Là dove si
trova un esercito i prezzi sono alti,
là dove i
prezzi salgono la ricchezza del popolo
si
esaurisce. Quando la ricchezza è esaurita il
popolo sarà
afflitto da richieste fiscali pressanti.
Sun Zu,
L’arte della guerra
(Milano,
1965, II, XII, pag. 119)
In occasione
del 1 maggio 2022 è stato reso noto l’annuale rapporto Censis-Ugl e non è
difficile scorgere nell’elaborazione e nella ricchezza di dati sostanziali
l’insegnamento di Giuseppe De Rita, fondatore dell’Istituto nel 1964 e dal 2021
membro del Consiglio d’Indirizzo presso Palazzo Chigi. A dispetto dei suoi
novant’anni al governo sentono ancora il bisogno di questo inossidabile grand
commis formatosi, come Mario Draghi, presso i gesuiti, nel liceo
romano Massimiliano Massimo.
I dati
oggettivi degli studi statistici
Lo studio
pone questioni oggettivamente ineludibili che, tuttavia, i nostri parlamentari
si ostinano a non ritenere tali. In dieci anni, ovvero da quando un mediocre
economista, Mario Monti, ebbe a varare una disastrosa riforma delle norme che
regolano il rapporto di lavoro e il trattamento pensionistico (2012), invece
della promessa ripresa, abbiamo registrato un crollo. La
retribuzione di fatto è diminuita in modo assai consistente, la misura
individuata dalla ricerca è pari ad 8,3%; questo dato, già significativo,
risente ora, di giorno in giorno, degli effetti connessi all’inflazione, e in
particolare all’andamento dei prezzi nel settore energetico. Oggi, dopo
la cura elaborata da pretesi esperti, il 13% della popolazione
italiana si colloca sotto la soglia di povertà, proprio mentre una canea di
analfabeti, spacciati per studiosi e/o giornalisti, non si fa scrupolo di
invocare il taglio del reddito di cittadinanza e perfino degli ammortizzatori
sociali. Il rapporto del Censis pubblicato il 3 dicembre 2021 (prima della
guerra in Ucraina) è implacabile: l’Italia è l’unico fra i 38
paesi che aderiscono all’OCSE – organizzazione per la cooperazione e lo
sviluppo economico – in cui la retribuzione dei lavoratori è diminuita nel
trentennio 1990/2020, nella misura del 2,9%. Nello stesso arco temporale si è
registrato un aumento salariale del 31,1% in Francia e del 33,7% in Germania.
Dunque l’alternanza dei governi di centrodestra, di centrosinistra e di tecnici
non ha comportato mutamenti di rotta, con malvagia coerenza ha sempre trovato
conferma l’esproprio sistematico dei salariati.
Con
l’inflazione il dispotismo attacca
Nel corso
dell’audizione alla Camera in data 27 luglio 2021 il presidente di ISTAT, Gian
Carlo Blangiardo, ha confermato (pagina 12) che è in forte crescita la
povertà assoluta e non solo nelle regioni arretrate: nel nord ovest si
è passati dal 5,8% al 7,9% mentre nel nord est dal 6% al 7,1%. L’allargamento
della forbice caratterizza, sia pure in forma meno accentuata, anche i paesi
del nord, Belgio e Olanda compresi.
Secondo le
sostanzialmente unanimi diverse rilevazioni economiche già nell’ottobre del
2021 – dunque prima della guerra – l’inflazione si è posta come elemento
costante, tanto da determinare un aumento dei costi di produzione industriale
prossimo al 20%, con inevitabili effetti a cascata. In particolare vi è stato
un incremento, clamoroso e inarrestabile, dei prezzi nel settore energetico:
elettricità, gas, petrolio sono raddoppiati e le stime meno inquietanti si
collocano comunque almeno sulla soglia di 80%. Nonostante il taglio drastico delle
retribuzioni percepite sia dai subordinati sia dagli autonomi la rete
industriale italiana fatica a mantenere il passo, così che, per la prima volta
dopo molti anni, gli analisti cominciano a considerare l’eventualità, in alcuni
casi, di possibile stagflazione.
