La Turchia «ha avuto quello che chiedeva» ha fatto sapere Erdogan. Cosa voleva? L’estradizione dei ricercati curdi rifugiati in Finlandia e Svezia e la revoca delle restrizioni sulle armi imposte dopo l’incursione militare della Turchia nel 2019 nel nord-est della Siria.
In nome
dell’antiterrorismo e con la benedizione di Biden e del G7, Finlandia, Svezia e
Turchia hanno firmato un memorandum trilaterale che apre la strada all’ingresso
nella Nato di Finlandia e Svezia. Ingresso fin qui ostacolato proprio da
Ankara.
In testa
all’elenco dei ricercati di Erdogan ci sono gli esponenti del Partito dei
lavoratori del Kurdistan, (Pkk) e della sua estensione siriana (Ypg).
Ma è
d’obbligo chiedersi che ne sarà dei giornalisti curdi e degli esponenti
dell’opposizione rifugiati in Svezia e Finlandia. Quando glielo ha chiesto una
giornalista, Stoltenberg ha risposto che lo leggeremo presto sul sito della
Nato.
Garantiscono
che l’estradizione avverrà esclusivamente su accuse provate e secondo quanto
previsto dalla convenzione europea. Ci possiamo fidare? Bisognerebbe chiederlo
alle migliaia di dissidenti, giornalisti, oppositori politici, attivisti LGBTQ incarcerati
in questi ultimi anni.
Lo scorso 26
giugno, nel centro di Istanbul, centinaia di persone sono state arrestate
(senza contare quelle picchiate e perquisite) per aver marciato con l’Istanbul
Pride Parade nonostante il divieto delle autorità.
Fino al 2014
la Turchia è stata uno dei pochi paesi a maggioranza musulmana a consentire la
Marcia dell’Orgoglio. Poi, con l’arrivo di Recep Tayyip Erdogan, le marce sono
state bandite. E chi osa scendere in piazza deve affrontare violenze,
lacrimogeni, proiettili di plastica e arresti.
L’associazione
degli avvocati MLSA ha denunciato che tra i detenuti c’è anche Bülent Kilic, un
fotografo di Agence France-Presse.
Ora per fare
il lavoro sporco al posto nostro con i migranti, ora per trattare con Putin,
ora per allargare il raggio atlantista, l’Occidente continua a riconoscere il
regime osceno di Erdogan come se niente fosse.
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