mercoledì 16 maggio 2018

Gloria Anzaldúa: chicana, donna, lesbica - Daniela Pia



«Non lascerò più che mi si faccia vergognare. Avrò la mia voce: india, spagnola, bianca. Avrò lamia lingua di serpente, la mia voce di donna, la mia voce sensuale»: così parlava di sé l’autrice, di Terre di Confine/La Frontera, considerato uno dei migliori libri del XX secolo.
Gloria Anzaldúa era nata il 26 settembre 1942 a Harlingen (Texas). Il padre era figlio di un giudice della corte hidalga, discendente di famosi esploratori baschi arrivati in America nei primi anni del diciassettesimo secolo. Ha solo undici anni quando inizia a sentire sulla propria pelle gli effetti di quella discriminazione razziale che fu uno dei temi della sua riflessione letteraria.
Donna capace di dare voce alla poesia che le scorreva dentro e ripercorrere la storia della “espropriazione” materiale e culturale – fatta dagli anglos – delle terre Aztlán, luoghi d’origine della cultura azteca appartenute agli indigeni messicani sino al 1848 e sottratte loro (con il trattato di Guadalupe-Hidalgo) dagli Stati Uniti.
Nelle sue opere Gloria Anzaldúa ha recuperato e reinventato alcuni miti femminili nati dal contatto/scontro della civiltà nativa con quella europea: come Malinche, la traduttrice-amante di Cortés a lungo ritenuta dai discendenti degli aztechi una “traditrice”, presentata invece come esempio di una faticosa intermediazione linguistico-culturale.
Non ha trascurato nemmeno la Virgen de Guadalupe, la Madonna messicana frutto della fusione sincretica con la divinità azteca Coatlique. Ha riportato poi la sua esperienza personale di donna lesbica e chicana – ruoli faticosi da far rispettare – e si è soffermata a mettere in luce l’arcobaleno delle lingue variegate  che hanno contraddistinto il panorama linguistico delle borderlands, fra Messico e Stati Uniti, partendo dalle contaminazioni presenti nella sua complessa biografia. «Le parole sono lame d’erba che attraversando gli ostacoli, germogliano sulla pagina; lo spirito delle parole che si muove nel corpo è concreto e palpabile come la carne; la fame di creare è altrettanto materiale quanto le dita e la mano. Guardo le mie dita, vedo crescervi piume. Dalle dita, mie piume, inchiostro nero e rosso cola sulla pagina». (in Terre di confine).
Un vero e proprio inno alla mescolanza: non solo per i temi affrontati ma anche nella struttura dove i confini tra i generi letterari sfumano l’uno nell’altro (saggio teorico e biografia, poesia e storiografia, antropologia e romanzo) come quelli fra i codici linguistici (castigliano, chicano, inglese standard e slang, nahuatl).
Parola e frontiera dunque sono i concetti su cui si è sviluppata tutta la sua poetica: «luogo o stato della coscienza dove tutti possiamo ascoltare e parlarci, dove le divisioni possono essere colmate, forse persino sanate».
Luogo simbolico ma anche di transito. Luogo delle anime in cerca di sé. 
Con la frontiera i messicani hanno dovuto fare i conti, e ancora li stanno facendo, costretti a lasciare affetti e casa per adottare una nuova realtà che li avrebbe voluti sempre sottomessi e subalterni.
La capacità della Anzaldua di tramutare il luogo di oppressione coloniale in qualcosa di magico la si avverte nel momento in cui la frontiera viene tracciata e ridefinita quale simbolo di libertà e resistenza. 
Se al confine si vogliono  costruire muri e separare culture, escludendole l’una dall’altra, lei ha tentato di costruire ponti per disinnescare il meccanismo di separazione, invitando ad abitare la frontiera per attraversarla mille e mille volte. 
È infatti la mescolanza delle culture, del sudore, delle sofferenze che può creare una possibile relazione fra le genti. «There is the queer of me in all races» (C’è la mia “stranezza” in tutte le razze) afferma con orgoglio. Riconoscere questa stranezza aiuta a superare gli steccati che circondano la vita di ognuno di noi, dalle origini alla sessualità, dalla lingua alla religione. 
Il concetto di new mestiza sviluppato con la sua scrittura ha avuto come obiettivo  anche quello di spezzare qualsiasi forma di contrapposizione assoluta (filoamericano-amerindio) per cercare di disegnare una cartografia nuova di luoghi fisici ed emotivi.
E’ scomparsa il 15 maggio 2004. Durante la sua esistenza ha cercato sempre di coniugare mondi che, se apparivano ancestralmente differenti, potevano comunque incontrarsi. Anzaldùa è stata una donna capace di ridefinire le frontiere mettendo in luce soprattutto le sorti di un gruppo di esseri umani tre volte penalizzato: le donne di “razza” meticcia e dall’orientamento sessuale non tradizionale.
da qui

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