L’erosione
del reddito esistenziale di fatto subisce inoltre un aumento sinergico a causa
del contestuale taglio degli ammortizzatori sociali, che durante la pandemia si
è rilevato soprattutto in ambito sanitario, con una palese contrazione dell’assistenza.
Mentre i profitti delle società farmaceutiche crescevano in progressione
geometrica, sottratti già in origine al fisco e al patrimonio dei singoli stati
nazionali, la privatizzazione della salute proseguiva, anche con il quotidiano
ricatto di versare una tangente legalizzata o di attendere tempi biblici, con
il rischio di morire prima dell’accesso al servizio.
L’attacco al
precariato si pone come obiettivo quello di cancellare ogni forma di contrasto
e di ribellione alla conquista dell’intera esistenza di ogni suddito, reso
precario sul piano contrattuale e impaurito sul piano psicologico; il moderno
capitalismo finanziarizzato si articola in forme diverse per esercitare un
pieno dominio, ma ciascuna forma ha quale caratteristica comune il dispotismo
politico, economico, giuridico, sociale. La guerra e la prevaricazione, la
paura diffusa e l’incertezza costante, sono intrinsecamente legate, tutte,
all’esercizio del comando, ne sono anzi elementi costitutivi; l’autocrazia del
XXI secolo prescinde, a ben vedere, dal tiranno quale soggetto titolare di una
propria autonomia, e ormai anche dalla forma stato contingente. Il potere,
sempre più sganciato dall’ideologia e dalla religione, si fonda piuttosto sulla
menzogna spettacolare, è capace di trasformare il falso oggettivo in vero
reale, con le armi, con la comunicazione, con il denaro, con il terrore.
L’attuale
governo italiano di larga intesa intende completare il percorso intrapreso
colpendo le due ultime roccaforti di resistenza popolare: la casa e il
risparmio della famiglia.
La casa.
Il recentissimo dibattito sulla revisione degli estimi catastali si prefigge di
aumentare il prelievo statale e solo un ingenuo può fidarsi della parola di un
banchiere abituato, fin da giovanissimo, ad esercitare l’arte della
speculazione, mentendo ai mercati. Mario Draghi non riusciva a trattenere un
sorriso divertito mentre spiegava ai membri delle due Camere che la
rivalutazione del valore degli immobili non si sarebbe in nessun caso
concretata in un maggior costo per la vasta platea dei piccoli proprietari: non
si capacitava di essere creduto! Già. In Italia, negli anni trascorsi, grazie
soprattutto alla forza del movimento operaio e contadino, i meno abbienti
avevano ottenuto il mattone, percepito come un bene rifugio in
cui ripararsi durante i tempi grami. Come noto il nostro è il paese europeo in
cui i ceti popolari hanno, in percentuale, la maggior quota immobiliare, non
solo di prime case, ma anche di laboratori artigianali, abitazioni rurali o di
secondo soggiorno.
Il risparmio di
famiglia è un’altra caratteristica peculiare italiana. Difficile calcolarlo
esattamente – gli italiani sono gente che diffida dei potenti e dello stato –
ma con gli strumenti informatici nascondersi diventa ogni giorno più difficile:
richiede una professionalità che solo gli speculatori finanziari possiedono in
pieno. Secondo il Censis il risparmio/patrimonio si è ridotto del 5,3% negli
ultimi dieci anni; i depositi ammontano comunque a 967
miliardi, una somma considerevole. I dati offerti presentano tuttavia
contraddizioni evidenti, generati probabilmente dalla diversa modalità di
acquisizione. Secondo ABI (la struttura bancaria) il risparmio complessivo
sarebbe cresciuto del 10% fra il 2019 e il 2020, calcolandolo in 1.737
miliardi; Eurostat rileva invece un calo del 4,6% nel 2021 in confronto ai
trimestri precedenti, con un taglio che non ha determinato aumento di consumi
(questo vorrebbe dire che l’uso delle somme accantonate è servito per far
fronte a debiti già accumulati, non per investimento).
