Prima di passare a un
quadro più ampio consideriamo gli sviluppi in Israele, poiché il suo governo
“storico”, in carica da un anno, che includeva per la prima volta un partito
che rappresenta una parte della minoranza israeliana di cittadini palestinesi,
sta vacillando.
La crisi è scoppiata,
come tutti si aspettavano prima o poi sarebbe successo, perché il parlamento
israeliano ha dovuto votare su una questione importante relativa
all’occupazione: rinnovare una legge provvisoria che per decenni ha
regolarmente esteso l’ordinamento giuridico israeliano al di fuori del suo
territorio, applicandolo ai coloni ebrei che vivono su terreni palestinesi
rubati in Cisgiordania.
Quella legge è al
centro di un sistema politico israeliano che i principali gruppi mondiali per i
diritti umani, sia in Israele che all’estero, riconoscono ora tardivamente come
un regime di Apartheid. La legge garantisce che i coloni ebrei che vivono in
Cisgiordania in violazione del diritto internazionale ricevano diritti diversi
e di gran lunga superiori a quelli dei palestinesi che sono governati dalle
autorità militari di occupazione israeliane.
La legge sancisce il
principio della disuguaglianza in stile leggi di Jim Crow, creando due diversi
sistemi giuridici in Cisgiordania: uno per i coloni ebrei e un altro per i
palestinesi. Ma fa di più. Quei diritti superiori, e la loro applicazione da
parte dell’esercito israeliano, hanno consentito per decenni ai coloni ebrei di
scatenarsi contro le comunità rurali palestinesi nell’assoluta impunità e di
rubare le loro terre, al punto che i palestinesi sono ora confinati in
minuscoli frammenti segregati della loro stessa Patria.
Nel diritto
internazionale, quel processo è chiamato “trasferimento forzato”, o ciò che
potremmo definire pulizia etnica. È uno dei motivi principali per cui gli
insediamenti sono un crimine di guerra, un fatto che la Corte Penale
Internazionale dell’Aia sta trovando molto difficile da ignorare. I principali
politici e generali israeliani sarebbero tutti processati per crimini di guerra
se vivessimo in un mondo giusto e sensato.
Allora cosa è successo
quando questa legge è stata presentata al parlamento per una votazione sul suo
rinnovo? Il governo “storico”, presumibilmente una coalizione variopinta di
partiti ebrei di sinistra e di destra uniti da un partito palestinese
religiosamente conservatore, si è diviso su posizioni etniche del tutto
prevedibili.
I membri del partito
palestinese hanno votato contro la legge o si sono astenuti. Tutti i partiti
ebrei al governo hanno votato a favore. La legge non è passata, e il governo è
ora in difficoltà, perché il partito di destra Likud dell’ex Primo Ministro
Benjamin Netanyahu si è unito ai partiti palestinesi nel votare contro la
legge, nella speranza di far cadere il governo, anche se i suoi legislatori
sono completamente coinvolti nel sistema di Apartheid che sostiene.
Sostenere l’apartheid
La cosa più
significativa del voto è che ha rivelato qualcosa di molto più brutto sul
tribalismo ebraico di Israele di quanto la maggior parte degli occidentali
apprezzi. Mostra che tutti i partiti ebraici di Israele, anche quelli
“moderati” che sono definiti di sinistra o liberali, sono essenzialmente
razzisti.
La maggior parte degli
occidentali ritiene che il sionismo sia diviso in due grandi campi: il campo di
destra, inclusa l’estrema destra, e il campo di sinistra liberale.
Oggi questo cosiddetto
campo di sinistra liberale è minuscolo e rappresentato dal Partito Laburista
israeliano e Meretz. Il Partito Laburista israeliano è considerato così
rispettabile che il leader Laburista britannico, Sir Keir Starmer, ha celebrato
pubblicamente il recente riallaccio dei rapporti interrotti tempo prima dal
partito israeliano durante il mandato del predecessore di Starmer, Jeremy
Corbyn.
Da notare che i
partiti Laburista e Meretz non solo sono stati per un anno in un governo
guidato da Naftali Bennett, il cui partito rappresenta gli insediamenti
illegali, ma hanno anche appena votato per la stessa legge sull’Apartheid che
garantisce ai coloni diritti superiori sui palestinesi, compreso il diritto di
ripulire etnicamente i palestinesi dalla loro terra.
