Premessa. La vicenda del
cosiddetto (vd. sotto) “alberghiero di Massa Lubrense” ha scatenato una
indignazione abbastanza indiscriminata, che ha esondato un po’ ovunque, dai
social, all’opinione pubblica, a tanti e tante esponenti del mondo della
scuola.
Ritornare sulla questione significa
riflettere sulle ragioni, e sull’opportunità politica, di questa stessa
indignazione, a partire da un allargamento di sguardo sulla situazione
oggettiva e sulla percezione culturale e sociale dei professionali (ma, in
generale, di tutte quelle scuole spesso percepite come “di serie B”, che da ora
in poi chiamerò “basse”) in Italia.
Mi pare infatti che questa difesa, un
po’ da riflesso condizionato, dei professionali rischi di far passare in
secondo piano un dato sostanziale e inequivocabilmente statistico: il fatto che
i professionali in Italia – anche qualora fossero classi logiche paragonabili a
Harvard (è evidente che non lo sono, la hybris di De Gregorio
è di avere scimmiottato la casalinga di Voghera, senza che la battuta le sia
venuta bene come a Nanni Moretti) – non stanno messi bene, e da anni, per molte
e variegate ragioni strutturali e sistemiche che si possono riassumere in due
parole tonde: “negligenza istituzionale”.
Non dirlo, difendere l’eccellenza del
cosiddetto “alberghiero di Massa Lubrense” (che non esiste), porta come corto
circuito inevitabile il “tutto ben, madama la Marchesa” pronunciato da Alessio
Boni-Matteo Carati un secondo prima di gettarsi dal balcone del suo
appartamento pieno di abbandonata solitudine, suicidandosi, nella Meglio
gioventù.
Credo per questo che sia importante
domandarci se il maggior prestigio percepito, sociale e culturale, ad Harvard
lo abbiamo dato, e lo continuiamo a dare, noi, come società, ogni santo giorno,
quando esibiamo la nostra disinteressata indifferenza per le sorti della scuola
pubblica italiana in generale e delle sue scuole non liceali in particolare. La
mia risposta è sì. Lo dice l’economia (gli stipendi contano), lo dicono, troppo
spesso, gli sguardi di amici e conoscenti quando dichiari che per lavoro
insegni a scuola, lo dice lo stato di abbandono in cui le istituzioni lasciano
la professione docente fin dai suoi processi fondativi (formazione in ingresso,
accesso ai ruoli – in particolare per la scuola secondaria) e di
accompagnamento (formazione in itinere, profilo professionale,
scientifico e di ricerca del docente). Siamo ancora, sostanzialmente, fermi al:
“chi sa, fa; chi non sa, insegna” – con la “supplenza” a scuola scelta per
ripiego, forma, percepita come a tutti accessibile, di ammortizzatore sociale.
L’inesistente alberghiero di Massa
Lubrense. Come ho scritto sopra più volte, il professionale alberghiero, a Massa
Lubrense, semplicemente, non esiste. Esiste, questo sì, una scuola superiore
con tre sedi accorpate: il “Polispecialistico San Paolo” (codice: NAIS01600P),
con sede principale a Sorrento, dove si trova, per l’appunto, insieme a un
altro istituto tecnico, Economico e Tecnologico, il Professionale Servizi
Enogastronomici, e ben due sedi succursali, una a Sant’Agnello, dove è ospitato
il Tecnico Turistico, e una a Massa Lubrense (dove sono ospitati il Turistico e
Amministrazione, Finanza e Marketing)1.
Si parla di un complesso scolastico di
“circa 1100 studenti”: una scuola dunque che è stata vittima, come tantissime
altre, del cosiddetto “dimensionamento”, l’accorpamento di più istituti sotto
uno stesso dirigente se la popolazione scolastica scende, per le superiori,
sotto i 500 alunni (secondo l’ultimo emendamento, nella legge di stabilità del
2020). Dunque no, senza la serie di leggi sul dimensionamento – che ha portato
un solo preside a doversi occupare di scuole popolosissime, accorpate e
diverse, su un territorio anche piuttosto vasto, mettendo in ogni caso insieme
realtà complesse – non si potrebbe parlare, nemmeno virtualmente, della
presenza di un professionale alberghiero a Massa Lubrense. Nel caso specifico,
si tratta di tre comuni (Sorrento, Massa e Sant’Agnello) che si snodano sulla
strada della costiera, mettendo insieme le specificità immagino complesse di
tre comuni di uno dei massimi punti del turismo campano.
