supponendo che la proposta di governo prenda la fiducia delle aule
parlamentari e la conservi per un po’, e mettendo via per cinque minuti le
legittime ragioni di pre-giudizio, se oggi si passano in rassegna le questioni
che hanno avuto maggiore peso specifico nel consenso elettorale, ci si trova a
fare il trapezista su appoggi e corde estremamente variabili ed elastici: in
primo luogo perché le proclamazioni elettorali hanno risposto in modo
apparentemente univoco ad aspettative sociali fattualmente diverse, e in
secondo luogo perché il cosiddetto “contratto” di governo è destinato, per come
è combinato, a risultanti concrete in buona parte imprevedibili; quindi, se
partiamo dall’ingrediente fondamentale della campagna elettorale, quello dei
migranti, sul trapezio di questo circo dobbiamo saltare dalle proclamazioni
verbali a ruota libera, precedenti le elezioni, alla presunta quadra delle
clausole scritte nel contratto di governo, e di qui all’ imprevedibile
risultante concreta; quest’ultima, secondo me, non caverà un ragno dal buco sul
tema specifico (i flussi) ma non potrà fare a meno di mettere in mostra una
compensazione sostitutiva in termini di più generale pressione securitaria su
alcuni specifici settori sociali (più telesorveglianza, più legittima difesa,
più arbitrio poliziesco, più popolazione carceraria ecc.): e a fare i
trapezisti in questo modo c’è da rompersi l’osso del collo;
la responsabilità di questa falsa quadra che in sede governativa è in
realtà un pericoloso trapezio non risiede solo nella classe politica, ma anche
nel discount dell’ oscurantismo di strada, di cui in mancanza d’altro si
alimenta il senso comune; per vedere un poco più chiaro in questo argomento
oscuro è necessario distinguere in primo luogo fra il cosiddetto razzismo e la
cosiddetta xenofobia, e di qui fra le disposizioni buoniste o cattiviste e le
strategie ragionevoli o irragionevoli;
razzismo e xenofobia, che danno luogo ad un connubio assassino quando
combaciano, come tali non sono affatto la stessa cosa; il razzismo consiste nel
“concetto” che i gruppi umani sono diversi per indole e per storia evolutiva, e
che si rapportano gli uni rispetto agli altri in termini di compatibilità o
incompatibilità e di superiorità o inferiorità rispetto ai modi della condotta
individuale e sociale; la xenofobia consiste invece nella “fobia” dello
straniero, e paradossalmente in quella paura che il gruppo più forte, quello
autoctono, esprime nei confronti del gruppo più debole, quello immigrato: che
cioè chi ti sta dietro nella dinamica sociale stia avanzando per prenderti alle
spalle e mettere a rischio la tua posizione; a sua volta chi sta in cima alla
piramide sociale non ha nulla da temere alle sue spalle, proprio perché
l’oscura terra di mezzo della xenofobia è concentrata non sull’ineguaglianza
che viene dall’alto, ma sull’insicurezza che preme dal basso; è su questa mappa
che può realizzarsi, in fasi di crisi, il corto circuito tra la pulsione
xenofoba e la concezione razzistica;
dunque si può essere razzisti senza essere xenofobi e paradossalmente
persino senza fare danno, e si può essere xenofobi senza essere razzisti ma
sempre disseminando malvagità; è questa separazione che rende possibile alla
massa xenofoba la bizzarra affermazione “io non sono razzista ma…”; il corto
circuito avviene quando il razzismo mette capo concettualmente a un presunto
diritto di sangue (o di dna) e la xenofobia mette capo istintivamente a una
autoproclamata titolarità di suolo (o di territorio), e quando la periferia di
massa dell’ordine sociale (ordine che è invece strutturato da un centro
dominante, monopolista della ricchezza, del rango e del potere) unifica
psicologicamente la propria multiforme condizione di precarietà sociale in una
pulsione aggressiva nei confronti dell’estraneo;
la ‘lega’ è stato il partito politico italiano che ha massimamente suonato,
nella sua storia ormai trentennale, tutti i tasti di questa cacofonia; se
borghezio ha rappresentato ieri l’incarnazione della praticabilità diretta del
soddisfacimento xenofobo, salvini rappresenta oggi l’incarnazione della
praticabilità governativa della razionalità razzistica; questo può apparire un
passo in avanti ed è su questo passo avanti che il principio di
razionalizzazione dei flussi ha temporaneamente consentito la convergenza
contrattuale col movimento cinque stelle;
ora, prima di chiudere la questione sanzionando che questa convergenza è la
precipitazione della politica italiana nel buco nero del razzismo+xenofobia, è
anche necessario considerare se i processi migratori necessitino o no di una
strategia di regolazione, come quando si regola il traffico coi semafori o il
numero di persone in ascensore, e se una strategia di questo genere sia stata
davvero pensata e messa in pratica; poiché respingimenti in mare o contenimenti
in libia non sono una strategia di regolazione ma una condotta da bestie, e che
i campi di internamento o gli alloggiamenti a in camping sono solo uno
spostamento del problema, va riconosciuto che questi vent’anni intercorsi dalle
navi degli albanesi ad oggi non sono serviti a nulla, se non a saldare la
concezione razzistica con la pulsione xenofoba, col rischio di fare di questa
saldatura il perno di una intera visione di governo;
non si può disinnescare questo rischio semplicemente con la retorica
dell’accoglienza (il cosiddetto buonismo) poiché i propositi non sono
soluzioni; ma il cattivismo (a parte la sua sconcezza morale) è solo un
proposito e non una soluzione; quindi la pallina torna sempre lì, una strategia
ragionevole dimensionata sui numeri del problema e sul diritto superiore,
quello che ciascuno abbia la sua possibilità di trovare un luogo per la propria
vita;
quando si afferma che “qui non c’è posto” si nega a qualcuno la possibilità
del luogo; il posto è una cosa fisica, il luogo è una cosa mentale; se il luogo
può essere creato (per esempio favorendo la ri-abitazione di immense aree
spopolate come tutta la montagna appenninica) il posto sovviene di suo; se
invece il luogo viene strozzato in un cie o in una periferia degradata, il
risultato è che ben presto il posto non c’è;
questo accordo di governo parla alla pancia xenofoba, ma si propone anche
di mettere in capo allo stato e non ai privati la cosiddetta accoglienza (e
questo può essere un bene) con la mannaia dei contenimenti, dei filtri in mare
e dei rimpatri (e questa è una schifezza fascista); il gioco va sulla
risultante: come che sia, la nazione italiana non reggerebbe a pratiche di
selezione bestiale (del genere ungherese, polacco, austriaco o francese),
quindi resta forse possibile coniugare la regia statale con una costrittiva
partecipazione dei comuni e di qui con il libero coinvolgimento dei cittadini:
sono tre passaggi: stato-comuni-cittadini senza di che questo luogo nuovo non
potrà prendere forma, e resterà solo un posto impaurito e blindato.
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