I provvedimenti
discriminatori e persecutori contro gli immigrati, aggiunti alla flat tax che
avrebbe aggravato le disuguaglianze, per me erano e restano scelte
inaccettabili che inficiano l’intero programma presentato da M5S e Lega, che
eppure contiene elementi condivisibili. Ma la scelta del Presidente della
Repubblica di non accettare Paolo Savona come ministro dell’economia,
rappresenta una grave ferita per la democrazia. Le ragioni addotte da
Mattarella per rifiutare la sua firma sotto quel nome sono che “la designazione
del ministro dell’economia costituisce sempre un messaggio immediato di fiducia
o di allarme per gli operatori economici e finanziari”. Ed ha continuato “ho
chiesto per quel ministero la designazione di un esponente politico della
maggioranza che non sia visto come sostenitore di una linea che potrebbe
provocare, probabilmente o inevitabilmente, l’uscita dell’Italia dall’euro”.
Tradotto,
Mattarella ha detto che siamo tutti dei vigilati speciali e che l’ultima parola
sul tipo di governo che si deve insediare nei singoli paesi l’hanno i mercati
che attraverso le loro scelte di acquisto o di vendita di valute e titoli del
debito pubblico possono decretare la vita a la morte delle economie nazionali.
E a sottolineare come il potere di banche, assicurazioni e fondi di
investimento sia assoluto, nel senso che non c’è modo di portare il mercato ad
alcun tavolo di negoziazione, Mattarella ha usato l’aggettivo ”immediato”. Come
dire: il mercato osserva, ascolta e reagisce immediatamente ora per
salvaguardare i propri capitali, ora per creare condizioni propizie ai propri
calcoli di guadagno. Non a caso la sua richiesta era che venisse proposto un
altro nome percepito dai mercati come meno dirompente di Paolo Savona.
Diciamolo con
chiarezza: Paolo Savona è un economista di sistema convinto sostenitore del
mercato e della crescita, che non mette in discussione l’obbligo dello stato a
pagare i suoi creditori. Però è altrettanto persuaso che per rilanciare
l’economia italiana bisogna spendere di più come cittadini e come stato. Di qui
il suo sostegno ad un pacchetto economico che al tempo stesso prevede riduzione
delle tasse ed espansione della spesa pubblica. Una possibilità che oggi è
preclusa dai rigidi parametri di Maastricht che in nome della stabilità
dell’euro pongono limiti molto stretti alla possibilità di fare altro debito.
Di qui l’affermazione di Savona che se non funziona il piano A, bisogna avere
di riserva il piano B che prevede l’uscita dall’euro per recuperare piena
sovranità sulle politiche monetarie, fiscali e di bilancio.
In termini di
obiettivi economici personalmente sono su posizioni diverse rispetto a quelle
di Savona. Credo che il nostro obiettivo non debba essere la crescita, ma una
distribuzione più equa della ricchezza e una riconversione ecologica della
produzione e del consumo, in una logica di inclusione lavorativa che passa al
tempo stesso tramite una riduzione dell’orario di lavoro e di più stato per la
fornitura di servizi pubblici e tutela dei beni comuni. Il grande macigno che
blocca la strada di questo percorso è un debito pubblico verso privati che
sottrae risorse enormi alla collettività. Per questo credo che la grande
battaglia debba essere condotta per liberarci dal debito, senza fare pagare i
più deboli. Che significa aprire un contenzioso con i mercati ancora più acuto
di quello aperto dall’ipotesi di uscire dall’euro finalizzato a raggiungere
meglio gli obiettivi di sistema.
In conclusione,
che si persegua un obiettivo o l’altro, la necessità di recuperare tutti gli
strumenti che permettono ai governi di esercitare a pieno la loro funzione di
promozione sociale e di indirizzo economico, si pone in ogni caso. Gli
europeisti che credono in un’Europa sociale, chiedono di provare fino in fondo
a recuperare questa condizione tutti insieme, ma forse dobbiamo ammettere che i
margini per riuscirci sono molto scarsi, visti gli egoismi nazionali che
dominano a livello europeo. Per cui uno scontro con l’Europa, ma ancora di più
con i mercati sembra ineludibile. Uno scontro che pur essendo economico,
diventa inevitabilmente istituzionale perché pone il problema di chi comanda.
Mattarella ha ammesso che comandano i mercati e un’affermazione del genere è di
una gravità inaudita da parte del garante di una Costituzione che afferma
solennemente che la sovranità appartiene al popolo.
Mattarella avrebbe
dovuto rispettare la volontà popolare e annunciare nel tempo stesso che si
andava alla guerra. Informare i cittadini della situazione era suo obbligo, poi
i cittadini o meglio i suoi rappresentanti in Parlamento avrebbero deciso le
misure da assumere nel giorno per giorno. L’esito avrebbe anche potuto essere
una grande ritirata o l’apertura di una nuova stagione in cui si tornava a
ridiscutere il ruolo dello stato, il ruolo dei mercati e quale Europa vogliamo
davvero. Ne abbiamo bisogno e Mattarella doveva permetterlo, anche se dovevamo
accettare di andare verso l’ignoto.
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