Dimenticarsi questa realtà, cedere alle
lusinghe della narrazione amministrativa secondo la quale – poiché sono
accorpati sotto lo stesso codice meccanografico, sotto la responsabilità di una
stessa preside – queste tre realtà scolastiche sono geograficamente
interscambiabili significa a mio avviso accollarsi il rischio di avallare la
più ampia narrazione degli ultimi 25 anni (la prima legislazione sul
dimensionamento scolastico è la L. 59/1997), secondo la quale le scuole possono
essere trasformate in centri commerciali dell’istruzione, con piccole realtà
specifiche di ‘istruzione di prossimità’ conglomerate in enormi ‘megastore’ in
cui uno a fianco all’altro si trovano il supermercato, il negozio chic,
la farmacia, la filiale della banca. Con la differenza che i megastore
sono per davvero in un unico luogo, mentre, appunto, per
quanto riguarda le scuole, e l’organizzazione, gestionale e didattica, della
loro complessità, questa vicinanza è solo virtuale.
Si è visto al tempo delle restrizioni
più pesanti durante la pandemia quando, per spostarsi da Sorrento a Massa
Lubrense a Sant’Agnello, c’era bisogno di due o tre (a
seconda che la propria residenza fosse o meno in uno dei tre comuni) autocertificazioni diverse:
soltanto un altissimo grado di concettualizzazione logico-formale (unito
all’onnipresente ossessione per il risparmio della finanza pubblica ai danni
dell’istruzione: un preside costa allo stato assai meno di tre presidi – per non
parlare del dimensionamento del personale ATA che si può attuare in questo
modo) può far parlare, nella vita quotidiana dell’esperienza di alunni/e,
personale ATA, preside e insegnanti, della stessa scuola.
Nei fatti, ciascuna di quelle tre sedi
vedrà forzatamente la preside per un numero di ore che non corrisponde al tempo
scuola complessivo degli alunni e delle alunne; nei fatti, gli alunni e le
alunne di quelle tre sedi sono estranei/e gli uni alle altre; nei fatti, se
un/una docente perde posto in uno dei vari indirizzi, avere una cattedra “nella
stessa scuola” non sarà proprio per niente lo stesso di quello che succederebbe
a me se la perdessi in un indirizzo della mia.
Questa prima considerazione, brutalmente
logistica, mi porta al secondo punto.
La fuga nei e dai professionali. Che i tecnici e i
professionali rappresentino una enorme risorsa per la società italiana, lo so
bene e ho provato anche ad argomentarlo in passato (del resto, e per scelta,
orgogliosamente, ci insegno). Ma che questa sia stata, e sia oggi, la visione
che informa gli interventi scolastici (già scarsi in assoluto, l’ho già detto)
sulla scuola pubblica mi pare che sia quanto meno opinabile.
Le scuole tecniche e professionali (per
non parlare dei Centri per l’Istruzione degli Adulti e dei percorsi di
Istruzione e Formazione Professionale) svolgono, infatti, un ruolo socialmente
cruciale di istruzione di prossimità in condizioni di difficoltà grandissime.
Di nuovo, anche questo si è visto durante il tempo più duro dell’emergenza
pandemica, quando la didattica a distanza (non importa in quale forma: totale,
ibrida o mista) ha portato alla luce una sperequazione di cui sono stati
maggiormente vittime proprio gli alunni e le alunne delle scuole “basse”. Per
la possibilità economica di accedere alle forme di didattica a distanza, certo,
ma anche (ne ho parlato diffusamente nel febbraio del 2021) perché lo stesso
ministero è risultato incapace, in parte per ragioni oggettivamente
contingenti, in parte per scelte decisamente miopi, di garantire a studenti e a
studentesse di quegli indirizzi una quota minima ragionevole di
quell’istruzione pratica cui pure avevano diritto ‘per contratto’2.
E’ come se queste scuole – “della seconda possibilità”: le scuole dove spesso
alunni e alunne arrivano con alle spalle la sensazione di avere ‘fallito’ in
scuole percepite come socialmente e culturalmente ‘più Harvard’ – finissero
sempre e costantemente fuori dai radar: dell’opinione pubblica (tranne quando
una De Gregorio fa una battuta sullo status di legal
alien di un presidente del consiglio dimissionario in Parlamento), del
ministero, ma anche, in parte, dei suoi stessi docenti.
Questo elemento è stato ben messo in
luce in due interventi, parzialmente fuori dal coro, usciti nei giorni scorsi
in merito alla ‘vicenda Massa Lubrense’3.
