1. Soltanto
pochi mesi fa, a marzo, la ministro Lamorgese adottava un
decreto che
assimilava a notizie coperte da segreto militare tutta la documentazione
relativa agli accordi con le autorità di altri paesi terzi in materia di soccorsi in mare e
contrasto di quella che continuano a definire come immigrazione clandestina. In
realtà il Viminale, nel quale con il governo Draghi era entrato come sottosegretario il leghista Molteni, cercava in questo modo di
nascondere le complicità diffuse con la sedicente Guardia
costiera libica e con le milizie che venivano finanziate per impedire le partenze dei
migranti, nel quadro della cooperazione tecnico-operativa prevista dal
Memorandum Gentiloni-Minniti del 2 febbraio 2017, ancora sulla scorta del Protocollo operativo aggiuntivo Amato del 2007. Queste complicità sono tuttavia
documentate nei rapporti delle principali agenzie internazionali a difesa dei
diritti umani e persino nelle sentenze dei giudici italiani che hanno agito
contro le ONG. Così ad esempio nel 2018, il Giudice delle indagini preliminari presso il
Tribunale di Catania doveva riconoscere che le attività di soccorso della
sedicente Guardia costiera libica erano di fatto coordinate da assetti militari
italiani.
Come
confermato negli anni successivi da indagini giornalistiche e dalla intercettazione di comunicazioni foniche. Evidentemente quanto trapelato in
sede processuale, e poi diffuso sui media, dava fastidio ai vertici militari e
politici che gestiscono i rapporti con la Libia, o almeno ritenevano di
gestirli, perché dal 2020, con l’ingresso dei turchi in Tripolitania, il ruolo
dell’Italia è fortemente ridimensionato. Ma anche far conoscere questa realtà
di fatto, una autentica débâcle militare e diplomatica, confermata dal riaccendersi
degli scontri tra milizie e dalla crescita esponenziale degli arrivi, malgrado
proseguano ingenti aiuti economici e militari ai libici (ed ai tunisini), dà
fastidio a qualcuno. Ormai sulle motovedette fornite dall’Italia gli
addestratori sono turchi. E nelle città libiche, da Tripoli a
Misurata, si spara per strada. Per questo non si vorrebbe
fare sapere che fine fanno gli aiuti ancora elargiti alle autorità libiche
(quali?) dall’Italia.
In base
all’articolo 2 del decreto ministeriale, tra i documenti “inaccessibili per
motivi attinenti alla sicurezza, alla difesa nazionale ed alle relazioni
internazionali” vengono inclusi anche quelli “relativi agli accordi
intergovernativi di cooperazione e alle intese tecniche stipulati per la
realizzazione di programmi militari di sviluppo, di approvvigionamento e/o
supporto comune o di programmi per la collaborazione internazionale di polizia,
nonché quelli relativi ad intese tecnico-operative per la cooperazione
internazionale di polizia inclusa la gestione delle frontiere e
dell’immigrazione”.
La terza sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza
non definitiva n. 4735 del 10 giugno 2022, ha limitato i casi di accesso
civico ai “documenti internazionali”, stilati dal Ministero dell’Interno
e del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionali.
Questa
improvvida decisione del Consiglio di Stato aveva dato supporto alla linea
Lamorgese-Molteni che ha ridotto al silenzio anche la Guardia Costiera che non
pubblica più i report sui soccorsi in acque internazionali né informa,
tempestivamente, la stampa sugli sviluppi delle operazioni di soccorso che
continua ad operare nel Canale di Sicilia, come sarebbe imposto dal Piano Sar
nazionale del 2020.
Secondo
l’art.1 del decreto legislativo 33/2013 “La trasparenza è intesa come
accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche
amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la
partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme
diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e
sull’utilizzo delle risorse pubbliche”. La trasparenza, nel
rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto
d’ufficio, di segreto statistico e di protezione dei dati personali, concorre
ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza,
di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza
nell’utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla
nazione. Essa è condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive,
nonché dei diritti civili, politici e sociali, integra il diritto ad una buona
amministrazione e concorre alla realizzazione di una amministrazione aperta, al
servizio del cittadino.
L’accesso
civico di cui all’articolo 5 bis, comma 2, introdotto dalla legge 97 del 2016, è rifiutato se il diniego è
necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli
interessi pubblici inerenti a:
a) la sicurezza
pubblica e l’ordine pubblico;
b) la sicurezza nazionale;
c) la difesa e le questioni militari;
d) le relazioni internazionali;
e) la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato;
f) la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento;
g) il regolare svolgimento di attività ispettive.
Restano
comunque fermi gli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa
vigente. Se i limiti
all’esercizio del diritto di accesso riguardano soltanto alcuni dati o alcune
parti del documento richiesto, deve essere consentito l’accesso agli altri dati
o alle altre parti. Occorre sempre valutare con la massima attenzione (ed
indipendenza) il bilanciamento tra l’interesse del richiedente alla diffusione
del documento o della notizia e gli interessi pubblici tutelati che ne
limiterebbero l’accesso.