Necessiterebbe
una lettura più ragionata per comprendere meglio il significato esatto di
questi numeri, apparentemente in contrasto logico, e lascio volentieri il
compito a chi possiede maggiore professionalità e competenza. Rimane tuttavia –
e questa è una valutazione politica più che strettamente tecnica – che si
prospetta assai probabile un programma di aggressione alla quota di risparmio,
nella migliore delle ipotesi per trasformare risorse inutilizzate in
investimenti produttivi (magari speculativi), nella peggiore per sanare il
deficit senza toccare le grandi imprese. O, forse, nell’ottica a breve termine
che caratterizza il progetto neoliberista negli ultimi anni, solo per
sopravvivere un altro semestre, senza curarsi della prossima generazione,
magari sperando in una qualche neo-hegeliana astuzia della storia.
Il
dispotismo di Mario Draghi
Alberto
Quadrio Curzio, un valtellinese sempre attento alle cose del mondo, fu tra i
primi a cogliere l’importanza della riunione romana in cui fu presentato il
rapporto elaborato da Mario Draghi e Raghuram Rajan su richiesta del Gruppo
dei Trenta. Il titolo era assai suggestivo: Reviving and
Restructuring the Corporate Sector post Covid. Rajan era stato il
governatore della banca indiana di stato fra il 2013 e il 2016; di lui
ricordiamo un saggio scritto a quattro mani con Luigi Zingales, Saving
Capitalism from the Capitalists, elogio senza remore del più bieco
liberalismo finanziario, privo di qualsivoglia tentazione pacifista o anche
solo solidaristica. Dopo la rottura con il leader nazionalista indiano Narendra
Modi, Rajan era rientrato a Chicago, accompagnato dall’accusa di aver
utilizzato e trasmesso, per fini propri, informazioni riservate. A Roma era
presente Janet Yellen, attuale segretario del tesoro nell’amministrazione
Biden; l’Italia sarebbe stato il laboratorio politico economico del nuovo corso
americano, con il conferimento dell’incarico di governo a Mario Draghi. Quando
il Gruppo dei Trenta propone – la sede è a Washington – e il
governo USA approva, i parlamentari italiani debbono eseguire, limitandosi di
volta in volta a ripartire i voti fra una maggioranza richiesta e
un’opposizione che, per decoro istituzionale, deve, almeno apparentemente,
esistere. Il presidente emerito dell’Accademia dei Lincei, professor Quadrio
Curzio, nel suo acuto commento del 16 dicembre 2020, mostrò di aver perfettamente
compreso l’ormai prossimo procedere degli avvenimenti politici, in Italia e in
Europa. Neppure due mesi dopo, il 13 febbraio 2021, il nuovo esecutivo prestava
giuramento preparandosi a realizzare quanto deliberato out there. I
rappresentanti dei lavoratori italiani, nelle due Camere, negli enti
territoriali, nei sindacati, si guardarono bene dal lottare contro e
perfino dal protestare con troppa energia. Un po’ per interesse, un po’ per
codardia, ma soprattutto per mancanza di prospettive concrete e di seguito nel
territorio. Si sono guadagnati sul campo il disprezzo con cui vengono trattati.
La strage
delle illusioni
In un breve
saggio scritto nel 1824 (Discorso sopra lo stato presente dei costumi
degl’italiani) Giacomo Leopardi notava che l’ambizione può aver
varie forme e vari fini. Una volta ella era desiderio di gloria, passione che
fu comunissima. Ma ora questa è cosa troppo grande, troppo nobile, troppo forte
e viva perch’ella possa aver luogo nella piccolezza delle idee e delle passioni
moderne, ristrette e ridotte in angustissimi termini e in bassissimo grado
dalla ragione geometrica e dallo stato politico della società … e la gloria è
un’illusione troppo splendida e un nome troppo alto perché possa durare
dopo la strage delle illusioni.