In entrambi, molto all’osso, il senso delle riflessioni si può sintetizzare
dicendo che, se continuiamo a difendere acriticamente il (cosiddetto)
“professionale di Massa Lubrense”, rischiamo di far passare il messaggio che
nelle scuole di seconda scelta vada tutto bene, eccellenze a-problematiche a
servizio del territorio; mentre invece, se ci caliamo appena un minimo nelle
loro realtà, scopriamo che no, non va affatto tutto bene: restano luoghi di
frontiera, difficili, dove la popolazione scolastica spesso arriva con il peso
di una frustrazione (intellettuale, economica, culturale, sociale), del non
sentirsi, altrove, all’altezza, e dove spesso i/le docenti non trovano
motivazione per restare, perché non percepiscono (giustamente) la loro
professionalità formata, accompagnata, valorizzata a sufficienza, e dunque
‘scappano’ in realtà scolastiche socio-culturalmente più rassicuranti, in un
eterno cane vizioso che si morde la coda. Non è un caso (quante volte io stessa
me lo sono sentita dire) che quei e quelle docenti che ai professionali, ai
tecnici (e ai CPIA e sui percorsi IeFP) decidono di restare – di solito perché
hanno avuto la fortuna, individualmente, di approfittare di percorsi di
formazione a tutto campo che hanno loro dato strumenti di consapevolezza
professionale e scientifica – siano spesso apostrofati come “missionari”,
dotati di una “vocazione” eccezionale. Il prestigio di questi istituti rispetto
ad Harvard si sostanzierebbe dunque – a ben guardare – non nell’avere una reale
attenzione istituzionale, formazione costante per i/le docenti, riconoscimento
professionale, sociale ed economico, didattica di prossimità dedicata con un
numero anche inferiore alla media nazionale di alunni per classe (al fine di
garantire una attenzione maggiore su necessità più complesse), ma in un non
meglio precisato, emotivamente trascinante, numero di “eroine” e di “eroi”.
Non c’è nulla di particolarmente nuovo,
in tutto questo. E, anzi, andando a spulciare i comunicati della prima ora in
difesa del cosiddetto “professionale di Massa Lubrense”, vediamo che uno dei
più accorati in difesa delle scuole professionali è fatto dalla dirigente di
una delle scuole polo aderenti alla rete delle “Avanguardie educative”4.
Si tratta di una rete nazionale di “scuole polo regionali: ‘ambasciatrici’ del
Movimento per promuovere, sostenere e condividere i principi ispiratori del
Manifesto programmatico per l’Innovazione”5,
che si era segnalato, durante le settimane immediatamente seguenti il
primo lockdown, per l’estensione di un Manifesto della
scuola che non si ferma nel quale si proclamava la volontà di essere
“pronti a metterci in gioco e in discussione, con professionalità e sacrificio”
[corsivo mio]6.
Investimenti. La
scuola italiana non ha bisogno né di sacrifici, né di eroi (né di poeti, né di
santi, né di navigatori – nei comparti del lavoro pubblico, così come al
governo), ma di professionalità coltivata. Quello su cui a mio avviso è
necessario prima, se proprio si vuole, indignarsi, ma poi agire, come società
civile dotata di consapevolezza politica, è il fatto che gli strumenti per
coltivare questa professionalità in maniera sistemica non sono stati garantiti,
e da parecchio, dalla pianificazione sull’istruzione posta in essere dai
successivi governi della Repubblica (fino ad arrivare, buoni ultimi, ai non
interventi del governo Draghi).
Non si possono infatti definire in alcun
modo interventi ‘strutturali’ i fondi dati, insieme, a pioggia e a macchia di
leopardo previsti nel PNRR. Invece di stabilire l’unica misura in grado di fare
inclusione per davvero – riassumibile in due parole secche, “anche meno”:
“meno” studenti per classe, “meno” classi per docente, “meno” plessi per
preside, “meno” pratiche amministrative per unità di personale dedicato, “meno”
metri quadri da pulire per collaboratore scolastico – infatti, il Piano
nazionale di ripresa e resilienza, per intanto, si è limitato a inviare con la
modalità della ‘pioggia discreta’ una quantità di fondi per il “Piano contro la
dispersione scolastica”, che appaiono cospicui per singola scuola, ma che sono
un nulla rispetto agli investimenti che sarebbero necessari per riportare
almeno a 24 (dagli attuali 27 minimo) il numero massimo di
alunni per classe.
Il polo di Sorrento, con sedi associate
a Massa Lubrense e Sant’Agnello, che ospita, come abbiamo visto, tra i suoi
indirizzi il professionale alberghiero, ha ricevuto per esempio 225.651,19 euro
sul totale dei 79.322.182,06 euro stanziati per la Campania (che ha ricevuto il
finanziamento maggiore): calcolando che, come dichiarato dal sito ufficiale di
Scuola in chiaro, nella sede di Sorrento del Polispecialistico San Paolo ci
sono 1071 studenti, si tratta di 210 euro e spiccioli a studente/ssa per
prevenire la dispersione in una scuola dove (sempre secondo i dati ufficiali di
Scuola in chiaro) “si registra la crescita del fenomeno degli ‘abbandoni’”7.
