venerdì 29 luglio 2022

ricordo di Luca Serianni

 

 

Il rigore e l’impegno del professore - VALERIA DELLA VALLE

Ricordare in breve Luca Serianni, il suo magistero, le sue pubblicazioni, la sua attività di docente, è impresa difficile. Difficile anche immaginare come una sola persona abbia potuto, nel corso di una vita dedicata interamente alla ricerca e all’insegnamento, studiare a fondo tanti e diversi aspetti della lingua italiana. Difficile anche per me che l’ho conosciuto nel primo anno di università, seduti vicini ad ascoltare le lezioni di quello che sarebbe diventato il nostro maestro, Arrigo Castellani.
Vorrei ricordare almeno, scegliendo dalla sua sconfinata bibliografia, i saggi dedicati agli antichi testi toscani, ai puristi, al primo e al secondo Ottocento, a Dante, a Manzoni. E poi la fondamentale Grammatica italiana (Utet 1988) i tre volumi della Storia della lingua italiana Einaudi, diretta con Pietro Trifone nel 1993, il Devoto–Oli Vocabolario della lingua italiana curato in numerose edizioni con Maurizio Trifone a partire dal 2004. Quello che colpisce, nella produzione di Serianni, è la vastità dei suoi interessi, che lo hanno portato a occuparsi della lessicografia antica e moderna, della lingua della medicina, di quella dei viaggiatori, dei musicisti, dei poeti, del melodramma, della lingua del diritto, ma anche del romanesco, della prosa degli scrittori, della lingua dei cantautori. Proprio qui sta la sua singolarità: uno studioso privo di pregiudizi e paraocchi accademici, disposto ad analizzare con lo stesso rigore e con la stessa curiosità testi diversissimi, letterari e non letterari, ma tutti indagati come testimonianze del modificarsi e dell’evolversi della nostra lingua.
PER DARE UN’IDEA della vastità delle sue ricerche, basterà citare il volume Per l’italiano di ieri e di oggi (il Mulino, 2017), in cui gli allievi hanno raccolto ventotto suoi saggi. Scorrendo l’indice abbiamo un quadro eloquente degli interessi di Serianni: non solo Dante, ma Canova, Cavour, Tomasi di Lampedusa, Fedele D’Amico, fino a Toti Scialoia e a un’indagine sulle parole più ricorrenti nel linguaggio infantile. Aveva contato molto, nella formazione di Luca Serianni, essere stato allievo (il migliore allievo) di Arrigo Castellani, il grande storico della lingua italiana che ho citato all’inizio. Da lui aveva ereditato il tratto signorile e un po’ «d’altri tempi» e la capacità di spiegare i meccanismi linguistici in modo chiarissimo, nitido, quasi matematico. In più, rispetto al suo maestro, Serianni sapeva aggiungere nella leggendarie lezioni di storia della lingua italiana il particolare suggestivo, l’aneddoto, la battuta capace di conquistare gli studenti. Più che ripercorrere l’elenco dei suoi studi, vorrei qui ricordare l’impegno di Serianni nei confronti della scuola e dell’educazione linguistica dei futuri cittadini: al primo posto, nella gerarchia dei suoi valori, c’erano il ruolo di docente e il compito sociale e civile dell’insegnamento. Non a caso, nella conversazione con Giuseppe Antonelli intitolata Il sentimento della lingua (il Mulino, 2019), aveva dichiarato che «Nel caso della lingua italiana, avverto anche l’esigenza di un certo impegno civile: diffondere la padronanza della lingua e della sua storia è un modo per rafforzare il senso di appartenenza a una comunità».
E INFATTI tante sue opere sono diventate testi di culto per chi insegna: da Prima lezione di grammatica (Laterza 2006) a Scritti sui banchi (Carocci 2009), da L’ora di italiano (Laterza 2010) a Leggere, scrivere, argomentare (Laterza 2013), da Prima lezione di storia della lingua italiana (Laterza 2015) fino al recente Parola di Dante (il Mulino 2021), per non nominare le grammatiche scolastiche pubblicate in numerosissime edizioni che vanno dal 1992 a oggi, sulle quali hanno studiato generazioni di studenti. Questo suo impegno costante nei confronti del mondo della scuola lo ha visto protagonista di incontri con studenti e insegnanti: non solo nei licei storici (l’ultima sua lezione sull’importanza dello studio delle lingue classiche si è svolta al Liceo Virgilio nella «Notte del liceo classico» il 6 maggio 2022), ma nelle scuole di periferia e della provincia italiana, nelle chiese (le tre lezioni magistrali su Dante nella chiesa Regina Pacis di Ostia, nel novembre del 2021), nelle lezioni sulla «Lingua italiana come cittadinanza» al quartiere Tufello per un progetto del III Municipio di Roma. Ecco, ora che purtroppo devo ricordare quello che Luca Serianni ci ha lasciato, sono costretta a fare delle scelte e a privilegiare un aspetto, trascurandone altri di grande prestigio (la sua attività come accademico dei Lincei, della Crusca e dell’Arcadia, come vicepresidente della Società Dante Alighieri, come presidente della fondazione Lincei per la scuola).
SCELGO ALLORA di rievocare l’ultima lezione di Luca Serianni, quella fatta il 14 giugno del 2017 nell’Aula Magna della Facoltà di Lettere della Sapienza. In quell’aula gremita come per un concerto rock, in un silenzio interrotto solo dagli applausi scroscianti di studenti, ex studenti e colleghi, Serianni, rivolgendosi agli studenti, disse: «Ho avuto, nel mio lavoro, come riferimento il secondo comma dell’articolo 54 della Costituzione, che dice "I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore". Per questo ho chiesto ai miei allievi: “Sapete che cosa rappresentate per me? Voi rappresentate lo Stato».
E aveva aggiunto: «Spero che questa affermazione possa lasciare traccia di sé in quanti, un giorno, dovessero ricoprire cariche pubbliche. Non sta a me stabilire se io abbia adempiuto al precetto costituzionale». Che Luca Serianni abbia adempiuto fino in fondo al precetto costituzionale è dimostrato dal modo in cui ha svolto fino agli ultimi giorni la sua missione di educatore. Per migliaia di studenti Luca Serianni è stato non «un» professore ma «il» professore: chi frequenta i social sa che in questi giorni, dopo l’assurdo incidente che ne ha provocato la morte, un’ondata di affetto e di ricordi si è riversata nel sito a lui intitolato.
NON POTREBBE ESSERE diversamente per chi come lui ha messo al centro del suo impegno gli studenti (cosa non ovvia nel mondo universitario). Per ricordarlo ricorrerò proprio alle parole scelte dai suoi ex allievi (ormai diventati a loro volta insegnanti, ricercatori, professori, giornalisti, bibliotecari, autori radiofonici, scrittori, sceneggiatori) nel libro prima citato: «Per noi il nostro Maestro è semplicemente, Luca, e così è archiviato nelle memorie digitali e sentimentali che ci appartengono. È uno di famiglia, a cui vogliamo bene perché ci ha fatto mostra e dono di molte cose: il tempo, la disponibilità, la correttezza, il senso del dovere e, buona ultima, la conoscenza». Le molte conoscenze che Luca ci ha trasmesso continueranno a vivere nelle sue opere, per noi e per le generazioni future, ma l’amico ci mancherà per sempre.

