Uno spazio nero, fumoso, mefitico.
Ultima fermata per disperati alla ricerca di un lavoro e di un tetto, anche se
di lamiera. Luogo di affari illeciti e sfruttamento, di disagio sociale e di
abuso, ma anche di lucro e riserva di voti in tempo di elezioni.
Questa è
Agbogbloshie, la discarica di rifiuti elettronici più estesa e tristemente nota
del continente africano. E a cui nel tempo è stato dato il nome di Sodoma e Gomorra,
risonanza biblica che parla di “peccati”, smoderatezza, perdita di dignità. Qui
tutto è eccessivo. Eccessiva è la quantità di rifiuti di ogni genere; eccessivo
è il numero di persone che ci vive; eccessivo è l’odore pungente e –
naturalmente – l’inquinamento provocato dal fumo continuo di materiale bruciato
per ricavarne ogni piccola parte rivendibile. Ed eccessivo è persino
l’interesse di media, ong, fondazioni. Sproporzionato rispetto ai risultati,
perché le parole e le energie – anche finanziarie – spese qui sarebbero state
sufficienti a cambiare questa realtà assai prima che incancrenisse.
Agbogbloshie
è ad Accra, capitale del Ghana. Quello stesso paese considerato un modello per
i risultati economici degli ultimi anni, per la sua democrazia basata
sull’alternanza, per l’accoglienza agli investitori stranieri che qui hanno
trovato stabilità e condizioni favorevoli per le proprie imprese. Situata in un
sobborgo della capitale, a due passi da grandi arterie, mercati, centri
istituzionali e banche, Agbogbloshie rappresenta un grande buco nero. Un luogo
dove tutto è possibile e illegalità e rischio sono la norma.
Qui
approdano ogni anno migliaia e migliaia di tonnellate di e-waste (impossibile
fornire una cifra precisa). Computer, stampanti, televisori, fornetti
elettronici, frigoriferi, cellulari. Roba ormai inutile secondo chi la butta
via. Condemned things, come la definiscono qui, e anche questo è un
termine preso in prestito dalla Bibbia. Arrivano dall’Europa – compresa
l’Italia – dagli Stati Uniti, da paesi cosiddetti avanzati che, però, non
riescono a smaltire questi oggetti di consumo in modo adeguato e seguendo le
regolari procedure.
A inviarli
sono aziende, imprese, ma anche organizzazioni non governative che hanno fatto
negli anni la loro parte inviando computer usati per ridurre il gap
tecnologico, ma aumentando la mole di rifiuti hi-tech. Sono oggetti che
rientrano nella categoria di “rifiuti pericolosi” e che quindi, secondo la
Convenzione di Basilea (il principale trattato internazionale per la
regolamentazione dei movimenti di rifiuti pericolosi fra le nazioni), sarebbe
vietato spedire nei paesi in via di sviluppo. Ma quella stessa convenzione ne
permette l’esportazione per la riparazione e il riuso. E così avviene. Ogni
settimana decine di container contenenti questa merce arrivano nel porto di
Tema, grande centro a circa 30 chilometri dalla capitale.
False
etichette per indicare che si tratta di beni di “seconda mano”, e una catena di
corruzione sistematica rende possibile lo scarico anche di quegli oggetti che
sono, in realtà, in massima parte inutilizzabili. Frigo, pc, cellulari e
quant’altro, rimessi in vita, arrivano nelle case dei ghaneani, quelli che non
possono permettersi di acquistare un prodotto nuovo, o nei tanti negozietti sparsi
dappertutto. Il resto finisce a Sodoma e Gomorra. Il fatto è che anche gli
oggetti di seconda mano rimessi in circolazione avranno vita breve e finiranno
nella stessa discarica. Pezzi inutili per chi se ne libera, utilissimi per chi
li smantella – e a mani nude – nella discarica. E utilissima per chi di questa
discarica ha fatto il proprio, lucrativo business.
Sì, perché
il mondo di Agbogbloshie si distingue tra i disperati e gli speculatori. E tra
questi c’è l’apparato politico, i capizona, quelli che...
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