Nei primi giorni di luglio l’Alta Corte di Israele ha emesso una sentenza di ampia immunità per lo stato riguardo ai crimini di guerra compiuti a Gaza. Adalah e Al Mezan, associazioni palestinesi per i diritti umani – a sostegno della richiesta di risarcimento di Attiya Nabaheen, che aveva 15 anni quando fu colpito dal fuoco dei soldati israeliani, nel cortile davanti a casa sua mentre rientrava da scuola a Gaza nel novembre 2014, rimanendo paralizzato – avevano contestato una legge del 2012, secondo la quale gli abitanti della Striscia di Gaza non possano ricevere risarcimenti da parte di Israele, in quanto dal 2007 è stata dichiarata “territorio nemico”.[1] Colpire i civili è un crimine di guerra, secondo il diritto internazionale: ma per Israele e i suoi alti magistrati, non conta niente.
Il 26 maggio scorso CNN e Associated Press hanno scritto, nei loro due
rapporti, che la giornalista palestinese di Al-Jazeera Shireen Abu Aqleh è stata uccisa a
Jenin, nei Territori palestinesi occupati, da militari israeliani. Il 24
giugno, la Commissione d’inchiesta dell’ONU ha stabilito che la giornalista è
stata uccisa da militari israeliani. I testimoni palestinesi, giornalisti e
non, l’avevano detto subito. L’attuale capo di stato maggiore delle forze
armate israeliane, il tenente generale Aviv Kohavi, aveva invece dichiarato:
«Nessun soldato dell’IDF ha deliberatamente sparato a un giornalista. Abbiamo
condotto un’indagine. Questa è la conclusione e non ce ne sono altre».
Non è il primo (e purtroppo non sarà l’ultimo) assassinio di giornalisti
palestinesi compiuto da soldati dello stato ebraico. Omicidi sempre rimasti
impuniti. L’ONU ha dimostrato che si tratta dell’ennesima menzogna, ma Israele
non patirà alcuna conseguenza negativa nemmeno stavolta.
Neanche quando si tratta di giornalisti stranieri, come nel caso di
Raffaele Ciriello, cittadino italiano. Aveva 42 anni, quando fu ucciso il 13
marzo 2002 a Ramallah, in Palestina, da sei colpi partiti da un carro armato
israeliano. Stava documentando un rastrellamento dei soldati dello stato
ebraico. La magistratura italiana chiese al governo di Tel Aviv i nomi
dei militari del carro armato, ma ricevette un netto rifiuto – nonostante il
trattato di collaborazione giudiziaria tra i due stati – e archiviò subito il
caso. A posto così.
Persino quando si tratta di cittadini degli Stati Uniti d’America, potenti
e fedelissimi alleati. Non aveva ancora 24 anni Rachel Corrie,
attivista dell’International Solidarity Movement (ISM), assassinata il 16 marzo
2003, schiacciata da un gigantesca ruspa perché si interponeva, solo con il suo
corpo, davanti alla casa di un medico palestinese nella Striscia di Gaza, che
doveva essere demolita. Il giudice israeliano del tribunale
di Haifa, Oded Gershon, stabilì che la versione ufficiale era corretta: «Il
conducente del bulldozer non vide la giovane donna». E che la
sua morte fu «il risultato di un incidente che lei stessa aveva attirato su di
sé». Perciò, nessun risarcimento alla famiglia della ragazza.[2] Dal
governo di Washington, nemmeno una flebile critica.
Dunque, Israele non si accontenta dell’impunità: proclama sempre e
comunque la sua innocenza, autoassolvendosi da qualunque accusa.
Non c’è da stupirsi che, dalla fondazione dello stato di Israele nel 1948,
le molte migliaia di palestinesi uccisi – per non parlare del numero assai
superiore di feriti e imprigionati – non abbiano mai avuto giustizia. Israele
detiene il poco onorevole primato mondiale di violazioni delle risoluzioni
delle Nazioni Unite; non rispetta vari articoli della Dichiarazione Universale
dei Diritti Umani[3],
ad esempio uccidendo ricercati (anche solo sospettati) durante azioni militari
dentro città e villaggi palestinesi, o utilizzando la detenzione
amministrativa per incarcerare palestinesi a tempo indeterminato,
senza nemmeno formulare l’accusa e violando il diritto alla difesa; conduce
ripetutamente azioni di guerra – anche invadendo e bombardando altri
stati, come il Libano nel 1982[4] e
nel 2006, in nome della propria “sicurezza” e per combattere “il terrorismo”.
Mentre dure sanzioni, enormi invii di armi, importanti decisioni politiche
ed economiche sono state immediatamente prese e continuano ad essere prese dai
democratici paesi occidentali contro la Russia, che ha invaso militarmente
l’Ucraina, nulla di simile accade nei confronti di Israele, nonostante
un’occupazione militare che dura da oltre mezzo secolo: anzi, se i
palestinesi – che non hanno tra l’altro nemmeno uno straccio di esercito –
tentano di resistere e di reagire, sono bollati come “terroristi”. Questo
giustificazionismo a priori prosegue senza tentennamenti. Così Israele può
letteralmente fare qualunque cosa, certo della “comprensione” – nonostante
saltuarie e innocue parole di critica – e dell’aiuto come dell’impunità che i
suoi alleati gli garantiscono.