da qui                               

 

Luca Serianni, lezioni di italiano - Francesco Erbani

 

Luca Serianni, storico della lingua italiana, accademico dei Lincei e della Crusca, è morto dopo essere stato investito da un’auto lunedì 18 luglio, mentre attraversava la strada sul litorale romano di Ostia. Serianni, che aveva 74 anni, ha insegnato in diverse università e ha chiuso la sua carriera accademica alla Sapienza di Roma nel 2017. Lo ha fatto con una lezione di congedo tenuta davanti a centinaia di persone, colleghi, ex allievi, amici, ma soprattutto davanti ai suoi studenti che affollavano l’aula I della facoltà di lettere. E ha chiuso la prolusione rivolgendosi a questi ultimi: “Sapete che cosa rappresentate per me? Immagino che non lo sappiate. Voi rappresentate lo stato”.

Si è espresso così senza accenti enfatici, anzi abbassando la voce e tenendo gli occhi fissi sul foglio dove aveva appuntato il suo discorso. È rimasto fedele al suo stile compassato anche in una circostanza emotivamente coinvolgente per chi all’essere insegnante ha dedicato tanto impegno quanto all’essere studioso di assoluta e riconosciuta qualità. L’unica breccia nel suo profilo austero Serianni l’apriva per farvi passare una controllata ironia giocata sul registro del professore apparentemente serioso e invece amabile, disponibile alla parodia pur di rendere accessibile il suo sapere.

Voi rappresentate lo stato, detto ai suoi studenti, fornisce anche l’idea che Serianni coltivava di una comunità e in particolare di una comunità linguistica, di una comunità dei parlanti. È una comunità che riconosce le regole e che fa riferimento a un codice. Ma è una comunità aperta e lo scopo fondamentale dei suoi membri è capirsi reciprocamente. Le norme e il loro rispetto consentono questa relazione, ma poi è importante anche il modo in cui si usano le norme, compreso il fatto che possono cambiare con il tempo, perché è sempre la comunità dei parlanti a decidere come dev’essere una lingua.