Nel caso del Partito
Laburista israeliano, non c’è da sorprendersi. I laburisti fondarono i primi
insediamenti e, a parte un breve periodo alla fine degli anni ’90 in cui hanno
reso omaggio a un processo di pace, hanno sempre sostenuto fino in fondo il
sistema di Apartheid che ha consentito agli insediamenti di espandersi. Niente
di tutto ciò ha mai turbato il Partito Laburista britannico, a parte quando era
guidato da Corbyn, un autentico antirazzista.
Ma a differenza dei
laburisti, Meretz è un partito dichiaratamente contro l’occupazione. Questo è
stato il vero motivo per cui fu fondato all’inizio degli anni ’90. L’opposizione
all’occupazione e agli insediamenti è presumibilmente radicata nel suo DNA.
Allora perché ha votato a favore della legge sull’Apartheid che sta alla base
degli insediamenti?
Ipocrisia assoluta
Gli ingenui, o i
maliziosi, diranno che Meretz non aveva scelta perché l’alternativa era che il
governo di Bennett perdesse il voto, cosa che in realtà è accaduta comunque,
riaccendendo le possibilità che Netanyahu torni al potere. Meretz aveva
presumibilmente le mani legate.
Questo argomento, di
vera necessità, è quello che sentiamo spesso quando i gruppi che affermano di
credere in una cosa agiscono in modi che danneggiano proprio ciò che dicono di
avere a cuore.
Ma il giornalista
israeliano Gideon Levy fa un’analisi molto significativa che si applica ben
oltre questo particolare caso israeliano.
Osserva che Meretz non
avrebbe mai votato per la legge sull’Apartheid, qualunque fossero state le
conseguenze, se la questione fosse stata la violazione dei diritti della
comunità LGBTQ di Israele piuttosto che la violazione dei diritti dei
palestinesi. Meretz, il cui leader è gay, pone i diritti LGBTQ in cima al suo
programma.
Levy scrive: “Due
sistemi giudiziari nello stesso territorio, uno per gli etero e l’altro per i
gay? C’è qualche circostanza in cui ciò accadrebbe? Un solo schieramento
politico che potrebbe realizzarlo?”
Lo stesso si potrebbe
dire dei laburisti, anche se crediamo, come sembra fare Starmer, che si tratti
di un partito di sinistra. La sua leader, Merav Michaeli, è un’ardente
femminista.
I laburisti, scrive
Levy, “voterebbero mai per una legge sull’Apartheid contro le donne israeliane
in Cisgiordania? Due sistemi giuridici separati, uno per gli uomini e l’altro
per le donne? Mai. Assolutamente no”.
Il ragionamento di
Levy è che anche per la cosiddetta sinistra sionista, i palestinesi sono
intrinsecamente inferiori in virtù del fatto che sono palestinesi. La comunità
gay palestinese e le donne palestinesi sono altrettanto colpite dalla legge
israeliana sull’Apartheid che favorisce i coloni ebrei quanto gli uomini
palestinesi. Quindi, votando a favore, Meretz e i laburisti hanno dimostrato
che non si preoccupano dei diritti delle donne palestinesi o dei membri della
comunità LGBTQ palestinese. Il loro sostegno alle donne e alla comunità gay
dipende dall’etnia di coloro che appartengono a questi gruppi.
Non dovrebbe essere
necessario sottolineare quanto una tale distinzione per motivi razziali sia
vicina alle opinioni sposate dai tradizionali sostenitori delle leggi di Jim
Crow negli Stati Uniti o dai sostenitori dell’Apartheid in Sud Africa.
Quindi cosa rende
Meretz e i legislatori laburisti capaci non solo di una totale ipocrisia, ma di
un razzismo così palese? La risposta è il sionismo.
Il sionismo è una
forma di tribalismo ideologico che dà priorità al privilegio ebraico nel campo
giuridico, militare e politico. Per quanto ci si possa considerare di sinistra,
se si aderisce al sionismo, significa considerare il proprio tribalismo etnico
estremamente importante, e solo per questo motivo si è razzisti.
