(Metto qui un post che avevo scritto su
Facebook, ché è una riflessione che voglio continuare.)
Due dati
sulla colonizzazione spagnola e una premessa: dal s. XVI, l’operato della
Spagna in America è stato oggetto di una violentissima campagna denigratoria
chiamata Leggenda nera, il cui scopo apparente era/è la denuncia dei crimini
commessi dai conquistatori spagnoli.
In realtà, la Leggenda servì (e continua a servire ancora oggi, in questo
momento) a sottrarre il colonialismo alla sua dimensione planetaria, legata
alla comparsa e al consolidamento del capitalismo (ve la immaginate, l’Europa
di oggi, se non ci fosse stato il colonialismo?) e a gettarne tutte le
responsabilità su un unico paese, la Spagna, che nel s. XVI era il più potente
e al cui posto aspiravano le metropoli concorrenti: Olanda, Francia e
Inghilterra in particolare. Potenze che, in seguito, ne presero effettivamente
il posto, come “portatrici di civiltà”, compiendo crimini maggiori, più
efferati e in tempi più vicini a noi.
Se facciamo
un bilancio, oggi, dei crimini coloniali o neocoloniali commessi da Olanda,
Francia, Inghilterra, Belgio, Stati Uniti (e mettiamoci pure Israele), la
Spagna spicca solo per una cosa: per essere stato il paese che si è posto più
scrupoli, riflessi in un’imponente legislazione a favore delle popolazioni
indigene e nella creazione, dal primo istante, di un meticciato senza uguali
nel pianeta. Nessuna altra potenza coloniale espresse, nei secoli passati,
uomini come Bartolomé de las Casas, in nessuno ci furono polemiche interne
sulla legittimità della Conquista come ci furono in Spagna.
Pierre Vilar scrive: “E’ degno di nota, per una potenza coloniale, avere avuto
un Las Casas e non averlo lasciato isolato e privo di influenza. La Escuela de
Salamanca, con Melchor Cano, Domingo de Soto e Francisco de Vitoria, a metà del
s. XVI, riuscì a spostare la discussione dal piano umanitario a quello
giuridico del “diritto delle genti”. […] L’essenziale, di fatto, è distinguere
tra una pratica brutale (ma non più brutale di qualsiasi altra colonizzazione)
e una dottrina, che include una legislazione dalle intenzioni sommamente
elevate, che sono peraltro costantemente mancate in colonizzazioni più
moderne.”
Fare della
Spagna lo “straw man” del colonialismo ha peraltro svolto, e continua a
svolgere, un ruolo di rafforzamento delle “ragioni” del razzismo dei paesi
“bianchi”, che sono alla base del loro discorso “civilizzatorio”. L’Africa, si
sa, comincia con i Pirenei. Gli spagnoli erano diversi, impasto di mori ed ebrei,
scuri e cattolici. Facile raffigurarli nella rappresentazione dell’Altro.
E arriviamo a oggi: è indubbio che buona parte della cultura ispanoamericana è
di matrice spagnola. Dalla sua storia all’unità linguistica, fino ai suoi
uomini più rappresentativi, a cominciare da José Martì. Per secoli, inoltre, la
Spagna rimane fuori dal novero delle “potenze occidentali”, in una situazione
economica e sociale che non è quella dei paesi dal capitalismo pienamente
sviluppato. Gettare discredito sulla Spagna serve a gettarlo sulle radici
culturali dell’Ispanoamerica e a creare il terreno per missioni
“civilizzatorie” sempre nuove, costanti nel tempo. Ad affascinare quei gruppi
sociali ispanoamericani avidi di “modernizzazione” e a ribadire la presunta
superiorità di quei paesi che ancora oggi, per sostenere le loro politiche di
rapine, hanno bisogno di vendere ai colonizzandi la narrazione della loro
presunta superiorità, anche morale.
E quindi,
no: non è un bello spettacolo, quello della furia antispagnola dei benintenzionati
cittadini USA. Dovrebbero guardare in casa loro, per essere credibili.
Suggerirei il monumento al Maine di New York, per esempio.
(Come fonti
sto usando R. Fernandez Retamar, “Contra la Leyenda Negra”, e G. Bellini,
“Spagna e Ispanoamerica, storia di una civiltà”.)
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