Da ormai tre
mesi il tema della guerra è dominante. Prima dell’invasione russa in Ucraina lo
scontro epocale che caratterizzava la cronaca italiana era fra presunti sì vax
e presunti no vax; ora la contesa riguarda i difensori della
libertà democratica (la NATO) e i paladini dell’autocrazia (Putin). A ogni
facchino/a precario/a del settore logistico e a ogni addetto/a all’inserimento
dati nel gran mare telematico immateriale viene chiesto di schierarsi; il
quesito è presentato con tale impeto che riesce difficile evitare una risposta,
e molto spesso, pur di farla finita, si risponde con la pancia, magari a
casaccio, in ogni caso senza convinzione.
La resistenza presuppone
la caduta del governo e la sua sostituzione con altra struttura istituzionale
controllata dall’occupante; sicuramente fu il caso francese durante la seconda
guerra mondiale, quando i ribelli guidati da De Gaulle si unirono
all’opposizione socialcomunista per rovesciare il governo di Vichy. E
sicuramente non è il caso della repubblica Ucraina, visto che il governo rimane
in carica. La Russia è attaccante, dunque l’Ucraina è resistente:
non c’è dubbio. Ma si tratta di uno scontro fra due eserciti di mestiere,
entrambi con una quota di coscritti arruolati a forza e con un supporto di
mercenari (chiamati con eufemismo volontari); i rispettivi
comandanti non hanno mai inteso mettere in discussione la fedeltà ai rispettivi
presidenti. I russi, a differenza del nostro Manzoni, non coltivano il
vero per soggetto e chiamano liberazione quella che
gli ucraini denunciano come invasione; non c’è dubbio che in base
alle vigenti norme del diritto internazionale gli invasi abbiano
sempre ragione. Ma insurrezioni, rivoluzioni e conquiste tendono, per loro
natura, a rifiutare le regole, preferiscono senza dubbio sottrarsi ad esse; non
per caso Russia, America e Ucraina si sono rifiutate fino ad oggi di
riconoscere le decisioni del TPI, il Tribunale Penale Internazionale. Usando le
norme internazionali vigenti (peraltro spesso disconosciute dagli Stati) quale criterio
tecnico giuridico per la risoluzione delle controversie territoriali, dovremmo
ri-disegnare la geografia politica del pianeta, cosa per nulla agevole e anzi
probabilmente impossibile. Israele dovrebbe restituire il Golan alla Siria? In
Somalia a chi assegnare territori vasti come Puntland o Galmudugh?
In realtà
Israele sostiene, ad esempio, la piena legittimità della presenza in Golan
sulla base di una articolata sequenza di ragioni politiche (la
cui validità è negata dalla Siria) così come il Puntland fonda la propria, non
riconosciuta, autonomia su una sorta di diritto naturale. Il
conflitto fra giusnaturalismo e positivismo giuridico dura fin dalla notte dei
tempi. La distinzione fra aggredito e aggressore è certamente
suggestiva, e altrettanto certamente non priva di importanza; ma non risolve il
problema connesso alla guerra e le grandi potenze non hanno mai deciso, in
concreto, chi sostenere sul solo rilievo di chi avesse preso l’iniziativa. La
letteratura militare è ricca di testi sulla guerra preventiva intesa
come guerra difensiva; una giustificazione teorica si trova sempre
per ogni azione.
Ucraina e
Russia vogliono entrambe il possesso e il controllo sulla Crimea e sul Donbass;
la prima per la posizione strategica, il secondo per i giacimenti di gas,
petrolio e altre ricchezze del sottosuolo. Non intendono rinunziare a questa
formidabile opportunità, e si trascinano dietro i rispettivi oligarchi (più
banalmente: imprenditori avventurosi e avventurieri) i quali, negli anni, hanno
accumulato fortune immense sfruttando la manodopera e depredando le comunità.
La messa in scena spettacolare dei princìpi universali più diversi è solo un
espediente per nascondere la realtà di una guerra per le risorse e per il
controllo di un mare.
