Da cosa è stato suicidato Mohamed Mahmoud
Abdel Aziz? Dal nostro razzismo strisciante o dalla nostra indifferenza? Dalla
crudeltà dei lager libici camuffati da centri di accoglienza o dal sistema
globale che produce i profughi dalla pelle nera?
Aveva 19 anni e ha deciso di
porre fine ai suoi giorni quando ha capito che le torture subite ad Ain Zara in
Libia erano condizione peggiore di quelle che si era lasciato alle spalle in
Darfur (Sudan). Come gli ucraini scappava dalla guerra, come gli ucraini, con
l’anima piagata, mendicava solidarietà. Giustamente Nello Scavo oggi
nell’editoriale su Avvenire fa notare che “Tripoli dista 1.000 chilometri
esatti da Roma. Kiev quasi 1.800. All’Ucraina l’Italia invia armi. Anche alla
Libia. Nel primo caso, per sostenere l’esercito che combatte l’aggressione di
Mosca. Nel secondo, per impedire a profughi e migranti di raggiungere le nostre
coste”. Anche il suo campo di detenzione è finanziato infatti con “gli aiuti”
europei e italiani. Insieme a Mohamed si è suicidata la solidarietà
internazionale, la fraternità. E quella disparità di trattamento dei disperati
chiamatela ipocrisia, cinismo, oppure sarebbe meglio dire schizofrenia. Nel
frattempo che voi cercate la definizione migliore, la mia anima si inginocchia
davanti alla vita muta di un diciannovenne al quale chiedere solo perdono.
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