mercoledì 30 maggio 2018

Il gran rifiuto di Mattarella e la crisi delle democrazie - Francesco Gesualdi


I provvedimenti discriminatori e persecutori contro gli immigrati, aggiunti alla flat tax che avrebbe aggravato le disuguaglianze, per me erano e restano scelte inaccettabili che inficiano l’intero programma presentato da M5S e Lega, che eppure contiene elementi condivisibili. Ma la scelta del Presidente della Repubblica di non accettare Paolo Savona come ministro dell’economia, rappresenta una grave ferita per la democrazia. Le ragioni addotte da Mattarella per rifiutare la sua firma sotto quel nome sono che “la designazione del ministro dell’economia costituisce sempre un messaggio immediato di fiducia o di allarme per gli operatori economici e finanziari”. Ed ha continuato “ho chiesto per quel ministero la designazione di un esponente politico della maggioranza che non sia visto come sostenitore di una linea che potrebbe provocare, probabilmente o inevitabilmente, l’uscita dell’Italia dall’euro”.
Tradotto, Mattarella ha detto che siamo tutti dei vigilati speciali e che l’ultima parola sul tipo di governo che si deve insediare nei singoli paesi l’hanno i mercati che attraverso le loro scelte di acquisto o di vendita di valute e titoli del debito pubblico possono decretare la vita a la morte delle economie nazionali. E a sottolineare come il potere di banche, assicurazioni e fondi di investimento sia assoluto, nel senso che non c’è modo di portare il mercato ad alcun tavolo di negoziazione, Mattarella ha usato l’aggettivo ”immediato”. Come dire: il mercato osserva, ascolta e reagisce immediatamente ora per salvaguardare i propri capitali, ora per creare condizioni propizie ai propri calcoli di guadagno. Non a caso la sua richiesta era che venisse proposto un altro nome percepito dai mercati come meno dirompente di Paolo Savona.
Diciamolo con chiarezza: Paolo Savona è un economista di sistema convinto sostenitore del mercato e della crescita, che non mette in discussione l’obbligo dello stato a pagare i suoi creditori. Però è altrettanto persuaso che per rilanciare l’economia italiana bisogna spendere di più come cittadini e come stato. Di qui il suo sostegno ad un pacchetto economico che al tempo stesso prevede riduzione delle tasse ed espansione della spesa pubblica. Una possibilità che oggi è preclusa dai rigidi parametri di Maastricht che in nome della stabilità dell’euro pongono limiti molto stretti alla possibilità di fare altro debito. Di qui l’affermazione di Savona che se non funziona il piano A, bisogna avere di riserva il piano B che prevede l’uscita dall’euro per recuperare piena sovranità sulle politiche monetarie, fiscali e di bilancio.
In termini di obiettivi economici personalmente sono su posizioni diverse rispetto a quelle di Savona. Credo che il nostro obiettivo non debba essere la crescita, ma una distribuzione più equa della ricchezza e una riconversione ecologica della produzione e del consumo, in una logica di inclusione lavorativa che passa al tempo stesso tramite una riduzione dell’orario di lavoro e di più stato per la fornitura di servizi pubblici e tutela dei beni comuni. Il grande macigno che blocca la strada di questo percorso è un debito pubblico verso privati che sottrae risorse enormi alla collettività. Per questo credo che la grande battaglia debba essere condotta per liberarci dal debito, senza fare pagare i più deboli. Che significa aprire un contenzioso con i mercati ancora più acuto di quello aperto dall’ipotesi di uscire dall’euro finalizzato a raggiungere meglio gli obiettivi di sistema.
In conclusione, che si persegua un obiettivo o l’altro, la necessità di recuperare tutti gli strumenti che permettono ai governi di esercitare a pieno la loro funzione di promozione sociale e di indirizzo economico, si pone in ogni caso. Gli europeisti che credono in un’Europa sociale, chiedono di provare fino in fondo a recuperare questa condizione tutti insieme, ma forse dobbiamo ammettere che i margini per riuscirci sono molto scarsi, visti gli egoismi nazionali che dominano a livello europeo. Per cui uno scontro con l’Europa, ma ancora di più con i mercati sembra ineludibile. Uno scontro che pur essendo economico, diventa inevitabilmente istituzionale perché pone il problema di chi comanda. Mattarella ha ammesso che comandano i mercati e un’affermazione del genere è di una gravità inaudita da parte del garante di una Costituzione che afferma solennemente che la sovranità appartiene al popolo.
Mattarella avrebbe dovuto rispettare la volontà popolare e annunciare nel tempo stesso che si andava alla guerra. Informare i cittadini della situazione era suo obbligo, poi i cittadini o meglio i suoi rappresentanti in Parlamento avrebbero deciso le misure da assumere nel giorno per giorno. L’esito avrebbe anche potuto essere una grande ritirata o l’apertura di una nuova stagione in cui si tornava a ridiscutere il ruolo dello stato, il ruolo dei mercati e quale Europa vogliamo davvero. Ne abbiamo bisogno e Mattarella doveva permetterlo, anche se dovevamo accettare di andare verso l’ignoto.

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