Si può non essere
consapevoli del proprio razzismo, si potrebbe non voler essere razzisti, ma
intrinsecamente lo si è. Alla fine, quando arriva il momento cruciale, quando
si percepisce che il proprio tribalismo ebraico è minacciato da un altro
tribalismo, l’istinto di conservazione emergerà. Il razzismo verrà fuori,
proprio come quello di Meretz.
Solidarietà
ingannevole
Ma naturalmente, non
c’è nulla di eccezionale nella maggior parte degli ebrei israeliani o nei
sostenitori sionisti di Israele all’estero, ebrei o meno. Il tribalismo è
endemico nel modo in cui la maggior parte di noi vede il mondo ed emerge
rapidamente ogni volta che percepiamo che la nostra tribù è in pericolo.
La maggior parte di
noi può diventare rapidamente un tribalista estremista. Quando il tribalismo si
riferisce a questioni più banali, come sostenere una squadra sportiva, si
manifesta principalmente in forme meno pericolose, come comportamenti incivili
o aggressivi. Ma se si riferisce a un gruppo etnico o nazionale, incoraggia una
serie di comportamenti più pericolosi: nazionalismo esasperato, razzismo,
discriminazione, segregazione e bellicismo.
Per quanto Meretz sia
sensibile alle proprie identità tribali, sia quella ebraica che una solidale
con la comunità LGBTQ, la sua sensibilità alle preoccupazioni tribali degli
altri può rapidamente dissolversi quando l’altra identità viene presentata come
una minaccia. Ecco perché Meretz, nel dare priorità alla sua identità ebraica,
manca di qualsiasi solidarietà significativa con i palestinesi o anche con la
comunità LGBTQ palestinese.
Invece, l’opposizione
di Meretz all’occupazione e agli insediamenti appare spesso più radicata nel
sentimento che gli insediamenti non siano dannosi per Israele e le sue
relazioni con l’Occidente e che non che siano un crimine contro i palestinesi.
Questa incoerenza
significa che possiamo facilmente essere ingannati su chi sono i nostri veri
alleati. Solo perché condividiamo l’impegno per una cosa, come porre fine
all’occupazione, non significa necessariamente che lo facciamo per le stesse
ragioni, o attribuiamo la stessa importanza al nostro impegno.
È facile, ad esempio,
per gli attivisti della solidarietà palestinese meno esperti presumere, quando
sentono parlare i politici di Meretz, che il partito aiuterà a portare avanti
la causa palestinese. Ma non riuscire a capire le priorità tribali di Meretz è
una ricetta per una costante delusione e un futile attivismo a favore dei
palestinesi.
Il processo di “pace”
di Oslo è rimasto credibile in Occidente per così tanto tempo solo perché gli
occidentali hanno frainteso il modo in cui si adattava alle priorità tribali
degli israeliani. La maggior parte era pronta a sostenere la pace in astratto
purché non comportasse alcuna perdita pratica dei loro privilegi tribali.
Yitzhak Rabin, il
partner israeliano occidentale nel processo di Oslo, ha mostrato cosa
comportasse tale tribalismo sulla scia di una furia armata da parte di un
colono, Baruch Goldstein, nel 1994 che uccise e ferì più di 100 palestinesi
durante la preghiera all’interno della Moschea Ibrahimi nella città palestinese
di Hebron.
Piuttosto che usare la
carneficina come giustificazione per attuare il suo impegno di rimuovere le
piccole colonie di coloni estremisti da Hebron, Rabin ha imposto ai palestinesi
di Hebron il coprifuoco per molti mesi. Tali restrizioni non sono mai state
completamente revocate per molti palestinesi di Hebron e da allora hanno
consentito ai coloni ebrei di espandere le loro colonie.
Gerarchia dei
tribalismi
C’è un altro punto che
va sottolineato e che il caso israelo-palestinese illustra alla perfezione. Non
tutti i tribalismi sono uguali o ugualmente pericolosi. Anche i palestinesi
sono perfettamente capaci di essere tribali. Basta guardare l’atteggiamento
ipocrita di alcuni alti dirigenti di Hamas, per esempio.
