mancato rispetto dei diritti e
delle tutele fondamentali dei lavoratori agricoli , che pure rappresentano
tuttora il carburante per l’economia locale.
Dal punto di vista sanitario, le precarie condizioni di vita e di lavoro
pregiudicano in maniera importante la salute fisica e mentale dei lavoratori
stagionali.
Tra le patologie più frequentemente riscontrate, le principali interessano
infatti l’apparato respiratorio (22,06% dei pazienti) e digerente (19,12%),
riconducibili allo stato d’indigenza e di precarietà sociale e abitativa, ed il
sistema osteoarticolare (21,43%), da ricollegare particolarmente ad un’intensa
attività lavorativa.
Alcune persone inoltre presentano segni riconducibili a torture e trattamenti inumani e degradanti, per lo più connessi alla permanenza in Libia, e disturbi di natura psicologica. Sotto il profilo dell’integrazione sanitaria, circa la metà dei pazienti risulta iscritta al Servizio Sanitario Nazionale ed è in possesso di tessera sanitaria in corso di validità (48,64%), ma solo il 50% di questi ha un medico di medicina generale.
In generale, i diritti connessi all’accesso alle cure sono poco conosciuti e la maggior parte dei pazienti non sa a cosa serva la tessera sanitaria né dell’esistenza di un medico di base di riferimento.
Alcune persone inoltre presentano segni riconducibili a torture e trattamenti inumani e degradanti, per lo più connessi alla permanenza in Libia, e disturbi di natura psicologica. Sotto il profilo dell’integrazione sanitaria, circa la metà dei pazienti risulta iscritta al Servizio Sanitario Nazionale ed è in possesso di tessera sanitaria in corso di validità (48,64%), ma solo il 50% di questi ha un medico di medicina generale.
In generale, i diritti connessi all’accesso alle cure sono poco conosciuti e la maggior parte dei pazienti non sa a cosa serva la tessera sanitaria né dell’esistenza di un medico di base di riferimento.
Oltre che alle attività di cura, il team della clinica mobile si è dedicato
all’orientamento ai servizi socio-sanitari territoriali, anche al fine di
aumentare la consapevolezza dei pazienti in relazione ai propri diritti.
La dispersione sul territorio e la difficoltà a raggiungere autonomamente tali servizi, gli orari di accesso limitati e la complessità delle procedure da seguire rendono tuttavia il percorso di accesso alle cure frammentato e di difficile comprensione.
La dispersione sul territorio e la difficoltà a raggiungere autonomamente tali servizi, gli orari di accesso limitati e la complessità delle procedure da seguire rendono tuttavia il percorso di accesso alle cure frammentato e di difficile comprensione.
Non sono mancate, nel corso degli ultimi anni, le dichiarazioni da parte
delle istituzioni per un maggiore impegno in direzione di un miglioramento
delle condizioni complessive di vita e lavoro dei braccianti stagionali: dal
“Protocollo operativo in materia di accoglienza ed integrazione degli immigrati
nella Piana di Gioia Tauro”, firmato a febbraio 2016 dalle principali
istituzioni territoriali (Prefettura, Regione, Provincia di Reggio Calabria,
Comuni di Rosarno e San Ferdinando) in cui si delineava un impegno ad
assicurare “la individuazione e celere realizzazione di politiche attive di
accoglienza ed integrazione nel tessuto sociale locale […]” fino al
recente Protocollo sottoscritto a marzo 2018 per la partecipazione della Città
metropolitana di Reggio Calabria agli interventi in materia di inclusione dei
cittadini immigrati nell’area del Comune di San Ferdinando, che prevede lo
sviluppo di iniziative progettuali di integrazione sociale e di inserimento
lavorativo degli stranieri specie in agricoltura. O ancora, l’adozione della “Convenzione di cooperazione per il contrasto al caporalato e al
lavoro sommerso e irregolare in agricoltura” adottata dalla Regione
Calabria a dicembre 2016, volta a favorire il libero mercato del lavoro nel
settore agricolo e a prevenire forme illegali di intermediazione di manodopera
e il lavoro irregolare, che prevedeva anche di promuovere “politiche abitative
in favore dei lavoratori agricoli stagionali” e l’istituzione da parte dei
Centri per l’Impiego di liste di prenotazione, così come l’attivazione di
Sportelli Mobili Funzionali in prossimità dei luoghi di stazionamento dei
lavoratori stagionali stranieri.
Nella stessa direzione andava la nomina governativa del Commissario straordinario per l’area di San Ferdinando, ad agosto dello scorso anno, con il compito di adottare un piano di interventi per il risanamento dell’area interessata, “anche al fine di favorire la graduale integrazione dei cittadini stranieri regolarmente presenti nei territori interessati...”
Nella stessa direzione andava la nomina governativa del Commissario straordinario per l’area di San Ferdinando, ad agosto dello scorso anno, con il compito di adottare un piano di interventi per il risanamento dell’area interessata, “anche al fine di favorire la graduale integrazione dei cittadini stranieri regolarmente presenti nei territori interessati...”
Quello che si è registrato finora è tuttavia un impegno sulla carta e a
parole che non si è ancora tradotto in azioni concrete in grado di porre limiti
al degrado e allo sfruttamento e di dare il via ad un processo di inclusione
reale e tangibile capace di generare ricadute positive a beneficio di tutto il
territorio.