Mario Draghi
è schierato con gli Stati Uniti, con la NATO, con le banche occidentali, con i
suoi amici di sempre. Non cerca gloria e non cerca libertà; il suo interesse è
rivolto esclusivamente al bottino, l’unico fascino cui, fin dall’infanzia, si
mostra costantemente sensibile, con lodevole coerenza. Quest’uomo è andato
oltre l’ormai superata etica protestante descritta da Max Weber; l’ha rinnovata
con il cattolicesimo meticcio di Biden, un misto di liberismo e di Santa
Inquisizione, forgiato nelle parrocchie del Delaware. Il capitalismo di Putin
si prefigge lo stesso obiettivo. Per mettere le mani sul medesimo bottino non
esita ad invocare i sacri valori del cristianesimo ortodosso, la tradizione
imperiale zarista, perfino le imprese dell’Armata Rossa.
Nella
incessante ricerca del profitto, inteso come bene Supremo, Putin, Biden, Draghi
e Zelensky hanno ucciso i valori; piegando alla moneta democrazia e libertà si
sono macchiati di un crimine, la strage delle illusioni.
La
legislatura si avvia a conclusione
Piuttosto in
sordina la legislatura si avvia verso la naturale conclusione e nelle file dei
partiti monta un sordo rancore, si moltiplicano i complotti, si preparano le
risse. Il taglio al numero di parlamentari alimenta il clima di sospetto e di
congiura, senza che ad oggi sia stato possibile risolvere la questione della
legge elettorale, fra le due ipotesi del maggioritario e del proporzionale. Le
ormai vicine elezioni amministrative non sembrano sufficienti, comunque vadano,
a determinare la scelta. Nel frattempo i due rami del Parlamento vivacchiano
rassegnati alla loro irrilevanza, chiamati solo a ratificare le decisioni
del Gruppo dei Trenta e della Commissione, trasmesse con
arroganza da Mario Draghi senza consentire modifiche o, tantomeno, rifiuti.
Quando una forza di maggioranza abbozza forme di protesta provvede la
cosiddetta opposizione al salvataggio dell’Esecutivo; davvero la cabina di
comando può contare su larghe intese.
I risultati
del 2018 erano stati, in una certa misura, sorprendenti. Il primo governo Conte,
definito gialloverde, si chiuse con una rottura, ma, a differenza
di quanto sperava il gruppo dirigente leghista, non portò ad elezioni
anticipate. Seguì invece il secondo governo Conte, definito giallorosso,
con maggioranza nuovamente risicata, ma unita grazie al collante di un
imprevisto, la pandemia. E si caratterizzò per l’introduzione del meccanismo
tecnico giuridico di leggi delega, decreti legge convertiti mediante
apposizione della fiducia e decreti ministeriali. Questo metodo di governo, a
modo suo innovativo, ha creato un precedente che sarà nel prossimo futuro
difficile rimuovere. Mario Draghi lo ha ereditato e ben volentieri confermato,
esautorando le Camere nonostante l’ampiezza del consenso.
Dopo la
pandemia anche la guerra non è sfuggita alla regolamentazione sganciata dal
dibattito parlamentare, sottraendo ad ogni verifica di merito la scelta di
appoggio militare alla NATO e agli USA. In assenza di voto parlamentare il
Governo Draghi ha varato, a distanza di pochi giorni (25 e 28 febbraio 2022),
due decreti legge di immediata attuazione (n. 14 e n. 16). Il primo disponeva
(articolo 2) la cessione gratuita di mezzi non letali di protezione per
le autorità governative ucraine con scadenza 30 settembre. Il
secondo, tre giorni dopo, modificava radicalmente il quadro. Senza alcuna
limitazione – e in assenza di riferimenti al costo o alla gratuità – il primo
comma dell’art. 1 disponeva: fino al 31.12.2022 previo atto di
indirizzo delle Camere è autorizzata la cessione di mezzi, materiali, equipaggiamenti
militari. Una vera e propria delega in bianco, da esercitarsi a mezzo
di decreti ministeriali che non necessitano più del voto parlamentare. Decide
dunque il ministro della difesa, Lorenzo Guerini (PD, corrente moderata), di
concerto con Luigi Di Maio (esteri, 5 Stelle) e Daniele Franco (economia, Banca
d’Italia), senza rendere conto a nessuno; per aggiunta, con ulteriore
innovazione, il testo con l’elenco delle armi è secretato. Quattro giorni dopo
l’invasione si prevedeva dunque non una guerra lampo (come
cianciano i commentatori) ma un conflitto presumibile fino al 31 dicembre
(almeno dieci mesi) con impiego illimitato di forniture militari alla
repubblica ucraina per la difesa del territorio nazionale. Il decreto legge n.