I governanti occidentali amano ripetere che «Israele è l’unica democrazia
del Medio Oriente». Ma è davvero tale? Si può chiamare democratico
uno stato ultramilitarista, che predilige la guerra come soluzione alle
“minacce esistenziali” di cui ha proclamato ripetutamente di essere bersaglio? In
cui le forze armate e i servizi di sicurezza dettano l’agenda politica interna
ed estera e quasi sempre hanno loro uomini a capo del governo? In cui gli
effettivi delle forze armate – compresi i riservisti, rapidamente mobilitabili
– sono 615.000[5],
su una popolazione ebraica che non raggiunge i 7 milioni? (In proporzione, è
come se in Italia ci fossero circa 5.500.000 persone in armi). Si può
definire democratico uno stato che pratica l’apartheid[6] ai danni della popolazione
palestinese che abita la terra tra il fiume Giordano e il mar Mediterraneo,
sottoposta a una implacabile pulizia etnica[7] fin
dal 1948 – e in realtà anche prima? Uno stato che espande
incessantemente le sue colonie sulle terre abitate da secoli
dai palestinesi? Che ha distrutto migliaia di case palestinesi – interi
villaggi rasi al suolo – e continua a cacciare i palestinesi dalla loro terra?
Che mantiene illegalmente l’occupazione militare dei Territori palestinesi da
55 anni?[8] Che
ha imprigionato centinaia di migliaia di palestinesi, bambini compresi?[9] Che
impedisce con la forza da 74 anni il ritorno dei profughi palestinesi e dei
loro discendenti nella loro terra?[10] Il
cui parlamento ha approvato nel 2018 una Legge Fondamentale, cioè di valenza
costituzionale, che definisce «Israele quale Stato nazionale del popolo
ebraico» e afferma che «Israele è il luogo dove si realizza
l’autodeterminazione degli ebrei e degli ebrei soltanto», discriminando quindi
tutta la sua popolazione non ebrea, in primis i palestinesi?
Questa legge è stata confermata nel luglio 2021 dalla Corte Suprema
d’Israele, respingendo un ricorso che ne chiedeva la cancellazione perché
discriminatoria[11]. Quindi non ci sono più dubbi: Israele
dichiara di essere uno stato razzista. Sì, anche se questa
parola potrebbe suonare oscena ai più, trattandosi dello stato in cui vivono
molti discendenti dei sopravvissuti alla Shoah, il
genocidio compiuto dai nazisti, cittadini della “civile” Europa. Forse era una
deriva inevitabile, essendo il sionismo l’ideologia guida di Israele, prima e
dopo la sua fondazione e fino a oggi, qualunque governo fosse al potere.
Un’ideologia che promuove il colonialismo ebraico e afferma
la supremazia ebraica[12];
dopo tutto, ereditata da una religione secondo la quale dio [il minuscolo non è
un refuso: N.d.A.] decise che gli ebrei, e solo loro, erano il “popolo
eletto”.
Incontestabile, invece, è il fatto che Israele sia l’unica potenza nucleare
del Medio Oriente[13].
Che colpisce militarmente – l’Irak nel 1981 e la Siria nel 2007 – qualunque
stato di cui sospetti soltanto che voglia dotarsi di un’arma nucleare. Ha inoltre
dichiarato apertamente, da anni, di voler bombardare e distruggere centrali
nucleari che producono energia elettrica in Iran, perché ritiene (non ha
bisogno di prove…) che possano servire anche a produrre armi atomiche: sta solo
aspettando il momento più favorevole.
L’arsenale israeliano conta almeno 90 testate operative[14],
che possono essere lanciate da terra, dal cielo e dal mare; ma forse anche il
doppio o il triplo, secondo altre stime. Israele mantiene un segreto assoluto
in proposito. A rivelare all’opinione pubblica internazionale nel 1986
l’esistenza di queste terribili armi fu proprio un ingegnere
israeliano che lavorava nei laboratori di Dimona, nel deserto del Negev: Mordechai Vanunu. Fuggito in
Europa, venne rapito a Roma da agenti dei servizi segreti di Tel Aviv –
nonostante il reato penale commesso nel territorio italiano, il giudice
Domenico Sica stabilì che si era trattato di un finto sequestro – riportato in
Israele, processato, condannato a 18 anni di carcere, riarrestato due volte
dopo aver scontato la pena e sottoposto tuttora a forti limitazioni della
libertà.
