La stampa e le televisioni hanno ignorato lo sciopero degli insegnanti di
ieri. Pochi servizi e qualche articolo in cui si metteva al centro la parola
del ministro Bianchi e non dei docenti sono stati sufficienti per derubricare
il tema della scuola.
Sarebbero state necessarie una discussione pubblica e alcune trasmissioni
di approfondimento.
Invece nulla.
Si tratta naturalmente di una scelta politica. La stampa italiana ha deciso
da diverso tempo a questa parte che il suo compito non è quello di informare e
di mettere al centro della discussione le questioni principali del paese, ma è
quello di orientare l’opinione pubblica e di portarla il più possibile lontano
dai temi relativi al destino collettivo del paese, come appunto il tema della
scuola. D’altra parte proprio sulle politiche scolastiche gli stessi editori
hanno investito tantissimo (per esempio la Fondazione Agnelli).
Eppure ci sarebbe un gran bisogno di parlare di istruzione. La
democratizzazione del paese dal secondo dopoguerra è passata anche dalla
scuola, dal tentativo di dare ai singoli gli strumenti culturali e formativi
per costruire una coscienza e un sapere radicati nel contesto nazionale, ma
aperti al mondo.
Il ministro Bianchi immagina invece una scuola provinciale, post-storica,
basata sull’ideologia aziendalistica introdotta da Luigi Berlinguer e sulla
cretineria del “pensiero divergente” (anticamera del conformismo più becero e
retrivo), una scuola in cui lo studente non viene più sollecitato a mettere a
distanza il mondo e a uscire dal proprio presente, ma in cui viene sollecitato
ad adeguarsi al presente, ad assumerne le posture ideologiche e il linguaggio.
In questa prospettiva il docente deve diventare un funzionario che esegue dei
compiti per una paga miserabile. A fronte dei salari fra i più bassi d’Europa,
l’Italia vanta tuttavia il primato degli stipendi più alti per i dirigenti
scolastici, cioè i presidi, per mezzo dei quali il ministero conta di imprimere
sulle scuole il proprio ordine, la propria disciplina.
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