giovedì 10 maggio 2018

Cari occupanti, scusate se abbiamo ferito i vostri sentimenti Le scuse di Abu Mazen - Gideon Levy




È difficile immaginare uno scenario più assurdo di questo: il leader palestinese costretto a scusarsi col popolo ebraico. Praticamente è come se il derubato si scusasse col ladro.
D’altra parte, però, gli occupanti sono così sensibili – ed i loro sentimenti, solo i loro, devono essere presi in considerazione. Un paese che non ha mai smesso di occupare, distruggere ed uccidere – senza peraltro mai scusarsi – chiede alle sue vittime di scusarsi per una semplice frase del loro leader. Il resto è noto: “scuse non accettate”. Cosa pensavate che sarebbe successo? Che le avrebbero “accettate”?
Non c’è bisogno di essere un fan di Abbas per comprendere le profondità dell’assurdo. Non c’è neanche bisogno di essere un critico di Israele per capire l’estensione della faccia tosta.
Israele possiede l’asso nella manica: l’accusa di antisemitismo. Il valore di questa carta è in vertiginoso aumento, specialmente ora che l’Olocausto è lontano nel tempo ed in molti paesi l’antisemitismo viene sostituito con le critiche ad Israele. Questa carta vince su tutto.
Il mondo si è scatenato contro Abbas come mai avvenuto con le provocazioni israeliane – con il coro guidato dall’Unione Europea, dall’inviato ONU e, naturalmente, dall’ambasciatore dei coloni, David Friedman, che denuncia sempre i palestinesi e mai Israele. Persino il New York Times ha assunto un tono particolarmente aspro: “Che le vili parole di Abbas siano le sue ultime da leader palestinese”.
Il giornale americano non ha mai usato un linguaggio simile contro un primo ministro israeliano; l’unico responsabile, ad esempio, del massacro di manifestanti disarmati.
Ci sono due pesi e due misura anche nell’establishment israeliano: non attacca mai la destra antisemitica europea come attacca Abbas, ancorché nella prima militino figura quali quelle del vice-cancelliere austriaco Heinz-Christian Strache o di Orban.
Abbas ha detto qualcosa che non doveva dire. Il giorno dopo si è scusato. Ha ritrattato tutto, ha condannato l’Olocausto e l’antisemitismo, ed ha riaffermato il proprio impegno per raggiungere la soluzione dei due stati.
Israele non permetterà però ad alcuna scusa di fermare la propria nefanda spacconaggine. Il Ministro della Difesa, Avigdor Lieberman, si è affrettato a maledire la parte avversa, come al solito: “le scuse di uno sprezzante negazionista non sono accettate”.
Abbas è molto meno negazionista dell’Olocausto di quanto Israele sia negazionista della Nakba.
Antisemitismo o no, la situazione di qualsiasi ebreo nel mondo è più sicura di quella di un palestinese o di un arabo in Israele. Non ci sono ebrei privi di diritti come lo sono i palestinesi in Cisgiordania e Gaza, anche se nel mondo vengono ancora discriminati. Quando però un ebreo in Francia viene pugnalato, il presidente della Repubblica viene a far visita. Quando un arabo in Israele viene pugnalato, il primo ministro continua a provocare. E quando incita, non si scusa mai.
Israele non si è mai scusata per la Nakba – non per la pulizia etnica, non per la distruzione di centinaia di villaggi e per l’esilio di centinaia di migliaia di persone dalle proprie terre. Né si è mai scusata per i crimini dell’occupazione del 1967, né per il furto di terre e la costruzione di insediamenti, né per i falsi arresti, le uccisioni di massa e la distruzione della vita di una nazione.
Nessun statista israeliano oggi intende farlo. Abbas invece deve scusarsi, o Lieberman ed il New York Times chiederanno la sua testa. Anzi, la chiederanno anche dopo che si è scusato.

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