Ma qualunque siano le
illusioni condivise dai sionisti, il tribalismo palestinese è chiaramente molto
meno pericoloso per Israele di quanto lo sia il tribalismo ebraico per i
palestinesi.
Israele, lo Stato che
rappresenta i tribalisti ebrei, ha il sostegno di tutti i governi occidentali e
dei principali media, così come della maggior parte dei governi arabi, e per lo
meno la complicità delle istituzioni globali. Israele ha un esercito, una
marina e un’aviazione, che possono fare affidamento sulle armi più moderne e
potenti, a sua volta pesantemente sovvenzionato dagli Stati Uniti Israele gode
anche di uno status commerciale speciale con l’Occidente, il che ha reso la sua
economia una delle più forti del globo.
L’idea che gli ebrei
israeliani abbiano una ragione maggiore per temere i palestinesi (o, in
un’ulteriore illusione, il mondo arabo) di quanti ne abbiano i palestinesi per
temere Israele, è facilmente confutabile. Considerate semplicemente quanti
ebrei israeliani vorrebbero scambiarsi di posto con un palestinese, a Gaza, in
Cisgiordania, a Gerusalemme Est o con la minoranza palestinese che vive
all’interno di Israele.
La lezione è che
esiste una gerarchia di tribalismi e che un tribalismo è più pericoloso se gode
di più potere. I tribalismi potenziati hanno la capacità di causare danni molto
maggiori rispetto ai tribalismi privi di potere. Non tutti i tribalismi sono
ugualmente distruttivi.
Ma c’è un punto più
significativo. Un tribalismo potenziato provoca necessariamente, accentua e approfondisce
un tribalismo privo di potere. I sionisti spesso affermano che i palestinesi
sono un popolo inventato o immaginario perché non si sono identificati come
palestinesi fino a dopo la creazione dello Stato di Israele. L’ex Primo
Ministro israeliano Golda Meir ha notoriamente suggerito che i palestinesi
fossero un popolo inventato.
Questa era,
ovviamente, una sciocchezza opportunistica. Ma ha un fondo di verità che la fa
sembrare plausibile. L’identità palestinese si è chiarita e si è rafforzata a seguito
della minaccia rappresentata dagli immigrati ebrei in arrivo dall’Europa, che
rivendicano la Patria Palestinese come propria.
Come si suol dire, non
sempre si apprezza pienamente ciò che si ha finché non lo si perde. I
palestinesi hanno dovuto affinare la loro identità nazionale e le loro
ambizioni nazionali, di fronte alla minaccia che qualcun altro stesse
rivendicando ciò che avevano sempre creduto gli appartenesse.
Valori superiori
In che modo tutto
questo ci aiuta a comprendere il nostro tribalismo in Occidente?
Non da ultimo, quali
che siano le ansie incoraggiate in Occidente per la presunta minaccia
rappresentata da Russia e Cina, la realtà è che il tribalismo occidentale, a
volte definito “civiltà occidentale”, o “ordine basato sulle regole”, o “mondo
democratico” o, ancora più ridicolmente, “comunità internazionale”, è di gran
lunga il più potente di tutti i tribalismi del pianeta. E quindi anche il più
pericoloso.
Il potere tribale di
Israele, ad esempio, deriva quasi esclusivamente dal potere tribale
dell’Occidente. È un coadiuvante, un’estensione, del potere tribale
occidentale.
Ma dobbiamo essere un
po’ più specifici nel nostro modo di pensare. Noi sottoscriviamo il tribalismo
occidentale, consapevolmente o meno, a seconda che ci consideriamo a destra o a
sinistra dello spettro politico, perché è stato coltivato in noi nel corso
della vita attraverso i genitori, le scuole e i media istituzionali.
Pensiamo che
l’Occidente sia il migliore. Nessuno di noi vorrebbe essere russo o cinese, non
più di quanto gli ebrei israeliani sceglierebbero di essere palestinesi.
Comprendiamo implicitamente che abbiamo privilegi sulle altre tribù. E poiché
siamo tribali, presumiamo che quei privilegi siano in qualche modo
giustificati. Derivano o dalla nostra intrinseca superiorità (un punto di vista
spesso associato all’estrema destra) o da una cultura o tradizioni superiori
(un punto di vista che di solito abbraccia la destra moderata, i liberali e
parti della sinistra).
