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Attac Italia
Guerra, società, alternativa: Spunti di riflessione da parte di Attac Italia
1.Una guerra che contiene tante guerre
Lo scenario apertosi con l’invasione russa dell’Ucraina ha spalancato le porte alla complessità della situazione internazionale, dove non c’è più un ordine mondiale definito e dove le diverse potenze sono in conflitto per la definizione di un nuovo ordine internazionale.
La guerra stessa sembra il concentrato di molte guerre, come una sorta di matrioska, al cui interno troviamo: un conflitto civile interno all’Ucraina determinato dalle spinte separatiste delle regioni del Donbass; un conflitto fra Stati, determinato dall’invasione russa dell’Ucraina; un conflitto fra imperialismi e blocchi militari che vede la Russia da una parte e Usa, Nato e governi europei dall’altra; infine, si intravede la possibile guerra futura che vedrà in campo i veri contendenti all’egemonia mondiale, ovvero Usa e Cina.
Nessuno degli attori in campo sembra attivarsi per ciò che sarebbe subito necessario: il cessate il fuoco immediato e l’apertura di negoziati; al contrario, i venti di guerra soffiano da ogni parte e lo scenario appare sempre più quello di una guerra di lunga durata e conseguente rischio di escalation verso una terza guerra mondiale.
La guerra in atto richiama scenari simili a quelli della prima guerra mondiale, con alcune sensibili differenze: non è all’orizzonte alcuna rivoluzione sociale, come invece fu la rivoluzione bolscevica del 1917; non c’è contrapposizione ideologica reale, nonostante i tentativi di mettere in campo i “valori dell’Occidente”, ma siamo di fronte a un multipolarismo oligarchico in lotta per il dominio.
In tutto questo, la deriva dell’Europa sembra palpabile: siamo al declino dell’eurocentrismo, con un’Europa, incapace di un’azione politica autonoma, divenuta il territorio concreto dentro il quale si combatte e il territorio economico e sociale su cui si scaricheranno le maggiori ricadute di questi combattimenti.
Ma, naturalmente, in un mondo globalizzato, la guerra in Ucraina porta con sé conseguenze globali e il blocco delle catene di approvvigionamento, già messe a dura prova durante la pandemia, rischia di provocare crisi alimentari spaventose, in particolare nel continente africano e nella regione del Medio Oriente. E naturalmente probabili nuove migrazioni di massa.
Fermare la guerra diviene un obiettivo prioritario, anche perché, come spieghiamo meglio di seguito, la guerra rischia di chiudere tutte le faglie aperte dalla pandemia sulla ridiscussione radicale del modello esistente e sulla necessità di un’alternativa di società.
Essere contro la guerra significa essere anche contro il ruolo di co-belligeranza non combattente scelto dall’Italia e dagli altri governi europei con l’invio di armi sempre più sofisticate sul terreno del conflitto.
- La guerra chiude le faglie di sistema aperte dalla pandemia
Ovviamente la guerra, nella quale siamo stati trascinati senza soluzione di continuità con la pandemia, viene utilizzata dai poteri dominanti per chiudere ogni dialettica apertasi in seguito alla pandemia.
Lo stesso Recovery Plan, che abbiamo a più riprese contestato controproponendo il nostro Recovery PlanET, è stato sostanzialmente archiviato ed ora si parla apertamente di Recovery di guerra.
Lo segnalano diversi fattori:
a) la corsa al riarmo, con l’aumento delle spese militari e l’utilizzo dei fondi del Pnrr per costruire una gigantesca base militare a Pisa dentro un parco nazionale;
b)l’utilizzo dell’impennata del prezzo del grano–in realtà determinato dalla speculazione finanziaria- per spingere alla concentrazione verso i colossi dell’agrobusiness dei fondi della Politica Agricola Europea e per aprire agli Ogm;
c)l’utilizzo della necessità dell’indipendenza energetica per mettere in campo un’autarchia energetica basata sulla riapertura delle centrali a carbone, il via libera a tutte le trivellazioni di mare e di terra, il rilancio del nucleare;
d)la proposta avanzata da Confindustria e Governo ai sindacati di un blocco salariale a fronte di un’inflazione galoppante;
e)il tentativo di aprire una nuova stagione di privatizzazioni con il Ddl concorrenza.
Di fatto, l’ideologia per cui “il benessere delle imprese determina il benessere della società” continua ad essere inossidabile, nonostante le evidenze della realtà. E la cultura dell’impresa sta accelerando anche l’aziendalizzazione del sociale.
Tutto questo diviene possibile solo dentro un contesto sempre più autoritario –facilitato dal clima di guerra- che comporta un aumento esponenziale della repressione dei movimenti sociali e una gigantesca sottrazione di democrazia, ormai costantemente bypassata anche dentro le sedi elettive.
Un quadro che rende sempre più urgente la necessità di costruire una grande e permanente mobilitazione sociale per riaprire lo spazio ad un’alternativa di società.
3.Tenetevi liberi per l’autunno
L’insieme di percorsi messi in campo in questi due anni hanno prodotto importanti risultati in tema di convergenza dei movimenti e di progressiva accumulazione di forza.
Da una parte la “Società della Cura”, che nei tempi più duri della pandemia ha aperto uno spazio politico, un orizzonte di alternativa e un percorso di confronto e mobilitazione che ha fatto incrociare moltissime diverse soggettività; dall’altra, interconnessa alla prima, l’esperienza del Collettivo di fabbrica ex Gkn, che, a partire dalla propria vertenza, ha costruito un altrettanto fertile percorso di convergenza, rispetto al quale si sono tirate le file nell’assemblea nazionale dello scorso 15 maggio a Campi Bisenzio.
L’insieme di questi processi sta lanciando un “tenetevi liberi per l’autunno”, ovvero la proposta che ogni realtà associativa, sindacale e politica di movimento e ogni realtà territoriale organizzino iniziative di preparazione a un momento comune da tenersi nell’autunno.
L’idea potrebbe essere quella di una grande manifestazione nazionale a Roma in ottobre, in occasione della presentazione in Parlamento della Legge di Bilancio.
L’iniziativa di ottobre va anch’essa pensata come una tappa di un percorso di accumulazione di forze per arrivare –se e quando ce ne saranno le condizioni- a un vero sciopero generale e generalizzato che blocchi davvero il Paese e costringa l’agenda politica a tenere conto di quanto una società auto-organizzata dal basso rivendica e propone in direzione dell’alternativa di società.
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