14 è stato poi convertito nella legge 5 aprile 2022 n. 28, assorbendo il
contenuto del decreto n. 16, lasciato decadere, con salvezza dei provvedimenti
adottati (l’invio di armi). Non è vero pertanto che esistano
limiti, qualitativi e quantitativi, all’invio di forniture belliche in
Ucraina; è vero invece che le due Camere (contro il volere dei
cittadini italiani, almeno secondo tutti i sondaggi) hanno rimesso ogni
decisione al ministro Lorenzo Guerini, rendendolo libero di fare quel che vuole
fino al 31 dicembre 2022, quale che sia la spesa. A prescindere direbbe
Totò.
In questo
caotico svolgersi degli eventi non si possono neppure escludere del tutto
sorprese, con elezioni anticipate entro l’anno. Ma, con maggiore probabilità,
la gestione affidata dal Gruppo dei Trenta a Mario Draghi
proseguirà senza incontrare altro ostacolo che il mugugno. Questo, dal punto di
vista precario, è un vero peccato.
La caduta
del governo sarebbe un fatto positivo
Il
precariato italiano nulla avrebbe da perdere, anche se poco da guadagnare, in
caso di inattesa crisi del governo Draghi.
La
composizione attuale regge su un compromesso elaborato dal neocapitalismo
finanziario, per necessità contingente: per poter completare l’opera di
precarizzazione e sottomissione ai danni di un’intera popolazione lascia vivere
il vecchio apparato di funzionari, di faccendieri, di gendarmi, quando occorre
perfino di criminali (questi ultimi con maggiore prudenza, naturalmente). Le
cariche e le provvigioni servono anche a questo; il ceto imprenditoriale
emergente si è dimostrato capace di aspettare con pazienza il concludersi della
transizione, si accontenta per ora del denaro senza rinunziare al sogno del
potere anche formale.
L’insieme
dell’apparato è ancora necessario per rendere inoffensiva l’opposizione,
distribuendo con sapienza qualche buona occasione ai ribelli più utili mediante
cooptazione oppure estromettendo le menti potenzialmente più pericolose.
L’opera di bonifica procede con metodo; l’arruolamento dei rappresentanti
eletti nel territorio, in sede nazionale o europea, sembra rassicurare la
cabina di comando. Bisogna saper cogliere l’occasione, magari con maggior utile
di un Bobby Seale o di una Angela Davis. Mario Draghi è un esempio, quanto a
proficua riservatezza. Dal matrimonio con la discendente di Bianca Cappello (la
moglie di Francesco de’ Medici) sono nati due figli: Giacomo si occupa dal 2017
di investimenti speculativi (i famosi hedge funds) per LMR Partners
(2,5 miliardi) e Federica, dirigente di Genextra, attende il via libera per il
fondo farmaceutico X Gen (il programma è quello di guadagnare investendo in
farmaci e vaccini). Qualcuno ritiene che possa sussistere un conflitto di
interesse, ma il fedele bracco ungherese conosce bene l’intera famiglia e giura
che non esiste alcun pericolo; a Città della Pieve è rigorosamente vietato
parlare di affari. L’unico a protestare, abbaiando, è un altro cane, ma
totalmente inaffidabile: si tratta di Vernyi, il molosso turcomanno di Putin,
discendente di una razza abituata ad accompagnare i mongoli durante l’invasione
dell’Europa centrale.
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