Ancora una volta,
questo fa eco alle opinioni sioniste. Gli ebrei israeliani di destra tendono a
credere di avere qualità intrinsecamente superiori ai palestinesi e agli arabi,
che sono visti come terroristi radicali, arretrati o barbari. Sovrapponendosi a
questi presupposti, gli ebrei religiosi-sionisti tendono a pensare di essere
superiori perché hanno l’unico vero Dio dalla loro parte.
Al contrario, la
maggior parte degli ebrei laici di sinistra, come i liberali di Meretz, credono
che la loro superiorità derivi da una vaga concezione della “cultura” o civiltà
occidentale che ha favorito in loro una maggiore capacità di mostrare
tolleranza e compassione, e di agire razionalmente, rispetto alla maggior parte
dei palestinesi.
Meretz vorrebbe
estendere quella cultura ai palestinesi per aiutarli a beneficiare delle stesse
influenze civilizzatrici. Ma finché ciò non accadrà, loro, come la destra
sionista, vedono i palestinesi principalmente come una minaccia.
Visto in termini
semplici, Meretz crede che non possano facilmente conferire potere alla
comunità LGBTQ palestinese, per quanto lo desiderino, senza anche conferire
potere ad Hamas. E non vogliono farlo perché un Hamas potenziato, temono, non
minaccerebbe solo la comunità LGBTQ palestinese ma anche quella israeliana.
Quindi, per liberare i
palestinesi da decenni di occupazione militare israeliana e pulizia etnica
dovrà solo aspettare un momento più opportuno, indipendentemente da quanto
tempo possa richiedere e per quanto molti palestinesi debbano soffrire nel
frattempo.
Nuovi Hitler
I parallelismi con la
nostra visione del mondo occidentale non dovrebbero essere difficili da
percepire.
Comprendiamo che il
nostro tribalismo, la nostra priorità dei nostri privilegi in Occidente,
comporta sofferenza per gli altri. Ma noi diamo per scontato che siamo più
meritevoli di altre tribù, o diamo per scontato che gli altri, per diventare
meritevoli, debbano prima essere portati al nostro livello attraverso
l’istruzione e altre influenze civilizzatrici. Dovranno solo soffrire nel
frattempo.
Quando leggiamo la
visione del mondo del “fardello dell’uomo bianco” nei libri di storia,
comprendiamo, con il beneficio della distanza da quei tempi, quanto fosse
brutto il colonialismo occidentale. Quando viene suggerito che potremmo ancora
nutrire questo tipo di tribalismo, ci irritiamo o, più probabilmente, ci
indigniamo. “Razzista, io? Ridicolo!”
Inoltre, la nostra
cecità nei confronti del nostro tribalismo occidentale super-potenziato ci
rende anche ignari dell’effetto che il nostro tribalismo ha sui tribalismi meno
potenti. Ci immaginiamo costantemente minacciati da qualsiasi altro gruppo
tribale che affermi il proprio tribalismo di fronte al nostro più potente
tribalismo.
Alcune di queste
minacce possono essere più ideologiche e amorfe, soprattutto negli ultimi anni:
come il presunto “scontro di civiltà” contro l’estremismo islamista di al-Qaeda
e dello Stato Islamico.
Ma i nostri migliori
nemici hanno un volto, e fin troppo facilmente possono essere presentati come
un improbabile sostituto del nostro modello dell’uomo nero: Adolf Hitler.
Quei nuovi Hitler
spuntano uno dopo l’altro, come in un videogioco che non riusciamo mai a
vincere.
Saddam Hussein in
Iraq, presumibilmente pronto a sparare le armi di distruzione di massa che in
realtà non aveva contro di noi in meno di 45 minuti.
I pazzi ayatollah
dell’Iran e i loro burattini politici, che cercano di costruire una bomba
nucleare per distruggere il nostro avamposto, Israele, prima di rivolgere
presumibilmente le loro testate contro l’Europa e gli Stati Uniti.
