Che l’umanità stia cominciando a risentire della confluenza di crisi e pandemie che configurano una situazione di caos o collasso della vita sul pianeta, sembra fuori discussione. Che le classi dominanti facciano il loro gioco per rimanere nella loro posizione di privilegio e che i politici abbiano poca intenzione di muoversi, sembra altrettanto evidente a gran parte della popolazione.
Ciò che sconcerta e provoca angoscia è la scarsa reazione dei settori più
colpiti dal collasso in corso. Stiamo assistendo a manifestazioni, scioperi e
persino ad alcune rivolte di natura insurrezionale, come quella che ha di
recente investito l’Ecuador, ma la tendenza principale è verso l’inerzia, verso
il ritorno a una normalità che, sotto sotto, tutti e tutte vogliamo. Le ragioni
dell’assenza di risposte all’altezza delle sfide che abbiamo di fronte sono
molto diverse. Una di queste è che le vecchie forme di azione collettiva,
coniate soprattutto dal movimento operaio, sono ormai insufficienti di fronte
alle sfide attuali. Una nuova cultura politica non può nascere da un giorno
all’altro, anche se ci sono esperienze territoriali che sono assai promettenti.
Giorni fa l’European Laboratory of Political Anticipation [Laboratorio
Europeo di Anticipazione Politica], un think tank [centro
di pensiero] europeo che si dedica ad analizzare e anticipare gli sviluppi
economici globali da una prospettiva europea indipendente, ha messo in guardia
su alcune questioni centrali nell’editoriale del suo bollettino del mese di
giugno.
La prima è che siamo stiamo andando verso una crisi totale di
una civiltà vecchia di 500 anni, che ci condurrà a capofitto in un
nuovo medioevo globale («2023 – 2030 : Phase terminale de l’apocalypse “ennuyeuse”».
Al di là del riferimento più che discutibile a quel periodo della storia
presunto oscuro, il grande problema è che la transizione verso una nuova
organizzazione sistemica non è stata preparata e, quindi, non avverrà in modo
controllato.
In breve, gli anni che seguono possono essere drammatici. Il Laboratorio
stima che già quest’anno può prodursi una rottura, di fronte alla paralisi dei
governi, alla scarsità, a un impoverimento generalizzato senza precedenti, a
carestie e disastri naturali, che configurano un collasso potenziato dalla
crescita insostenibile della disuguaglianza.
La seconda è la questione centrale: crisi potenzialmente terrificanti e
senza precedenti storici si susseguono senza avere un impatto irreversibile
sulla nostra vita quotidiana, il che diminuisce la paura e fa sì che le persone
finiscano per riprendere il normale corso della loro vita. Questo
problema ci interpella in pieno come movimenti e come persone anticapitaliste.
Il disastro a cui stiamo assistendo ci trova impreparati ad affrontarlo. Uno
svantaggio che può essere superato con organizzazioni collettive territoriali,
in grado di garantire la sopravvivenza e la vita in tempi di morte e
distruzione. La crisi in Ucraina ci insegna che scommettere sugli Stati, come
fanno le sinistre europee, è una cattiva strada. Se non ci prepariamo a questa
situazione, i danni possono essere enormi.
Come sottolinea l’editoriale citato sopra, nemmeno i grandi Stati del Nord sono in grado di arrestare il collasso. Il sistema punta quindi sulla repressione e sulla militarizzazione. Il Laboratorio ritiene che l’irresistibile tentazione di intensificare il controllo sulle masse sia ora l’unico modo per mantenere ciò che rimane del sistema. Un controllo facilitato dalle nuove tecnologie, che offrono a chi comanda una gamma di poteri senza precedenti. Quelli che stanno ai vertici dispongono di una strategia ampiamente collaudata in altre transizioni: militarismo e guerra per ridisegnare il mondo che sta collassando. È la scelta degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, ma anche della Russia e della Cina, e di qualsiasi altra grande potenza, al di là del discorso che esibiscono.
Alcuni dicono che la Cina non agisce in questo modo, ma non vogliono
ricordare come Pechino ha schiacciato la protesta popolare a Hong Kong, facendo
appello alla violenza della polizia e alla brutalità armata, come qualsiasi
altro paese che combatte per l’egemonia.
Decenni di democrazia e progresso hanno anestetizzato una buona parte della
popolazione, che continua a credere che lo Stato o i leader politici
ci salveranno o che il denaro servirà a qualcosa nei momenti estremi del
collasso. L’individualismo ci condanna.
Sette anni fa gli zapatisti hanno segnalato l’imminenza di una tempesta
sistemica, ma pochi hanno capito l’urgenza della chiamata a organizzarsi. Contro le
comunità meglio organizzate, i poteri che stanno ai vertici lanciano bande
armate che i media battezzano come narcotrafficanti per
dissimulare che sono la punta di diamante del capitalismo.
Il mondo che conoscevamo è scomparso; il capitalismo crollerà nello stesso
modo in cui è nato: grondando sangue e fango da tutti i pori (Marx). Possiamo solo creare
forme collettive di potere, poteri dal basso, per sopravvivere come popoli al
collasso e al caos.
Fonte: “La inercia que nos impide reaccionar al colapso”,
in La Jornada, 01/07/2022.
Traduzione a cura di Camminardomandando
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