Serianni si sottraeva elegantemente quando qualcuno voleva ergerlo a giudice severo di una lingua italiana considerata ormai disfatta. E se come parametro si usava la presunta scarsa frequenza del congiuntivo, lui, dati alla mano, mostrava che non era affatto scarsae che, anche limitatamente alla lingua parlata, dopo “io spero” era difficile che anche in una chiacchierata non comparisse un verbo al congiuntivo.

Orientarsi nel mondo

Allievo prima di Arrigo Castellani, poi di Ignazio Baldelli, che lo vuole come assistente nella cattedra di storia della lingua italiana, Serianni diventa ordinario nel 1980. La sua produzione scientifica è vasta. Fin dalla metà degli anni settanta si cimenta con la lingua letteraria del duecento e del trecento, poi lavora sulla grammatica storica. Le sue lezioni sono basate su affondi nell’evolversi dell’italiano sempre sostenuti dall’analisi di testi ed esaminando sia le trasformazioni della lingua sia le trasformazioni della società italiana verificabili attraverso la lingua.

Contemporaneamente l’attenzione degli allievi è però richiamata sul ruolo che la lingua svolge nel promuovere consapevolezza, senso di orientamento nel mondo, cultura diffusa. Come può avvenire questo? Con l’ampliamento graduale del proprio vocabolario, con l’arricchirsi della sintassi, con il confronto di una lingua con un’altra, compreso il proprio dialetto, con l’adattarsi della lingua a un contesto specifico, con il ragionare sulle differenze tra lingua scritta e lingua parlata.

Serianni guarda con scrupolo alla formazione linguistica e dunque ai compiti della scuola. Nelle sue lezioni e poi in un libro del 2010, L’ora d’italiano (Laterza) contesta che sia il tema lo strumento migliore per abituare i ragazzi alla scrittura. Consente di migliorare la padronanza della lingua, ma non limita la tentazione di andare a ruota libera. Lui aggiunge di “sbrodolare”.

È il riassunto, invece, la regina delle prove, perché impone di capire un testo, di mettere in ordine gerarchico le sue parti, dalla più importante alle meno importanti, e di dire con altre parole quello che c’è nel testo. Va bandito, insiste Serianni, l’eccesso di grammaticalismo, tipico della classica versione di latino, del tutto priva di riferimenti a un contesto. E invece il latino serve nella sua storicità, dando importanza al suo lessico, al significato delle parole, in raffronto costante con l’italiano.

La chiarezza dell’argomentare spinge Serianni fuori dai recinti accademici. È consulente del ministero dell’istruzione per i programmi scolastici e susciterà qualche polemica il suo suggerimento di eliminare dalle prove scritte per la maturità il tema di carattere storico (scelto, per altro, da una minoranza assoluta di studenti). Si moltiplica la sua produzione scientifica.

Tra il 1993 e il 1994 cura insieme a Pietro Trifone una Storia della lingua italiana in tre volumi, che si affianca all’einaudiana Letteratura italiana diretta da Alberto Asor Rosa. Verranno poi, tra gli altri, Prima lezione di grammatica (Laterza 2006), Leggere, scrivere, argomentare. Prove ragionate di scrittura (Laterza 2013), Il sentimento della lingua (conversazione con Giuseppe Antonelli, il Mulino 2019), Il verso giusto. 100 poesie italiane (Laterza 2020) e infine Parola di Dante (il Mulino 2021), in cui ragiona, smontandola, sulla presunta alterità della lingua della Commedia rispetto all’italiano di oggi.

Serianni dentro e fuori dalle aule universitarie, con i suoi libri, gli incontri pubblici e le interviste, si mostra custode ragionevole di una qualità della lingua e bandisce tanto le sciatterie quanto le visioni apocalittiche. Sono troppi gli anglicismi? Sono l’uso dei parlanti e dunque il tempo lungo di una lingua ad accettare quelli ammissibili e a scartare quelli inammissibili.

Lo stesso vale per i neologismi. Piuttosto è lesivo del diritto di chiunque a capire cosa esige una pubblica amministrazione il fatto che questa infarcisca la comunicazione con parole inglesi o, peggio, con malaccorte traduzioni. Ma non è un dramma per chi, come Serianni, sostiene che non è la norma a fare l’uso, ma l’uso a fare la norma.

Parlando ai suoi studenti il giorno in cui ha lasciato l’università - era un’afosa mattina del giugno 2017 - Serianni ha ricordato i suoi maestri e quella regola alla quale si è sempre attenuto con gli allievi, vale a dire di riconoscerne le qualità senza forzarne le inclinazioni di studio e di ricerca. A patto però, ha aggiunto indirizzando lo sguardo complice verso i ragazzi, che, sia che privilegiassero la linguistica storica, sia che si orientassero verso quella testuale, quella letteraria o verso la sociolinguistica, si attenessero a un obbligo inderogabile: quello di usare l’accento acuto sul sé di sé stesso. Una sua radicata e proverbiale concessione al grammaticalmente corretto.

da qui

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