È difficile immaginare
uno scenario più assurdo di questo: il leader palestinese costretto a scusarsi
col popolo ebraico. Praticamente è come se il derubato si scusasse col ladro.
D’altra
parte, però, gli occupanti sono così sensibili – ed i loro sentimenti, solo i
loro, devono essere presi in considerazione. Un paese che non ha mai smesso di
occupare, distruggere ed uccidere – senza peraltro mai scusarsi – chiede alle
sue vittime di scusarsi per una semplice frase del loro leader. Il resto è
noto: “scuse non accettate”. Cosa pensavate che sarebbe successo? Che le
avrebbero “accettate”?
Non
c’è bisogno di essere un fan di Abbas per comprendere le profondità
dell’assurdo. Non c’è neanche bisogno di essere un critico di Israele per
capire l’estensione della faccia tosta.
Israele
possiede l’asso nella manica: l’accusa di antisemitismo. Il valore di questa
carta è in vertiginoso aumento, specialmente ora che l’Olocausto è lontano nel
tempo ed in molti paesi l’antisemitismo viene sostituito con le critiche ad
Israele. Questa carta vince su tutto.
Il
mondo si è scatenato contro Abbas come mai avvenuto con le provocazioni
israeliane – con il coro guidato dall’Unione Europea, dall’inviato ONU e,
naturalmente, dall’ambasciatore dei coloni, David Friedman, che denuncia sempre
i palestinesi e mai Israele. Persino il New York Times ha assunto un tono
particolarmente aspro: “Che le vili parole di Abbas siano le sue ultime da
leader palestinese”.
Il
giornale americano non ha mai usato un linguaggio simile contro un primo
ministro israeliano; l’unico responsabile, ad esempio, del massacro di
manifestanti disarmati.
Ci
sono due pesi e due misura anche nell’establishment israeliano: non attacca mai
la destra antisemitica europea come attacca Abbas, ancorché nella prima
militino figura quali quelle del vice-cancelliere austriaco Heinz-Christian
Strache o di Orban.
Abbas
ha detto qualcosa che non doveva dire. Il giorno dopo si è scusato. Ha
ritrattato tutto, ha condannato l’Olocausto e l’antisemitismo, ed ha
riaffermato il proprio impegno per raggiungere la soluzione dei due stati.
Israele
non permetterà però ad alcuna scusa di fermare la propria nefanda
spacconaggine. Il Ministro della Difesa, Avigdor Lieberman, si è affrettato a
maledire la parte avversa, come al solito: “le scuse di uno sprezzante
negazionista non sono accettate”.
Abbas
è molto meno negazionista dell’Olocausto di quanto Israele sia negazionista
della Nakba.
Antisemitismo
o no, la situazione di qualsiasi ebreo nel mondo è più sicura di quella di un
palestinese o di un arabo in Israele. Non ci sono ebrei privi di diritti come
lo sono i palestinesi in Cisgiordania e Gaza, anche se nel mondo vengono ancora
discriminati. Quando però un ebreo in Francia viene pugnalato, il presidente
della Repubblica viene a far visita. Quando un arabo in Israele viene
pugnalato, il primo ministro continua a provocare. E quando incita, non si
scusa mai.
Israele
non si è mai scusata per la Nakba – non per la pulizia etnica, non per la
distruzione di centinaia di villaggi e per l’esilio di centinaia di migliaia di
persone dalle proprie terre. Né si è mai scusata per i crimini dell’occupazione
del 1967, né per il furto di terre e la costruzione di insediamenti, né per i
falsi arresti, le uccisioni di massa e la distruzione della vita di una
nazione.
Nessun
statista israeliano oggi intende farlo. Abbas invece deve scusarsi, o Lieberman
ed il New York Times chiederanno la sua testa. Anzi, la chiederanno anche dopo
che si è scusato.
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