E poi c’è il mostro
più grande e più cattivo di tutti: Vladimir Putin. La mente che minaccia il
nostro modo di vivere, i nostri valori o la civiltà con i suoi giochi mentali,
la disinformazione e il controllo dei social media attraverso un esercito di
Bot.
Minacce esistenziali
Poiché siamo ciechi al
nostro stesso tribalismo come Meretz lo è al suo razzismo nei confronti dei
palestinesi, non riusciamo a capire perché qualcun altro possa temerci più di
quanto noi temiamo loro. La nostra civiltà “superiore” ha coltivato in noi un
egocentrismo, un narcisismo, che rifiuta di riconoscere la nostra presenza
minacciosa nel mondo.
I russi non potrebbero
mai rispondere a una minaccia, reale o immaginaria, che potremmo rappresentare
espandendo la nostra presenza militare fino ai confini della Russia.
I russi non potrebbero
mai vedere la nostra alleanza militare della NATO principalmente come
aggressiva piuttosto che difensiva, come affermiamo, anche se da qualche parte
in un piccolo e oscuro meandro mentale in cui le cose che ci mettono a disagio
vengono spinte, sappiamo che gli eserciti occidentali hanno lanciato una serie
di guerre dirette di aggressione contro Paesi come l’Iraq e l’Afghanistan, e
per procura in Siria, Yemen, Iran e Venezuela.
I russi non avrebbero
mai potuto temere sinceramente i gruppi neonazisti in Ucraina, gruppi che fino
a poco tempo fa i media occidentali temevano potessero salire al potere, anche
dopo che quei neonazisti furono integrati nell’esercito ucraino e guidarono
quella che equivale a una guerra civile contro le comunità etniche russe
nell’Est del Paese.
A nostro avviso,
quando Putin ha parlato della necessità di de-nazificare l’Ucraina, non stava
amplificando i giustificati timori dei russi nei confronti del nazismo alle
loro porte, data la loro storia, o la minaccia che quei gruppi rappresentano
sinceramente per le comunità etniche russe vicine. No, stava semplicemente
dimostrando che lui e la probabile maggioranza dei russi che la pensano come
lui sono pazzi.
Inoltre, la sua
esagerazione ci ha dato il permesso di portare alla luce il nostro armamento
segreto di questi gruppi neonazisti. Ora abbracciamo questi neonazisti, come
facciamo con il resto dell’Ucraina, e inviamo loro armi avanzate ed
equipaggiamenti per un valore di molti miliardi di dollari.
E mentre lo facciamo,
rimproveriamo ipocritamente Putin per essere un pazzo e per la sua
disinformazione. È pazzo o bugiardo per averci visto come una minaccia
esistenziale per la Russia, mentre siamo del tutto giustificati nel vederlo
come una minaccia esistenziale per la civiltà occidentale.
E così continuiamo a
nutrire il diavolo chimerico che temiamo. E per quanto spesso le nostre paure
vengano smascherate come auto-razionalizzanti, non impariamo mai.
Saddam Hussein
rappresentava una minaccia esistenziale. Le sue armi di distruzione di massa
inesistenti sarebbero state collocate nei suoi missili a lungo raggio
inesistenti per distruggerci. Quindi avevamo tutto il diritto di distruggere
l’Iraq per primi, preventivamente. Ma quando quelle armi di distruzione di
massa si sono rivelate inesistenti, di chi era la colpa? Non nostra,
ovviamente. Era di Saddam Hussein. Non ci ha detto che non aveva armi di
distruzione di massa. Come avremmo potuto saperlo? Dal nostro punto di vista,
l’Iraq finì per essere distrutto perché Saddam era un uomo forte che credeva
alla propria propaganda, un arabo primitivo caduto nella sua stessa trappola.
Se ci fermassimo per
un momento e ci trovassimo al di fuori del nostro tribalismo, potremmo renderci
conto di quanto sembriamo pericolosamente narcisisti, di quanto pazzi
sembriamo. Saddam Hussein non ci ha detto che non aveva armi di distruzione di
massa, che le aveva segretamente distrutte molti anni prima, perché temeva noi
e il nostro desiderio incontrollabile di dominare il globo. Temeva che, se
avessimo saputo che gli mancavano quelle armi, avremmo potuto essere più
incentivati ad attaccare lui e l’Iraq, direttamente o indirettamente, per
procura. Siamo stati noi a intrappolarlo nella sua stessa bugia.
