Il
“surriscaldamento” del clima politico sta riproponendo l’ennesimo
capovolgimento della narrazione dei fatti concernenti le più importanti
questioni di politica estera e interna, con particolare riferimento ai temi
della migrazione e dei rapporti con i paesi terzi, ai quali si affida da tempo
il compito di intercettare i migranti e impedire che possano raggiungere
l’Europa. Si enfatizzano anche gli ultimi soccorsi in mare, oltre
4.000 persone salvate negli ultimi giorni, per rilanciare l’allarme su una invasione che
non si vede, ma che serve per aumentare il consenso elettorale.
E dietro gli allarmi per gli “sbarchi” si
ripropongono gli attacchi contro le Organizzazioni non governative,
accusate ancora una volta di agevolare il traffico di esseri umani, malgrado
le reiterate decisioni della magistratura giudicante, che qualifica la Libia come un
paese privo di luoghi sicuri di sbarco.
Siamo in guerra. Prima era guerra contro i migranti, ai quali si voleva impedire di
raggiungere le nostre coste, sia pure per presentare una richiesta di
protezione, e che in territorio italiano venivano additati come il “nemico interno”, una guerra che
avevamo previsto si sarebbe presto estesa all’intero corpo sociale. Poi è
stata guerra, piuttosto che alle povertà, ai poveri, ai
giovani senza lavoro, alle classi economicamente più deboli, mentre il divario
sociale all’interno della nostra società si ampliava giorno dopo giorno.
L’intera campagna elettorale, ed i tentativi di formare un nuovo governo si
sono giocati su uno scarto crescente tra promesse, come l’espulsione di oltre 600.000 “clandestini”,
e gli obiettivi effettivamente realizzabili. Neppure Frontex sarà in grado di
garantire una minima parte di queste espulsioni. Sarà ben difficile che le
regioni, anche quelle a guida leghiste, accettino l’apertura di decine di centri di detenzione per irregolari sul loro
territorio. I paesi terzi chiederanno cifre impossibili per garantire qualche
centinaio di rimpatri con accompagnamento forzato all’anno, ma tutto questo
viene tenuto nascosto all’opinione pubblica. Vedremo come e quando l’Unione Europea troverà davvero le
risorse per finanziare paesi falliti come la Libia o quello che ne
rimane. Il modello dell’accordo UE-Turchia non è replicabile con le
autorità di Tripoli e Bengasi, che dipendono da decine di milizie in conflitto
tra loro.
Adesso è guerra di tutti contro tutti, di fronte a una crisi
finanziaria senza fondo, indotta anche dai devastanti attacchi che i partiti
vincitori delle ultime elezioni hanno rivolto al nostro sistema costituzionale.
Come succede in questi passaggi storici, come è successo nel secolo scorso, la
prima vittima di questo scontro è la verità, manipolata da ciascuna delle parti
in lotta per dimostrare la fondatezza delle proprie posizioni e per raccogliere
maggiori consensi. Lo sbocco di questo tipo di crisi può consistere in una
svolta autoritaria, magari con l’avallo di un vasto consenso elettorale. I diritti di
cittadinanza e le prestazioni sociali non possono essere oggetto di scambio con
i diritti umani e con i diritti di libertà sanciti dalle Costituzioni
democratiche e dalle Convenzioni internazionali. Gli accordi con gli
stati per “combattere l’immigrazione irregolare” non possono violare i diritti
fondamentali che spettano a tutti gli esseri umani, ovunque siano nati e
ovunque si trovino.
In queste giornate di grande confusione istituzionale occorre
ricordare come la “questione Libia” abbia pesato in modo determinante sul
posizionamento della politica estera italiana, prima con gli accordi tra Berlusconi
e Gheddafi, e poi nel costante tentativo dei governi Renzi e Gentiloni, di
inserire il governo di Tripoli nell’ambito dei processi di esternalizzazione
delle frontiere, “benedetti” dai vertici dell’Unione Europea,
soprattutto dopo l‘Agenda europea sulle migrazioni del 2015. Una
scelta che è costata migliaia di vittime in mare, ed a terra, nei lager
libici, senza distinzioni possibili tra i centri governativi e
quelli gestiti dalle milizie. Una “Agenda” che mirava
a ricacciare indietro i migranti in fuga dalla Libia, anche se veniva
all’indomani della più grande tragedia del Mediterraneo, con oltre 800 vittime.
