Condannata per “istigazione alla violenza” e sostegno ad una
“organizzazione terroristica” per un post su Facebook. È quanto ha stabilito ieri un tribunale
di Nazareth per la poetessa Dareen Tatour. Taour, palestinese con
cittadinanza israeliana, nel
2015 aveva pubblicato sul noto social network un video in cui alcuni
palestinesi lanciavano pietre contro l’esercito israeliano accompagnandolo con
un suo poema intitolato “Resisti, popolo mio, resisti”. L’imputata
si è difesa spiegando che il suo componimento non era affatto un invito alla
violenza, quanto piuttosto una esortazione a lottare. Una lotta che, ha
precisato, solo le autorità israeliane hanno voluto interpretare come violenta:
secondo la corte, infatti, i post della Tatour “hanno creato una reale
possibilità di ispirare le persone a commettere atti di violenza e terrore”. La
sentenza è prevista per questo mese anche se non è ancora chiaro quando con
esattezza.
La decisione del tribunale non ha stupito Tatour
che, al termine dell’udienza di ieri, si è detta “pronta a tutto” e ha
rivendicato il suo gesto. “Il
mondo intero ascolterà la mia storia – ha dichiarato – Il mondo intero sentirà
che tipo di democrazia è Israele. Una democrazia solo per gli ebrei mentre gli
arabi vanno in carcere. Il tribunale ha detto che sono condannata per
terrorismo. Se questo è terrorismo, allora darò al mondo un terrorismo
d’amore”. Intervistata dal portale Middle East Eye prima del verdetto di ieri,
la poetessa aveva spiegato che era stata inizialmente accusata per un suo post
su Facebook del 2014 in cui aveva scritto “Sono la prossima martire”. “Le
accuse – ha raccontato – erano deboli per cui hanno scavato nel mio Facebook e
hanno così trovato il poema dove hanno interpretato il verso: ‘Resisti, mio
popolo, resisti al furto del colono e segui la carovana dei martiri’ come un
invito rivolto ai palestinesi ad essere uccisi ed essere martiri”.
I problemi con la legge per Tatour iniziano l’11
ottobre del 2015, una settimana dopo la pubblicazione in rete del suo
componimento: la polizia israeliana fa irruzione nella sua casa di Reineh (nei
pressi di Nazareth) e l’arresta. Inizia così il calvario della poetessa: detenuta
prima per 3 mesi, viene posta ai domiciliari nella casa di suo fratello nel
quartiere di Kiryat Ono a Tel Aviv per 6 mesi durante i quali le è stato
impedito di utilizzare Internet, il cellulare e di pubblicare i suoi lavori sui
media. Dopo 4 mesi l’è stato concesso di lasciare l’abitazione per due ore nei
weekend solo se accompagnata da un parente.
Il caso Tatour ha avuto ampia eco anche al di fuori
d’Israele: per la sua liberazione si sono mossi oltre 150 intellettuali, tra
cui Alice Walker, Naomi Klein, Natasha Trethewey e Jacqueline Woodson. In difesa della poetessa è
intervenuto ieri anche il gruppo
internazionale degli scrittori PEN: “Dareen Tatour è condannata per
aver fatto quello che gli scrittori fanno ogni giorno: usare le loro parole per
sfidare pacificamente l’ingiustizia”.
Sulla
decisione del tribunale di Nazareth è stato duro il commento della sua legale,
Gaby Lasky: “In pratica quello che la corte ha fatto è stato seppellire la
libertà di parola nonostante abbiamo portato in aula [come prova] molti
componimenti di poeti ebrei scritti nel corso degli anni che sono molto più
duri di quelli di Dareen. Tuttavia, in quei casi, nessuno ha mai pensato di
incriminare [i loro autori]” . Secondo Lasky, il poema della sua assistita è
stato “mal interpretato” dalle autorità perché, invece di essere un invito alla
violenza, è “una espressione artistica”. Le accuse, ha poi sottolineato, sono
“un attacco alla libertà di espressione” della sua cliente e “una violazione
dei diritti culturali della minoranza palestinese all’interno d’Israele che
provoca autocensura e auto-criminalizzazione della poesia”.
La durezza del mondo giudiziario israeliano contro i
palestinesi non è cosa nuova: per aver dato qualche schiaffo a dei soldati lo scorso dicembre,
l’adolescente Ahed Tamimi sta scontando 8 mesi di carcere (patteggiati per
evitare una pena più severa). Ma l’inflessibilità
dei tribunali viene meno quando a compiere i reati sono cittadini ebrei
israeliani. Il caso recente più
emblematico è rappresentato dal soldato Elor Azaria che il 24 marzo
del 2016 uccise a sangue freddo a Hebron il palestinese Abdel Fattah al-Sharif.
Per il militare la pena già irrisoria di 18 mesi di detenzione è stata ridotta
a solo un anno di carcere per “buona condotta” e perché “non costituisce un
pericolo”. Nelle differenze di trattamento tra Tamimi e Tatour da un lato, e
Azaria dall’altro, c’è la rappresentazione più significativa del doppio binario
su cui viaggia la “giustizia” israeliana.
Un caso scandaloso, una poetessa coraggiosa e soprattutto quello che osservo è che anche la poesia se poesia de denuncia, è molto temuta dal potere e forse anche la gente dovrebbe prenderne atto per sostenere quei poeti e quelle poetesse che lottano per qualcosa, non lasciando queste figure soltanto sostenute da intellettuali. Un Popolo resiste anche così, e sarebbe importante che quegli Israeliani che tra il popolo non sono convinti della politica del loro Paese nei confronti della Palestina lo dicessero, pubblicassero sui loro profili fb quella poesia. Non so se magari questo è successo, in tal caso sarebbe un qualcosa di veramente importante. Amplificare quelle voci che vogliono dare e danno voce ai più deboli.
RispondiEliminafacile prendersela con i deboli, ma i poeti resistono...
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