Il diritto di accesso civico non può essere escluso
in ogni caso senza una adeguata motivazione. In assenza di una plausibile
motivazione di un concreto pregiudizio agli interessi di cui all’art. 5-bis del
Decreto Legislativo 33/2013, a seguito di un diniego, si può proporre un
ricorso amministrativo.
Il
riferimento all’espressione “gestione delle frontiere e dell’immigrazione”
come materia sottratta al diritto all’accesso, contenuta nel recente decreto
Lamorgese, permette una totale opacità da parte della pubblica amministrazione
e del Viminale in particolare, anche con riferimento ad attività, come i
soccorsi SAR e gli sbarchi, che sono oggetto di specifici obblighi di
comunicazione. Il riferimento agli accordi intergovernativi rischia
di alimentare ulteriormente la prassi di sottrarre questi accordi, magari
definiti soltanto come Memorandum d’intesa (MoU), ad un pieno esame da parte
del Parlamento e dell’opinione pubblica. Per quanto riguarda i rapporti con
Frontex e con altre agenzie dell’Unione Europea esistono specifiche
disposizioni che stabiliscono obblighi di comunicazione a carico di questi
enti. E proprio sulla mancanza di trasparenza si è dovuto
recentemente dimettere il capo dell’agenzia europea Frontex Fabrice Legeri.
2. Il
tentativo del Viminale di bloccare le fonti per silenziare i pochi organi di
informazione ancora indipendenti, evidente anche nella militarizzazione dei
porti di sbarco e nei divieti di accesso imposti alla stampa, tende anche a
creare le premesse per la criminalizzazione di quanti si ostinano a documentare
gli abusi che derivano dall’attuazione degli accordi con i libici. Questo
tentativo è destinato a fallire.
Innanzitutto
la dimensione reale degli sbarchi, facilmente verificabile in Sicilia ed in
Calabria, dimostra come malgrado il supporto fornito ai libici ed ai tunisini,
le organizzazioni criminali, colluse con le milizie che supportano le autorità
di Tripoli e Bengasi, riescano a fare partire verso l’Italia migliaia di
persone, anche in pochi giorni. I soccorsi operati dalle ONG sono solo una
minima parte degli arrivi di migranti su piccoli barchini, in autonomia, e
delle persone per le quali le autorità marittime sono state costrette al
soccorso, anche in acque internazionali. Vedremo davvero come il prossimo
governo, potrà soddisfare la richiesta di Salvini “sbarchi zero”. Contro la Cassazione che ha riconosciuto la Libia
come paese terzo “non sicuro”. Aumenteranno soltanto le vittime e le violazioni
del diritto internazionale e degli obblighi di ricerca e salvataggio imposti
anche dalla normativa nazionale che sanziona l’omissione di soccorso.
Si vuole
nascondere la verità sul fallimento delle missioni militari italiane in Libia
e sulle ingenti forniture che sono state consegnate
alle diverse autorità libiche, persino alla sedicente Guardia costiera di
Zawia, collusa con bande criminali che sono state identificate nei processi
penali davanti ai Tribunali di Messina e di Milano, con sentenze confermate in Cassazione.
La verità
dei rapporti oscuri tra Italia e libici verrà fuori. Quello che il Viminale
cerca di nascondere sarà oggetto di attività istruttorie, che saranno promosse
anche dalle difese e dalle parti civili, nei procedimenti penali in corso
contro le ONG e contro il senatore Salvini. A partire dal processo Iuventa a Trapani, e dal processo Open Arms
a Palermo, dove la difesa di Salvini ha cavalcato persino la
storia, riferita da un alto funzionario del Viminale, di un sommergibile italiano
che il primo agosto del 2019, avrebbe assistito senza intervenire ai soccorsi,
che la difesa di Salvini, come i giornali di destra, continua a ritenere
“consegne concordate”. Qualcuno dovrà spiegare. Quello che le autorità militari
non hanno nepure comunicato per tempo alla Procura di Palermo, e prima al
Tribunale dei ministri, e che adesso Salvini cerca di utilizzare per rilanciare
la criminalizzazione delle ONG e la campagna elettorale della Lega in
concorrenza con la proposta di “blocco navale” della Meloni.
QUELLO CHE
SI VUOLE NASCONDERE
Circa 100
persone sono state respinte in Libia dalla nave #VosTriton
Sabato
23 #SeaWatch3 ha ascoltato le conversazioni radio della Vos
Triton. Dopo aver salvato circa 100 persone hanno trasbordato i naufraghi su
una motovedetta della cosiddetta guardia costiera libica. La #VosTriton ha comunicato via radio che almeno quattro
persone erano morte durante il salvataggio e che la situazione medica dei
sopravvissuti era molto preoccupante. La #SeaWatch3, che era impegnata in diverse operazioni di
salvataggio, è stata informata che una motovedetta della cosiddetta guardia
costiera libica si stava dirigendo verso la Vos Triton per respingere le
persone salvate. Poco dopo la motovedetta ha infatti riportato le persone in
Libia: un paese da cui avevano rischiato la vita nel tentativo di fuggire.
@SeaWatchItaly
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