martedì 8 maggio 2018

divieto di poesia


 “Istigazione alla violenza”: condannata la poetessa palestinese Tatour - Roberto Prinzi 


Condannata per “istigazione alla violenza” e sostegno ad una “organizzazione terroristica” per un post su Facebook. È quanto ha stabilito ieri un tribunale di Nazareth per la poetessa Dareen Tatour. Taour, palestinese con cittadinanza israeliana, nel 2015 aveva pubblicato sul noto social network un video in cui alcuni palestinesi lanciavano pietre contro l’esercito israeliano accompagnandolo con un suo poema intitolato “Resisti, popolo mio, resisti”. L’imputata si è difesa spiegando che il suo componimento non era affatto un invito alla violenza, quanto piuttosto una esortazione a lottare. Una lotta che, ha precisato, solo le autorità israeliane hanno voluto interpretare come violenta: secondo la corte, infatti, i post della Tatour “hanno creato una reale possibilità di ispirare le persone a commettere atti di violenza e terrore”. La sentenza è prevista per questo mese anche se non è ancora chiaro quando con esattezza.
La decisione del tribunale non ha stupito Tatour che, al termine dell’udienza di ieri, si è detta “pronta a tutto” e ha rivendicato il suo gesto. “Il mondo intero ascolterà la mia storia – ha dichiarato – Il mondo intero sentirà che tipo di democrazia è Israele. Una democrazia solo per gli ebrei mentre gli arabi vanno in carcere. Il tribunale ha detto che sono condannata per terrorismo. Se questo è terrorismo, allora darò al mondo un terrorismo d’amore”. Intervistata dal portale Middle East Eye prima del verdetto di ieri, la poetessa aveva spiegato che era stata inizialmente accusata per un suo post su Facebook del 2014 in cui aveva scritto “Sono la prossima martire”. “Le accuse – ha raccontato – erano deboli per cui hanno scavato nel mio Facebook e hanno così trovato il poema dove hanno interpretato il verso: ‘Resisti, mio popolo, resisti al furto del colono e segui la carovana dei martiri’ come un invito rivolto ai palestinesi ad essere uccisi ed essere martiri”.
I problemi con la legge per Tatour iniziano l’11 ottobre del 2015, una settimana dopo la pubblicazione in rete del suo componimento: la polizia israeliana fa irruzione nella sua casa di Reineh (nei pressi di Nazareth) e l’arresta. Inizia così il calvario della poetessa: detenuta prima per 3 mesi, viene posta ai domiciliari nella casa di suo fratello nel quartiere di Kiryat Ono a Tel Aviv per 6 mesi durante i quali le è stato impedito di utilizzare Internet, il cellulare e di pubblicare i suoi lavori sui media. Dopo 4 mesi l’è stato concesso di lasciare l’abitazione per due ore nei weekend solo se accompagnata da un parente.
Il caso Tatour ha avuto ampia eco anche al di fuori d’Israele: per la sua liberazione si sono mossi oltre 150 intellettuali, tra cui Alice Walker, Naomi Klein, Natasha Trethewey e Jacqueline Woodson. In difesa della poetessa è intervenuto ieri anche il gruppo internazionale degli scrittori PEN: “Dareen Tatour è condannata per aver fatto quello che gli scrittori fanno ogni giorno: usare le loro parole per sfidare pacificamente l’ingiustizia”.
Sulla decisione del tribunale di Nazareth è stato duro il commento della sua legale, Gaby Lasky: “In pratica quello che la corte ha fatto è stato seppellire la libertà di parola nonostante abbiamo portato in aula [come prova] molti componimenti di poeti ebrei scritti nel corso degli anni che sono molto più duri di quelli di Dareen. Tuttavia, in quei casi, nessuno ha mai pensato di incriminare [i loro autori]” . Secondo Lasky, il poema della sua assistita è stato “mal interpretato” dalle autorità perché, invece di essere un invito alla violenza, è “una espressione artistica”. Le accuse, ha poi sottolineato, sono “un attacco alla libertà di espressione” della sua cliente e “una violazione dei diritti culturali della minoranza palestinese all’interno d’Israele che provoca autocensura e auto-criminalizzazione della poesia”.
La durezza del mondo giudiziario israeliano contro i palestinesi non è cosa nuova: per aver dato qualche schiaffo a dei soldati lo scorso dicembre, l’adolescente Ahed Tamimi sta scontando 8 mesi di carcere (patteggiati per evitare una pena più severa). Ma l’inflessibilità dei tribunali viene meno quando a compiere i reati sono cittadini ebrei israeliani. Il caso recente più emblematico è rappresentato dal soldato Elor Azaria che il 24 marzo del 2016 uccise a sangue freddo a Hebron il palestinese Abdel Fattah al-Sharif. Per il militare la pena già irrisoria di 18 mesi di detenzione è stata ridotta a solo un anno di carcere per “buona condotta” e perché “non costituisce un pericolo”. Nelle differenze di trattamento tra Tamimi e Tatour da un lato, e Azaria dall’altro, c’è la rappresentazione più significativa del doppio binario su cui viaggia la “giustizia” israeliana. 

2 commenti:

  1. Un caso scandaloso, una poetessa coraggiosa e soprattutto quello che osservo è che anche la poesia se poesia de denuncia, è molto temuta dal potere e forse anche la gente dovrebbe prenderne atto per sostenere quei poeti e quelle poetesse che lottano per qualcosa, non lasciando queste figure soltanto sostenute da intellettuali. Un Popolo resiste anche così, e sarebbe importante che quegli Israeliani che tra il popolo non sono convinti della politica del loro Paese nei confronti della Palestina lo dicessero, pubblicassero sui loro profili fb quella poesia. Non so se magari questo è successo, in tal caso sarebbe un qualcosa di veramente importante. Amplificare quelle voci che vogliono dare e danno voce ai più deboli.

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    1. facile prendersela con i deboli, ma i poeti resistono...

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