Da allora un primo ribaltamento del senso della narrazione, dopo tante vittime,
piuttosto che aprire canali legali di ingresso e missioni di soccorso in acque
internazionali, la scelta di insistere sugli accordi per il respingimento dei
migranti in mare e per incrementare i rimpatri forzati e il numero dei centri
di detenzione amministrativa. Accordi che sono stati conclusi con autorità di
governo e milizie, come si è verificato in Libia, che non hanno certo garantito
i diritti umani ed i corpi delle persone che venivano intercettate prima del
loro arrivo in Italia.
Adesso l’iniziativa del governo Macron,
con la Conferenza di Parigi che si è
svolta oggi, aggiunge altra confusione ad una situazione che sembra sfuggire di
mano a tutti gli attori internazionali presenti sulla scena libica. Una partita
alla quale non sono estranei gli interessi delle grandi potenze (Russia, Cina e
Stati Uniti) che hanno tutto l’interesse a ridimensionare il ruolo dell’Unione
Europea. La questione libica andava e va risolta a livello di Nazioni Unite e
non saranno certo appuntamenti “regionali” come il vertice di Parigi,
per sbloccare processi di riconciliazione che appaiono, allo stato dei
risultati del vertice parigino, sempre più incerti. È mancata del tutto una
politica estera comune dei diversi paesi appartenenti all’Unione Europea, ed il
vertice di Parigi ne costituisce una ennesima conferma. In Libia si profila un’altra guerra,
anche se raccontano di elezioni già stabilite per il mese di dicembre.
Di
certo appare sconfitta la politica di “normalizzazione” della Libia, portata
avanti dall’Italia sulla base di relazioni bilaterali,
come il Protocollo d’intesa del 2 febbraio 2017,
e poi intensificata con gli accordi con la Guardia costiera libica e con
l’invio di ONG italiane in alcuni centri di detenzione libici. Malgrado il
forte calo degli sbarchi, i corpi dei migranti che ancora continuano ad
arrivare dalla Libia testimoniano il fallimento di una intera politica basata
sugli accordi con milizie di incerta provenienza e sulla delegittimazione delle
attività di soccorso in acque internazionali. Eppure la narrazione continua ad
essere rovesciata, e nelle dichiarazioni del nostro ambasciatore a Tripoli
sembrerebbe che i risultati positivi siano ormai a portata di mano, e che l’unico
problema sia costituito dalle ONG. Si vantano
successi inesistenti sia dal punto di vista del contenimento degli “sbarchi”,
che sotto il profilo del rispetto dei diritti umani in Libia. Una valutazione smentita frontalmente dai più recenti
rapporti delle Nazioni Unite. Mentre l’ambasciatore
italiano a Tripoli dichiarava ieri che senza una Costituzione generalmente condivisa in Libia non
si può andare alle elezioni, dalla Conferenza di Parigi
arriva un segnale nettamente opposto che lo smentiva. Mentre Salvini ribadisce
la chiusura dei porti italiani.
Sul
piano del governo delle migrazioni a livello nazionale appare evidente come i
tentativi di demolire il diritto di asilo, di ampliare i tempi e gli spazi di
detenzione amministrativa per i migranti irregolari, di criminalizzare le
attività delle ONG rendendo sempre più difficili le attività di ricerca e
soccorso nelle acque del Mediterraneo centrale, tentativi già portati avanti da
Minniti, saranno rinnovati ed inaspriti nei prossimi mesi, anche
nell’immediato, a livello di apparati dello stato che non rispondono ad un
governo nel pieno dei poteri. Una situazione gravissima che può anticipare una
svolta autoritaria che, dopo avere colpito i migranti, potrebbe estendersi a
tutti i cittadini italiani. Dietro l’apparente moderazione di Salvini si celano
proposte che quando saranno operative comporteranno una sostanziale restrizione
delle garanzie e dei diritti di libertà previsti dalla Costituzione.
