Ho letto con
crescente disagio un lungo intervento molto condiviso in Rete di Ugo Mattei,
Ordinario di diritto privato a Torino, esperto in particolare di beni comuni, e
molto stimato anche nei movimenti sociali, che lo iscrive al partito degli
apocalittici su Internet. Un paio di giorni fa Repubblica apriva, con Ilvo
Diamanti, Ordinario di Scienza Politica a Urbino, su quanti italiani avrebbero
veicolato (presunte) fake news diffuse dai social, un botto. Il sottotesto era
che i social siano sinonimo di balle e che invece le bufale diffuse dal mainstream,
da Repubblica come da Libero, da CNN o dal TG4, siano informazione
professionale e seria.
Mi hanno
colpito questi due interventi di autorevoli studiosi democratici perché ormai è
dilagante la lettura della Rete come caotica terra incognita, luogo di
complotti, grandi fratelli e pericoli per la democrazia, nonché di naturale
dilagare del modello economico vigente, con le corporazioni, a braccetto con
spioni e censori, che marcerebbero sul mondo in un nuovo fascismo.
Dell’interpretazione di Internet come massima espressione di un villagio
globale, dove la circolazione delle idee e la libertà di espressione possano
essere garantite da autoritarismi e gerarchie, in questo scorcio di XXI secolo
non vi è più traccia. Da Lovink a Morozov fino a Mattei, tanto più la Rete è
parte indissolubile delle nostre vite, tanto più il net-pessimismo prevale.
Mi ha
colpito in particolare Mattei, che mette insieme preoccupazioni ragionevoli,
dal quanto energivora sia la Rete (ma una lettera cartacea resta più energivora
di un email!), a timori sulla debolezza legale dell’individuo rispetto alle
corporazioni digitali, a tesi francamente azzardate. Per Mattei sarebbe un
dramma che oggi nessuno possa più scrivere a mano un biglietto di treno (sic),
ed è terrorizzato da chi controlli l’hardware della Rete. Le dorsali
interoceaniche (le autostrade dell’informazione) sono un mistero e un pericolo
mortale, trascurando che il primo cavo sottomarino fu posato quando ancora in
Francia regnava Luigi Filippo d’Orleans e a Roma Gregorio XVI. Sono 170 anni
che ci spiano intercettando comunicazioni sotto il mare, ma sono 170 anni che
le usiamo per conoscere il mondo.
Per Mattei
la Rete è dunque il luogo dove si realizzerebbero le Costituenti tecno-fasciste
che, da Putin a Trump a Xi, starebbero svuotando la democrazia. Avendo fatto
per anni da postino di articoli e siti censurati ad amici cubani (che peraltro
dovevano il loro isolamento anche al fatto che a Cuba era impedito posare cavi
sottomarini) mi risulta indigeribile l’idea che Internet non sia un
meraviglioso strumento di circolazione di idee. Ma soprattutto,
avendo insegnato per 15 anni “storia dei media digitali”, ho trasmesso a una
generazione di studenti l’idea che proprio la struttura decentralizzata e
reticolare di Internet fosse la base politico-culturale – ideologica – della
stessa e che, per quanto facciano governi e corporazioni, la sua essenza
democratizzante.
L’Internet
dalla quale è spaventato Mattei invece non è una rete, è centralizzata. I
server di Internet (verificabili, per proprietà e geolocalizzazione, con
strumentini vecchi di quarant’anni come ping o whois) non sarebbero un reticolo
di milioni di macchine senza gerarchia sparso in tutto il mondo, ma sarebbero
da qualche parte segreta nel vecchio West (o forse in Canada, per Mattei “non
v’è certezza”, sic). Soprattutto per il giurista piemontese vi sarebbe un
pulsantone, che chiama Master Switch (facendo una rilettura complottista del
noto saggio di Tim Wu) “in un sottomarino nucleare al largo di Seattle” dal quale
si controllerebbe e si potrebbe addirittura spegnere la Rete. Si mormora.