Si tratta di un raffinato gioco delle
tre carte: nei comunicati stampa il titolo 1,5 miliardi per il Piano
contro la dispersione scolastica suona benissimo8.
Peccato che poi, così, una tantum e a pioggia, si tratti di
bruscolini, puro stucco (con i quali non è possibile nemmeno pagare l’insieme
di tutti i libri previsti per un anno scolastico). Per andare a incidere sui
parametri degli “anche meno” che ho evocato prima si muovono ordini di
grandezza assai più imponenti. Per fare un esempio ‘a spanne’, riducendo anche
di un solo alunno il numero di studenti per classe, in media cresce del 5%
l’organico docente, dunque di circa 40.000 unità; calcolando in circa 30.000
euro annui la spesa per docente, parliamo di cifre che si attestano intorno al
miliardo e duecento milioni. Cifre alte, certo, ma per interventi finalmente
strutturali e sistemici; cifre che tuttavia in tempo di PNRR sarebbero state
possibili, ma avrebbero fatto meno colpo (esattamente come inondare le scuole
di lavagne da Minority Report, le cosiddette “smartboard”, fa molta
più propaganda che assumere in una oscura stanza di segreteria non aperta al
pubblico una nuova unità di personale).
Il dito e la luna. E’ tempo di tornare
al punto di partenza, e alla battuta che ha dato origine al dibattito. Non è
mia intenzione commentarla più di tanto – fare questo implicherebbe mettere in
piedi ragionamenti che riguardano il codice della comunicazione, i generi
letterari (la differenza per esempio tra informazione e satira), i contesti (il
salotto di In onda che si trasforma, e non certo da oggi, nel
salotto di casa), e, di conseguenza, una tipologia completamente diversa di
intervento. Diciamo che si è trattato, nelle cose, di una battuta
infelice, e tanto basta (ho studiato lettere, e so dunque che quando la
comunicazione di un messaggio, a torto o a ragione, fallisce, come ha
clamorosamente fallito questo, la parte più cospicua della responsabilità
risiede, sempre, nell’emittente).
Mi pare però che – ed è questo che ho
cercato di argomentare in queste righe – De Gregorio abbia, anche
involontariamente, sollevato la voce di un contesto implicito che si è sentito
chiamato in causa anche e soprattutto per quello che potrei definire l’effetto
dello specchio di Galadriel nel Signore degli anelli (che
rivela, a ciascun membro della Compagnia dell’Anello che vi si riflette dentro,
le sue più segrete verità).
Il poco prestigio percepito di cui
godono non solo i professionali, ma tutta la scuola italiana, si snocciola, a
mio avviso, in una noncuranza diffusa, dall’alto e dal basso. Lo dicono i tassi
di partecipazione alle manifestazioni e alle iniziative per l’aumento dei fondi
alla scuola pubblica (dove ci troviamo sempre coi soliti quattro inossidabili
gatti), lo dicono i tassi di adesione agli scioperi, lo dice l’indifferenza
sostanziale della “società civile” con la quale si sono consumati gli scempi
delle riforme Moratti, Gelmini, Renzi, e il silenzio di fatto con il quale sono
stati accolti i provvedimenti dei ministeri Azzolina e Bianchi durante
l’emergenza, nonché il nulla sostanziale messo nel PNRR dal “governo dei
migliori”. Lo dice il fatto che troppo spesso nel discorso pubblico “liceo” è
usato serenamente come sinonimo di “istituto superiore”, e che una buona parte
dell’Italia colta media non conosca la presenza nel sistema scolastico dei CPIA
e dei percorsi di IeFP, o che non sappia che, col Dlgs 61/2017, ai
professionali (come l’inesistente “alberghiero di Massa Lubrense”) è stato dato
un Esame di stato meno esame degli altri (con la seconda prova parzialmente
interna), e un percorso che, per venire incontro all’obiettivo europeo di
abbassare il livello di bocciature italiano, ha previsto non fondi in più per
interventi didattici continui nel tempo, ma semplicemente la residualità per
legge della bocciatura in prima (cioè sull’età soglia dei 16 anni)9.
Adontarsi, richiamare puntigliosamente
le eccellenze di alcuni percorsi professionali (che sicuramente esistono – ma
un sistema sano non è fatto di eccezioni), mi pare rischi, con clamoroso
effetto boomerang, di spostare l’attenzione sul problema sbagliato.