Anche sul terreno interno il capovolgimento di senso della narrazione
che riguarda i migranti è totale. La libertà dei mezzi di informazione è sempre più
condizionata, neppure la Guardia costiera italiana
comunica dei soccorsi in atto con le stesse modalità adottate negli anni
precedenti, la Marina militare tace sulle attività di coordinamento
svolte da Tripoli. Scompare dalle cronache il default del sistema di accoglienza basato sui CAS ( Centri
di accoglienza straordinaria) convenzionati con le
Prefetture, si nasconde lo sfruttamento sistematico al quale sono sottoposti i
lavoratori e le lavoratrici migranti, mentre si esaltano gli episodi di
criminalità che diventano pretesto per giustificare vere e proprie campagne
d’odio.
Le proposte contenute nel “Contratto di governo” in materia
di asilo ed immigrazione hanno un contenuto fortemente discriminatorio, con una
rappresentazione delle migrazioni tutta incentrata sulla “sicurezza”. Si
prevede un trasferimento di risorse dal sistema di accoglienza alle procedure
di espulsione forzata che prelude ad una moltiplicazione della condizione di
“clandestinità”, ed a una diffusa conflittualità sui territori. Si nasconde che
l’Italia ha adottato politiche di sbarramento per corrispondere alle richieste
sempre più pressanti giunte da Bruxelles con i Migration
Compact, sperando
in un allentamento delle regole stabilite dal Regolamento Dublino. Si sperava
anche che il “buon lavoro” fatto dal ministro Minniti con le autorità di
Tripoli fosse ricompensato da un allentamento dei vincoli di bilancio stabiliti
da Bruxelles. Un’attesa che è andata delusa. Mentre continuano i
respingimenti alle frontiere interne (come a Ventimiglia) e
i trasferimenti in Italia di richiedenti asilo denegati da altri paesi europei.
Adesso Salvini chiede all’Europa di cambiare, ma ancora in peggio, le regole
stabilite dall’Unione Europea, e la prima vittima designata di queste richieste
sono proprio i richiedenti protezione internazionale. Il leader leghista insiste su dati visibilmente
falsificati.
La narrazione capovolta delle migrazioniè
cominciata da tempo, con gli attacchi alle ONG, ma i residui brandelli di
libera informazione o le associazioni e le Organizzazioni non governative sono
state in grado di restituire verità alle vittime di queste politiche ed chi
voleva andare oltre i resoconti ufficiali. Malgrado tutto, anche sul piano
della difesa legale, si è riusciti a contrastare efficacemente prassi
illegittime che venivano applicate nell’esame delle domande di protezione e
nella organizzazione dei voli di rimpatrio. Si è arrivati anche ad importanti
sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea per
censurare norme interne che penalizzavano il soggiorno irregolare ed
estendevano a 18 mesi la detenzione amministrativa. Come vorrebbe fare adesso
la Lega di Salvini. Questa Europa ha imposto regole democratiche che un governo
nazionale voleva trasgredire. Si sta determinando oggi un tale concentramento
di poteri in capo ai leader dei partiti populisti, che potrebbe ripercuotersi
sull’assetto del governo e sulle scelte parlamentari, anche attraverso il
ricorso ai decreti legge, in settori, come l’immigrazione e l’asilo, nei quali
la “narrazione capovolta” ha già prodotto effetti devastanti a livello di
consenso elettorale.
Non si vedono ancora all’orizzonte formazioni politiche
sufficientemente forti da contrastare in parlamento una maggioranza che
contrappone i diritti umani ai diritti di cittadinanza, ed individua nei
migranti il capro espiatorio di tutto il malessere sociale. Il compito di
contrastare la “narrazione capovolta” contro i migranti, e chi li assiste, in
terra o in mare, passa dall’impegno quotidiano di tante persone in carne ed
ossa, capaci di vivere questo tempo senza accettare le ricorrenti
mistificazioni ed i continui richiami alla logica del nemico. L’aggregazione di
queste persone attorno alle associazioni ed alle ONG sotto attacco dovrà
costituire nuclei di resistenza a livello territoriale, anche
in sinergia con gli enti locali che si renderanno disponibili. Comunque si
arrivi ad un governo che metta al centro la questione migrante in chiave
sicuritaria per garantirsi consenso, la difesa dei diritti dei migranti
coinciderà con la difesa dello stato di diritto e della democrazia in Italia.
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