I palestinesi non si aspettano che i governi occidentali cambino a breve la
loro politica di sostegno incondizionato a Israele. Ma in ogni caso,
continuano a resistere all’oppressore. Hanno anche creato
uno strumento, che sta diventando sempre più importante con il passare degli
anni: il movimento non violento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni
(BDS) contro la colonizzazione, l’apartheid e l’occupazione militare
israeliane, per uguali diritti di palestinesi e israeliani. Fondato
nel 2005 e ormai diffuso e radicato in molti paesi del mondo, compresa
l’Italia. Il governo israeliano lo considera una «grave minaccia», lo combatte
in vari modi e cerca di convincere i paesi suoi alleati a metterlo
fuori legge accusandolo di antisemitismo. Chiunque critichi Israele deve
aspettarsi di ricevere questa accusa infamante. Sempre più spesso lanciata
senza entrare nel merito delle critiche, difficili da contestare.
Ma il BDS si
è costituito sulla base del rifiuto di qualunque forma di razzismo – compreso
l’antisemitismo – fascismo, sessismo, islamofobia, discriminazione etnica e
religiosa. La sua forza sta in questi princìpi, nella determinazione dei
palestinesi e di quanti sono solidali con la loro lotta per la libertà e
l’uguaglianza. Il colonialismo e l’apartheid sono stati sconfitti dalla Storia:
accadrà anche a Israele.
[1]. Maureen Clare Murphy, “La corte
israeliana sentenzia a favore di un’ampia impunità”, https://zeitun.info/2022/07/16/la-corte-israeliana-sentenzia-a-favore-di-unampia-impunita/
[2]. “Israele: «Fu la pacifista a cercare
la morte». Tel Aviv chiude così il caso di Rachel Corrie”, Corriere
della Sera, 28.08.2012.
[3]. Approvata dall’Assemblea Generale
delle Nazioni Unite, il 10 dicembre 1948.
[4]. Si stima che circa 17.000 arabi siano
stati uccisi durante la guerra. Il quotidiano di Beirut, al-Nahār (Il
giorno), ha calcolato che 5.515 persone – militari e civili – fossero state
uccise solo nell’area di Beirut durante il conflitto, e che 9.797 combattenti
(OLP, siriani e altri) e 2.513 civili fossero stati ammazzati fuori dell’area
di Beirut.
[5]. BDS Italia, Embargo militare
contro Israele, con la collaborazione di Peacelink e Collettivo A Foras,
2020, p. 7.
[6]. L’apartheid è una violazione del
diritto internazionale, una grave violazione dei diritti umani e un crimine
contro l’umanità. Dopo che per anni i palestinesi l’avevano denunciato, le
associazioni per i diritti umani B’Tselem, israeliana (2021), Human Right Watch
(2021), Amnesty International (2022) e l’ONU (Michael Lynk, Relatore speciale
delle Nazioni Unite sui diritti umani nei Territori palestinesi occupati,
2022), hanno confermato che Israele pratica e implementa continuamente l’apartheid –
peggiore di quello che aveva instaurato il Sudafrica contro la sua popolazione
nera – contro i palestinesi.
[7]. Ilan Pappè, La pulizia etnica
della Palestina, Fazi, 2008. [N.B.: l’autore è uno storico israeliano]
[8]. La Risoluzione 242 adottata
all’unanimità dall’Assemblea generale dell’ONU il 22 novembre 1967, dopo la
fine della terza guerra arabo-israeliana, stabiliva due principi fondamentali:
«terra in cambio di pace», ossia ritiro di Israele dai Territori occupati in
cambio del riconoscimento da parte degli Stati arabi; «giusta soluzione del
problema dei profughi», interpretabile come diritto al ritorno dei profughi
palestinesi o come compensazione politica ed economica.
[9]. «Dal 1967, le autorità israeliane
hanno arrestato oltre 800.000 uomini, donne e bambini palestinesi in
Cisgiordania, compresa Gerusalemme est e la Striscia di Gaza, portando molti di
loro davanti a tribunali militari che sistematicamente non rispettano gli
standard internazionali di equo processo e dove la stragrande maggioranza dei casi
si conclude con la condanna» (Amnesty International, L’Apartheid di
Israele contro la popolazione palestinese: un crudele sistema di dominazione e
un crimine contro l’umanità, febbraio 2022)
[10]. La Risoluzione 194 approvata
dall’Assemblea generale dell’ONU l’11 dicembre 1948, obbligava il governo
israeliano a permettere ai profughi palestinesi di tornare alle proprie case e
a pagare indennizzi a quanti decidessero di non tornare.
[11]. ANSAmed, “Corte Suprema
conferma, «Israele stato-nazione degli ebrei»”, 09.07.2021.
[12]. B’Tselem, Il sistema della
supremazia ebraica dal Giordano al Mediterraneo: questo è apartheid, 2021,
https://www.btselem.org/sites/default/files/publications/202101_this_is_apartheid_it.pdf
[13]. Mentre la quasi totalità (190) degli
stati del mondo sono firmatari del Trattato di Non Proliferazione Nucleare,
solo 5 non aderiscono: India, Pakistan, Israele, Corea del Nord e Sud Sudan.
Tranne quest’ultimo, gli altri possiedono bombe atomiche.
[14]. SIPRI, Yearbook 2021.
Armaments, Disarmament and International Security, Stockholm, 2021
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