Dialogo con lo scrittore israeliano divenuto sostenitore di
uno Stato per ebrei e palestinesi insieme. «In Cisgiordania – spiega Yehoshua –
nello spazio di un chilometro trovi gli abitanti di una colonia israeliana con
pieni diritti e quelli di un villaggio palestinese che invece diritti non ne
hanno. Non è accettabile»
Il Tunnel di A.B. Yehoshua non è un romanzo a sfondo politico, o
almeno non lo è nella sua finalità originaria. Il protagonista, Zvi Luria, è un ingegnere che fa i
conti con il declino delle sue facoltà mentali e che deve trovare un
compromesso con la sua malattia. Il racconto, con tratti autobiografici, di
Yehoshua tuttavia include due episodi con un significato politico.
Nel primo Luria va al kibbutz Sde Boker a visitare la tomba
di David Ben-Gurion, uno dei principali leader
sionisti e padre fondatore di Israele. Nel secondo, trovandosi di fronte a una
famiglia palestinese che vive sul percorso della strada che sta costruendo nel
deserto del Negev, pensa che non vada espulsa e di dover costruire un tunnel
sotto quell’abitazione.
La visita di Zvi Luria alla tomba di Ben Gurion è un omaggio o un addio al Sionismo classico che l’83enne Yehoshua
ha abbracciato per quasi tutta la sua vita? Il tunnel
alternativo all’espulsione della famiglia palestinese è il segnale di strada
diversa che lo scrittore propone per il rapporto con i palestinesi in Israele e
nei Territori occupati?Yehoshua non risponde direttamente questi interrogativi
durante la conversazione telefonica che abbiamo avuto con lui sul tema
dell’annessione unilaterale a Israele di una larga porzione di Cisgiordania
palestinese al centro del programma del nuovo governo Netanyahu (il progetto fu
poi accantonato).
«Spero che Netanyahu non muova questo passo (l’annessione),
finirebbe per rafforzare l’apartheid che già esiste in Cisgiordania», ci dice
lo scrittore, uno degli autori israeliani più conosciuti e tradotti all’estero.
«Ci sono Bantustan palestinesi» prosegue «non so come altro potrei definirli.
In Cisgiordania nello spazio di un chilometro trovi gli abitanti di una colonia
(israeliana) che godono di pieni diritti e quelli di un villaggio palestinese
che diritti invece non ne hanno. E questo non è accettabile».
Apartheid, Bantustan, termini che Yehoshua usa sempre più spesso
da qualche tempo a questa parte. Una
netta frattura rispetto al passato recente in cui lo scrittore è stato un
accanito sostenitore della «separazione» tra ebrei e arabi e che inizialmente vide nel Muro fatto costruire da Ariel Sharon in
Cisgiordania parte della soluzione dei problemi.
Oggi pensa che la soluzione invece sia uno Stato
unico, binazionale, per ebrei e palestinesi su tutta la Palestina storica,
unica possibilità per evitare l’apartheid. «Israele di fatto è
già uno Stato binazionale» spiega «due milioni di palestinesi sono cittadini di
Israele, lavorano negli ospedali come medici e infermieri, svolgono tutte le
attività professionali, sono ovunque pur soffrendo delle discriminazioni. E 72
anni dopo (dalla nascita di Israele, oggi è l’anniversario, ndr), sulla base di
questa lunga esperienza, dico che come i palestinesi in
Israele anche quelli della Cisgiordania possono e devono ottenere residenza e
cittadinanza. Possiamo vivere insieme in un unico Stato, senza annullare le
nostre rispettive identità».
Yehoshua peraltro non esclude che nello Stato
unico che ha in mente un palestinese possa diventare premier di Israele:
«Perché no?» ci dice.
Lo Stato per ebrei e arabi di Yehoshua non è uguale a quello che è oltre il Sionismo, il nazionalismo, il
colonialismo che teorizzano l’accademico Ilan Pappé e altri intellettuali,
studiosi e attivisti ebrei e palestinesi. Ma senza dubbio
è una voce autorevole fuori dal coro del sostegno acritico a qualsiasi politica
di Israele nei confronti del territorio e dei palestinesi. E contro il mantra
della soluzione a Due Stati, Israele e Palestina.
«Quell’idea è morta – conclude lo scrittore – l’hanno uccisa le
tante colonie (israeliane) che sono state costruite negli ultimi decenni con
l’approvazione degli Stati uniti. L’Europa
protesta, eppure sino ad oggi non ha fatto nulla di concreto, proprio nulla,
per fermare la colonizzazione israeliana».
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