E poi c’è l’Iran. La
nostra simulata furia contro i pazzi ayatollah, le nostre sanzioni economiche,
le esecuzioni nostre e israeliane degli scienziati iraniani, le nostre continue
chiacchiere sull’invasione, hanno lo scopo di impedire a Teheran di acquisire
un’arma nucleare che potrebbe finalmente pareggiare il campo di gioco del Medio
Oriente con Israele, che abbiamo aiutato a sviluppare un grande arsenale
nucleare decenni fa.
L’Iran deve essere
fermato in modo che non possa distruggere Israele e poi noi. I nostri timori
per la minaccia nucleare iraniana sono di primaria importanza. Dobbiamo
colpire, direttamente o indirettamente, i suoi alleati in Libano, Yemen, Siria
e Gaza. Tutta la nostra politica mediorientale deve essere modellata attorno
allo sforzo di impedire all’Iran di ottenere la bomba.
Nella nostra follia,
non possiamo immaginare le paure degli iraniani, la loro realistica sensazione
che rappresentiamo per loro una minaccia molto più grave di quella che
potrebbero mai rappresentare per noi. Date le circostanze, per gli iraniani,
un’arma nucleare potrebbe sicuramente sembrare una polizza assicurativa molto
saggia, un deterrente, contro la nostra sconfinata ipocrisia.
Circolo vizioso
Poiché siamo la tribù
più forte del pianeta, siamo anche la più illusa, la più indottrinata e anche
la più pericolosa. Creiamo la realtà a cui pensiamo di opporci. Generiamo i
demoni che temiamo. Forziamo i nostri rivali nel ruolo dell’uomo nero che ci fa
sentire bene con noi stessi.
In Israele, Meretz
immagina di opporsi all’occupazione. Eppure continua a cospirare in azioni,
presumibilmente per aiutare la sicurezza di Israele, come la legge
sull’Apartheid, che giustamente fa temere ai palestinesi per la loro esistenza
e credere di non avere alleati ebrei in Israele. Messi all’angolo, i
palestinesi resistono, o in modo organizzato, come durante le loro rivolte
dell’Intifada, o attraverso inefficaci attacchi da “lupo solitario” da parte di
singoli individui.
Ma il tribalismo
sionista di Meretz, per quanto liberali, umani e premurosi possano essere,
significa che possono percepire solo le proprie ansie esistenziali; non possono
vedersi come una minaccia per gli altri o cogliere le paure che loro e gli
altri sionisti provocano nei palestinesi. Quindi i palestinesi devono essere
liquidati come fondamentalisti religiosi, o primitivi, o barbari-terroristi.
Questo tipo di
tribalismo produce un circolo vizioso, per noi, come per Israele. I nostri
comportamenti basati sul presupposto della superiorità, la nostra avidità e
aggressività, significano che inevitabilmente approfondiamo i tribalismi degli
altri e provochiamo la loro resistenza. Il che a sua volta razionalizza la
nostra convinzione che dobbiamo agire in modo ancora più tribale, ancora più
egoista, ancora più aggressivo.
Guerra di propaganda
Ognuno di noi ha più
di un’identità tribale, ovviamente. Non siamo solo inglesi, francesi,
americani, brasiliani. Siamo neri, asiatici, ispanici, bianchi. Siamo etero,
gay, trans o qualcosa di ancora più complesso. Siamo conservatori, liberali, di
sinistra. Possiamo sostenere una squadra o avere una fede.
Queste identità
tribali possono entrare in conflitto e interagire in modi complessi. Come
mostra Meretz, un’identità può emergere e passare in secondo piano, a seconda
delle circostanze e della percezione della minaccia.
Ma forse la cosa più
importante di tutte, alcuni tribalismi possono essere imbrigliati e manipolati
da altre identità tribali più ristrette e nascoste. Ricordiamo, non tutti i
tribalismi sono uguali.
