Al centesimo giorno di guerra tra Russia e Ucraina si contano soltanto i morti, gli strazi dei feriti e le distruzioni di città intere, ma non si apre nessuna prospettiva di pace.
Anzi aumentano i fattori che fanno pensare a un inasprimento della guerra
con la prospettiva finale di una guerra atomica.
Infatti Putin e Zelensky non si muovono dalle loro posizioni e gli Stati
Uniti continuano a inviare armi, in modo da tenere accesa il più possibile la
probabilità di un esito fatale di questo conflitto che certamente non ha nessun
carattere di un conflitto regionale.
Sul piano economico ha fatto molto scalpore un rapporto dell’Ocse, secondo
il quale negli ultimi 30 anni le retribuzioni medie sono aumentate in Germania
del 33,7%, in Francia del 31,1%, in Olanda del 15,5%, solo per fare alcuni
esempi, mentre soltanto l’Italia ha visto una riduzione del 2,9%, registrando
altresì una serie di retribuzioni sotto la soglia della povertà.
Alcuni autori, molto legati alla Confindustria, affermano che ciò è dovuto
a una presunta allergia degli italiani al libero mercato.
È una grossa menzogna. La verità è proprio l’opposto, l’economia italiana,
posta in mano a privati, dalle insensate privatizzazioni, delocalizzazioni e
finanziarizzazione del mercato, ostacola in modo pesante qualsiasi forma di
investimento, in quanto è stata distrutta l’intera filiera economica che
sostiene l’iniziativa economia privata.
Un grosso apporto per la stabilità economica italiana, con il relativo
controllo dei prezzi e delle retribuzioni, era stato attuato dall’Ente pubblico
economico IRI, che aveva 1000 aziende pubbliche e 500 mila dipendenti e, al
momento della privatizzazione, vantava un fatturato di 75 912 miliardi di lire,
donato al migliore offerente.
In quel periodo era ancora attuato il terzo comma dell’articolo 41 della
Costituzione, secondo il quale: “la legge determina i programmi e i controlli
opportuni, perché l’attività economica pubblica e privata possa essere
indirizzata e coordinata a fini sociali”.
Proprio l’anelito alla libertà dei mercati ha impedito ai governi qualsiasi
ricorso a questo importante principio fondamentale della Costituzione e oggi
vanamente si invoca, dagli stesi distruttori del sistema economico italiano, di
porre un tetto minimo ai salari.
Insomma è proprio la libertà dei mercati che ha distrutto il lavoro in
Italia, basta pensare che, secondo la Costituzione, ogni lavoratore ha
l’obbligo di essere costruttore dell’economia italiana, come precisa il comma
2, dell’articolo 4, secondo il quale: “ogni cittadino ha il dovere di svolgere
un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale
della società.”
Viceversa i governi, sotto la spinta di Confindustria, hanno seguito il
principio del programma di Cosentino della P2 di Gelli e hanno tolto ai
lavoratori questo compito fondamentale, trasferendolo unicamente ai cosiddetti
patronati, cioè alla Confindustria, senza tener presente che meno denaro
circola in Italia sempre più difficile è svolgere un’attività imprenditoriale.
La responsabilità di tutto questo cade indiscutibilmente sul pensiero
economico predatorio neoliberista che ha soppiantato il sistema economico
produttivo keynesiano, secondo il quale la ricchezza va distribuita alla base
della piramide sociale e tutto il Popolo, attraverso lo Stato, deve essere
protagonista dell’economia (e quindi equamente retribuito ai sensi
dell’articolo 36 della Costituzione), con il sistema economico predatorio
neoliberista secondo il quale la ricchezza deve essere nelle mani di pochi ,
costoro devono essere in forte concorrenza e lo Stato non deve intervenire
nell’economia.
Tutto questo è stato puntigliosamente attuato con la totale dismissione
della ricchezza pubblica e privata, a favore del mercato generale, nel quale
dominano gli stranieri, e l’Italia, unica in Europa, proprio per aver seguito
le prescrizioni del pensiero neoliberista, si trova ora nella descritta
tragedia economica.
Attenzione a coloro che usano la menzogna per tutelare interessi
privatistici e non del Popolo sovrano.
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