Otto anni dopo la cosiddetta “rivolta di Rosarno” , i grandi ghetti di
lavoratori migranti nella Piana di Gioia Tauro rappresentano ancora uno
scandalo italiano, rimosso, di fatto, dal dibattito pubblico e dalle
istituzioni politiche, le quali sembrano incapaci di qualsiasi iniziativa
concreta e di largo respiro.
Oggi più che mai, la Piana di Gioia Tauro è il luogo dove l’incontro tra il sistema dell’economia globalizzata, le contraddizioninella gestione del fenomeno migratorio nel nostropaese e i nodi irrisolti ella questione meridionale produce i suoi frutti più nefasti.
Oggi più che mai, la Piana di Gioia Tauro è il luogo dove l’incontro tra il sistema dell’economia globalizzata, le contraddizioninella gestione del fenomeno migratorio nel nostropaese e i nodi irrisolti ella questione meridionale produce i suoi frutti più nefasti.
Ancora una volta MEDU si trova a denunciare le vergognose condizioni di
vita e di lavoro in cui si trovano costretti a vivere migliaia di lavoratori
stranieri nel nostro Paese, in assenza di misure e azioni concrete da parte
delle istituzioni e della politica.
Medici per i Diritti Umani avanza pertanto le seguenti raccomandazioni di
medio e lungo termine per contribuire al superamento delle criticità descritte:
Condizioni abitative:
Si avvii un programma pluriennale di housing sociale, promuovendo
iniziative per l’inserimento abitativo diffuso e servizi di intermediazione
abitativa, con indicazioni chiare di tempistiche e fondi a disposizione per
permettere con tempi certi il superamento delle misure emergenziali e
contrastare la marginalizzazione – fisica e sociale – dei lavoratori stranieri.
Ogni ipotesi di sgombero venga concordata nelle modalità e tempistiche con
gli abitanti degli insediamenti e si delineino preventivamente soluzioni
alternative credibili ed attuabili,
che tengano conto delle esigenze in particolare dei soggetti più
vulnerabili.
Vengano monitorate le condizioni di vita delle donne presenti
nell’insediamento di San Ferdinando, avviando una collaborazione tra i servizi
e gli uffici anti-tratta.
Condizioni lavorative:
Si potenzino i centri per l’impiego come luoghi di riferimento per
l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, con l’attivazione delle liste di
prenotazione per il lavoro agricolo.
Vengano rafforzati i controlli sulle aziende da parte degli Ispettorati del
Lavoro, e si introducano indici di congruità che consentano un più rapido
monitoraggio.
Venga attivata in Calabria la Rete territoriale del lavoro agricolo di
qualità e si introducano incentivi alle imprese agricole che si impegnino a
garantire i diritti dei lavoratori agricoli ed a rispettare le condizioni
contrattuali previste dai CNL e dai CPL.
Venga rafforzato il sistema di trasporto pubblico a beneficio di tutti gli
abitanti della Piana e in modo che permetta anche ai lavoratori di raggiungere
i luoghi di lavoro, dando inoltre attuazione all’impegno degli enti datoriali
in relazione al trasporto dei lavoratori.
Vengano garantite opportunità formative e di specializzazione per i
lavoratori.
I Sindacati riaffermino il proprio ruolo di assistenza ai lavoratori in
condizioni di sfruttamento o di mancato rispetto – anche parziale – delle
previsioni contrattuali.
Accesso alle cure:
Si faciliti l’accesso e la fruibilità dei servizi da parte dei lavoratori
migranti, concentrando tali servizi in luoghi facilmente raggiungibili,
potenziando il sistema dei servizi pubblici e mantenendo orari di apertura
accessibile anche ai lavoratori.
Si provveda al miglioramento complessivo dell’ambulatorio STP/ENI di
Rosarno sanando le deplorevoli condizioni in cui versa, rendendolo aperto ed
accessibili a tutti gli stranieri (inclusi quelli con tessera sanitaria
rilasciata da altra regione) e in grado di fornire orientamento sanitario,
avvalendosi di mediatori culturali e di medici con conoscenze specifiche.
Si investa nella formazione di medici ed operatori sanitari in merito a
salute e migrazione.
Si prevedano interventi e servizi di tutela della salute mentale, particolarmente
necessari in un contesto di estrema precarietà delle condizioni di vita.
Situazione giuridica:
Venga garantito l’accesso alla richiesta d’asilo a chi non ha potuto
accedervi al momento dell’arrivo in Italia, indipendentemente dalla nazionalità
del richiedente.
Vengano velocizzate, anche potenziando gli uffici preposti, le pratiche per
il rinnovo del permesso di soggiorno e l’accesso alla richiesta d’asilo , che
in molti casi costringono per mesi le persone a condizioni di vita di assoluto
degrado.
Venga favorita la concessione di permessi di soggiorno per motivi umanitari
o di altro tipo alle persone che soggiornano da molti anni in Italia e che
hanno perso il titolo di soggiorno per assenza dei requisiti.
Si favorisca la registrazione della “residenza virtuale” presso i luoghi di
dimora abituale.
(*) Tratto da http://www.mediciperidirittiumani.org. La versione completa
di “I dannati della terra. Rapporto sulle condizioni di vita e di lavoro dei
braccianti stranieri nella piana di Gioia Tauro” si può scaricare qui.
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