In realtà Wu
diceva ben altro che pensare a un interruttore della Rete, e cioè che ogni
mezzo di comunicazione tenderebbe col tempo a piegarsi a una logica di
concentrazione economica. Vero, ma se oggi quattro amici al bar non possono
fondare una televisione nazionale, esattamente come non potevano farsela a metà
anni Cinquanta, possono ancora farsi un blog e, presumibilmente, potranno
ancora farselo in futuro. Non solo questi possono farsi in mille maniere
piccoli broadcaster ma, soprattutto, possono scambiarsi punto a punto
informazioni in qualunque momento del giorno e della notte senza essere
pendenti da un singolo strumento. Cade Whatsapp, ti contatto via Facebook, e
sennò via email o in mille altri modi, non tutti controllati da corporazioni.
Perfino con l’ipercontrollata Cina posso parlare quando voglio.
La Rete è un
luogo problematico? Vero, ma né più né meno (semmai meno) della nostra società.
Ci spiano? Certo, anche se al 99% ci profilano come consumatori. Fanno profitti
con noi utenti? Questo è poco ma è sicuro, come li fa il nostro salumiere.
Possiamo/vogliamo rinunciarci? Personalmente no. Voglio fare il biglietto del
treno da sotto il piumone e, pensando cose spesso antitetiche al mainstream,
voglio continuare a poterle comunicare senza dover contrattare le mie idee –
anche queste – con un editore, né finalizzarle a una utilità economica. Queste
idee, ovviamente del tutto opinabili, non producono profitti, né per me né per chi
legge. Voglio perfino, in determinati casi che darebbero per un altro post, che
sia garantito l’anonimato, e non riesco a pensare luogo migliore della Rete per
farlo.
Il problema
non mi sembra Internet in sé, e l’opportunità storica mi sembra la caduta del
paternalismo informativo che lasciava in balia de “La Stampa” o dei titoli del
TG1 o a “L’Unità”, spesso per tutta la vita, generazioni intere nella loro
interfaccia verso il mondo. Era quello il pluralismo? Continuo a
considerare la Rete come il luogo che ha destrutturato le concentrazioni
editoriali monopoliste e reso effettivo un pluralismo dell’informazione mai
esistito prima nella storia dell’umanità, sostanzialmente irreversibile e
pressoché impossibile da controllare da qualunque potere costituito (che
ovviamente cerca di farlo, ma la Rete è bella anche perché le sue maglie sono
piene di buchi).
Il problema
dunque è che la caduta di autorevolezza e centralità del paternalismo
informativo non si accompagni alla crescita del pensiero critico nella società,
al possesso di capacità di analisi da parte di fasce crescenti della società
che solo il rafforzamento, non l’indebolimento di scuola e università, possono
dare.
Non esiste
alcun Master Switch di Internet, il pulsantone di spegnimento di Internet che
secondo Mattei sarebbe in un sottomarino nucleare gringo al largo di Seattle,
mentre temo che esista un master switch della capacità critica delle persone
manipolate – dalla Rete o dal mainstream? – a prendersela non con il modello
sociale vigente e con le classi dirigenti ma, per esempio, con gli immigrati e
altri soggetti deboli.
Detto ciò,
gli spazi per la libertà di espressione e la circolazione di idee non sono mai
stati così ampi nella storia, checché possa o voglia fare Putin o Trump o
Zuckerberg e finché al mondo ci saranno due nodi della Rete funzionanti, di
centinaia di milioni, il protocollo TCP/IP troverà il modo di instradare un
emoticon dall’uno all’altro. Il problema è che il pensiero critico, non degli
ottimi Mattei e Diamanti, ci mancherebbe, è come il coraggio di Don Abbondio;
se non si possiede non ci se lo può dare. Nonostante Internet.
Qui, tra i molti siti che hanno
ripubblicato Mattei.
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