E il problema dell’istruzione professionale italiana non è quello di una
notista politica che si improvvisa comica, senza avere, come ho già detto, la
bravura di Nanni Moretti, ma quello di una mancanza strutturale di attenzione,
interesse, investimenti, fondi sull’istruzione pubblica da parte di troppi. Così
– spostandosi dalla luna al dito – si continua, implicitamente, a sollevare la
politica italiana, nel merito, dalle sue enormi, strutturali, responsabilità.
Note
1 Tutti i dati, qui e dopo, sono
presi dal sito di Scuola in Chiaro: https://cercalatuascuola.istruzione.it/cercalatuascuola/istituti/NAIS01600P/polispecialistico-san-paolo/ (u.c.
23/07/2022).
2 Cfr. Orsetta Innocenti, Figli
di una scuola minore. La ‘distanza’ nei tecnici e nei professionali,
in Le parole e le cose, 24/02/2021: https://www.leparoleelecose.it/?p=40829 (u.c.
23/07/2022).
3 Cfr. Roberto Ippolito, Harvard,
l’alberghiero e l’ingiustizia sociale, in Tecnica della scuola,
22/07/2022: https://www.tecnicadellascuola.it/haward-lalberghiero-e-lingiustizia-sociale?fbclid=IwAR3St9vhQxt3VS_ndL5KZg1jm8P6z6rbaiv_dpJ8RxAhh_P8ZXPizQZ6BW0 (u.c.
23/07/2022) e Alfonso D’Ambrosio, Indignarsi per Concita perché tutto
resti uguale, in Senza filtro, 22/07/2022: https://www.informazionesenzafiltro.it/concita-de-gregorio-alberghiero-massa-lubrense/?fbclid=IwAR10PI45vDERa7BEe_X-U5AFql3q6KM0ggpMiN78AuI5jecuGRPvek1XIYo (u.c.
23/07/2022).
4 Ampi stralci del comunicato,
liberamente consultabile alla pagina FB della DS Laura Biancato, sono riportati
in questo articolo: Fabrizio De Angelis, “Draghi come un professore di
Harvard che ha avuto la supplenza all’Alberghiero di Massa Lubrense”. La frase
di Concita De Gregorio finisce nella bufera, in Orizzonte scuola,
21/07/2022: https://www.orizzontescuola.it/draghi-come-un-professore-di-harvard-che-ha-avuto-la-supplenza-allalberghiero-di-massa-lubrense-la-frase-di-concita-de-gregorio-finisce-nella-bufera/ (u.c.
23/07/2022).
5 Cfr. il pieghevole di Indire che
illustra la rete: https://pheegaro.indire.it/uploads/media/AVANGUARDIE_EDUCATIVE/Pieghevole_scuole_polo_ITA_PER-WEB.pdf (u.c.
23/07/2022).
6 Cfr. Manifesto della
scuola che non si ferma: https://www.indire.it/wp-content/themes/indire-2018/manifesto-la-scuola-non-si-ferma.pdf?fbclid=IwAR3z_NpUzD6QVUGKmg1EOZ19Yl-qvKLqnN50jxeqLNi1Mr61naiczfQO1Oo (u.c.
23/07/2022).
7 Per il riparto delle cifre
regionali di questa fetta di PNNR rimando alle cifre fornite dal governo. Cfr,
rispettivamente qui (riparto regionale): https://pnrr.istruzione.it/wp-content/uploads/2022/06/M4C1I.1.4_Dispersione_Riparto_regionale.pdf e qui (riparto
per scuole): https://pnrr.istruzione.it/wp-content/uploads/2022/06/M4C1I.1.4_Dispersione_Riparto_istituzioni_scolastiche.pdf (u.c.
23/07/2022).
8 Cfr. la pagina dedicata del sito
del Ministero dell’Istruzione: https://www.miur.gov.it/web/guest/-/pnrr-1-5-miliardi-per-il-piano-contro-la-dispersione-scolastica-il-ministro-bianchi-ha-firmato-il-decreto-con-i-primi-500-milioni-per-interventi-sulla#:~:text=Ministero%20dell’Istruzione&text=Abbiamo%201%2C5%20miliardi%20a,nella%20fascia%2012%2D18%20anni. (u.c. 24/07/2022).
9 Rimando su questo a Anna Maria
Agresta – Marina Polacco, La riforma dei professionali e il (falso)
miraggio delle competenze, Le parole e le cose,
09/01/2020: https://www.leparoleelecose.it/?p=37434 (u.c.
23/07/2022).
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