Le élite occidentali,
i nostri politici, dirigenti aziendali, miliardari, hanno il loro ristretto
tribalismo. Danno la priorità alla propria tribù e ai suoi interessi: fare
soldi e mantenere il potere sulla scena mondiale. Ma dato quanto sembrerebbe
brutta, egoista e distruttiva questa tribù se si trovasse davanti a noi
perseguendo apertamente il potere a proprio vantaggio, promuove i suoi
interessi tribali in nome della tribù più ampia e dei suoi valori “culturali”.
Questa tribù elitaria
combatte le sue guerre senza fine per il controllo delle risorse, opprime gli
altri, impone l’austerità, distrugge il pianeta, tutto in nome della civiltà
occidentale.
Quando facciamo il
tifo per le guerre dell’Occidente; quando ammettiamo con riluttanza che altre
società devono essere distrutte; quando accettiamo che la povertà e le banche
alimentari sono uno sfortunato sottoprodotto di presunte realtà economiche,
così come lo è l’intossicazione del pianeta, cospiriamo per promuovere non i
nostri interessi tribali ma quelli di qualcun altro.
Quando inviamo decine
di miliardi di dollari di armi in Ucraina, immaginiamo di essere altruisti, di
aiutare chi è oppresso, di fermare un pazzo malvagio, di sostenere il diritto
internazionale, di ascoltare gli ucraini. Ma la nostra comprensione del perché
gli eventi si stanno svolgendo come in Ucraina, più che come si stanno
svolgendo, ci è stata imposta, proprio come è successo ai comuni ucraini e ai
comuni russi.
Crediamo di poter
porre fine alla guerra con più forza. Presumiamo di poter terrorizzare la
Russia e farla ritirare. O, ancora più pericolosamente, sogniamo di poter
sconfiggere una Russia dotata di armi nucleari e rimuovere il suo presidente
“pazzo”. Non possiamo immaginare che stiamo solo alimentando le stesse paure
che hanno spinto la Russia ad invadere l’Ucraina, le stesse paure che hanno
portato al potere e sostenuto un uomo forte come Putin. Peggioriamo la
situazione supponendo di renderla migliore
Allora perché lo
facciamo?
Perché i nostri
pensieri non sono i nostri. Stiamo ballando su una melodia composta da altri di
cui comprendiamo a malapena motivazioni e interessi.
Una guerra senza fine
non è nei nostri interessi, né in quelli degli ucraini o dei russi. Ma potrebbe
essere solo nell’interesse delle élite occidentali che hanno bisogno di
“indebolire il nemico” per espandere il loro dominio; che hanno bisogno di
pretesti per usare i nostri soldi per guerre che solo loro avvantaggiano;
quella necessità di creare nemici per sostenere il tribalismo del pubblico
occidentale in modo da non iniziare a vedere le cose dal punto di vista degli
altri o chiederci se il nostro stesso tribalismo serve davvero i nostri
interessi o quelli di un’élite.
La verità è che
veniamo costantemente manipolati, ingannati, indottrinati per promuovere
“valori” che non sono inerenti alla nostra cultura “superiore” ma fabbricati
per noi dal braccio delle pubbliche relazioni delle élite, i grandi media.
Siamo trasformati in volontari co-cospiratori adottando comportamenti che in
realtà danneggiano noi, gli altri e il pianeta.
In Ucraina, la nostra
stessa compassione per aiutare viene utilizzata come arma in modi che
uccideranno gli ucraini e distruggeranno le loro comunità, proprio come il
premuroso liberalismo di Meretz ha passato decenni a razionalizzare
l’oppressione dei palestinesi in nome della sua fine.
Non possiamo liberare
l’Ucraina o la Russia. Ma quello che possiamo fare, a lungo termine, può
rivelarsi molto più significativo: possiamo iniziare a liberare le nostre
menti.
Jonathan Cook è vincitore del Premio Speciale Martha
Gellhorn per il giornalismo. I suoi libri includono “Israele e lo Scontro di
Civiltà: Iraq, Iran e il Piano per Ricostruire il Medio Oriente” (Pluto Press)
e “Palestina Scomparsa: Gli Esperimenti di Israele Nella Disperazione Umana”
(Zed Books). Visitate il suo sito web www.jonathan-cook.net
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